Ieri sera, Valerio Evangelisti se n'è andato lasciandoci addolorati e increduli, nonostante chi lo conosceva fosse al corrente dei problemi di salute che lo affliggevano da anni. Il creatore della saga letteraria dell'inquisitore Nicolas Eymerich avrebbe compiuto 70 anni a giugno ed è stato (e resta) uno tra gli scrittori italiani più importanti dell'ultimo trentennio, ben al di là degli steccati di genere e delle distinzioni tra "alto" e "basso", per fortuna stantìe da tempo anche in Italia. Nell'ambito della narrativa fantastica, poi, l'importanza di Evangelisti per la scena italiana è addirittura inestimabile, poiché il successo di vendite e di critica del primo romanzo del ciclo di Eymerich, all'epoca dell'uscita in Urania nel 1994 dopo la vittoria dello storico premio collegato alla collana fantascientifica di casa Mondadori, ha aperto le porte delle case editrici e i cuori dei lettori alle generazioni successive di scrittori e scrittrici nazionali, rendendo concretamente possibile, anche nella percezione comune, una via italiana alla fantascienza e al fantastico.
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Un futuro di malavita e tv
Evangelisti e la fantapolitica verosimile
Di Diego Del Pozzo
(da Il Mattino del 31 luglio 2009)
Tra i nove autori coinvolti – assieme a Tullio Avoledo, Giorgio Falco, Wu Ming 1, Tommaso Pincio, Ascanio Celestini, Giancarlo De Cataldo, Giuseppe Genna e Alessandro Bergonzoni – c'è anche Valerio Evangelisti, uno tra i narratori italiani più apprezzati all'estero, in particolare grazie alla saga dell'inquisitore Nicolas Eymerich. "L'anno prossimo – anticipa Evangelisti – è prevista l'uscita del nuovo romanzo, che per ora ha un titolo provvisorio, Rex tremendae maiestatis. Si svolge in Sicilia, ma con un finale a Napoli, dentro Castel dell'Ovo".
In Anteprima nazionale, invece, Evangelisti è presente con Capobastone, racconto nel quale descrive un'Italia futura da incubo, dove la criminalità organizzata è stata definitivamente "sdoganata" e governa il Paese: "Si è fatta le proprie leggi, è rappresentata in Parlamento – spiega lo scrittore bolognese – da diversi partiti ideologicamente affini tra loro (Cosa Nostra, Camorra, 'Ndrangheta, Sacra Corona Unita, Striddia) e ha conquistato il massimo consenso tra gli italiani dando loro ciò che volevano".
"L'ispirazione iniziale viene da un vecchio romanzo di fantascienza di Cyril M. Kornbluth, intitolato in italiano Non è ver che sia la mafia… (sottinteso: "il peggior di tutti i mali"). Vi si narra di un dominio futuro di Cosa Nostra sugli Stati Uniti, con quasi generale soddisfazione. Il romanzo mi è tornato più volte in mente nel constatare che tanti italiani votavano e votano con entusiasmo politici notoriamente corrotti o legati alla malavita organizzata. In una situazione simile, il problema non sono i mafiosi, ma chi vota per loro. Mettiamo che la percentuale cresca e si arriverà, senza troppi sforzi di immaginazione, a uno stato di cose quale quello che prospetto io".
Come ha sviluppato l'idea di partenza del racconto?
"Partendo dalla mentalità che oggi domina in Italia: l'essere subordinato all'avere. Così si votano anche criminali, a tutela dei propri interessi immediati. I dati da cui partire li avevo sotto gli occhi: un clima strano, a metà tra la commedia e il cinismo diffuso, la crudeltà e l'amoralità dilaganti, la voglia di arraffare assurta a ideologia condivisa. Tutto è effimero, corrotto, triviale. Non ho dovuto sforzare troppo la mia immaginazione".
Il curatore Giorgio Vasta scrive nella sua introduzione che "L'Italia è tratta da una storia vera". Lei che ne pensa?
"L'Italia odierna offre uno spettacolo penoso, che all'estero è osservato con irridente simpatia. Siamo tornati ai mandolini, alle storie pecorecce, ai furori nazionalistici e ai fervori clericali. Poi nessuno crede in nulla, ma l'importante è che la commedia continui. Nei confronti di questo Paese provo un sentimento tra l'indignato e il divertito. Ne deriva una sorta di sarcasmo, da non confondere con il distacco, che mi aiuta a sopportare l'insopportabile. Un narratore può rendere vivi tali sentimenti e farvi partecipare più gente di quanto sia in grado di fare uno studioso. Sullo stesso piano si pone, quando ne ha voglia, il giornalista, solo che l'operazione, per lui, dura un solo giorno, o una sola settimana. Un libro, invece, dura più a lungo".
Mi hanno colpito, nel suo racconto, quei passaggi nei quali parla di "azzeramento della storia" e dell'eterno presente dei reality show, che lei definisce come "una specie di passaggio obbligato per la politica"…
"Reality show? Non dimentichiamo che, in Italia, due comunisti hanno di recente ottenuto affermazioni clamorose: Vladimir Luxuria all'Isola dei famosi e Marco Baldini a La fattoria… Ovviamente scherzo, ma non vi è dubbio che la televisione abbia dilagato nella società e le abbia dettato modelli e scale di valori. In un certo senso, politica e televisione sono venute a coincidere. Ciò provoca un automatico e sottile azzeramento della memoria storica. Esiste solo ciò che passa sul piccolo schermo, e chi contesta ciò lo fa dal piccolo schermo, cioè dal territorio in teoria nemico".
Cosa c'è, invece, nel futuro di Valerio Evangelisti, dopo Anteprima nazionale?
"Oltre al nuovo capitolo di Eymerich, attualmente sto scrivendo il "prequel" di Tortuga, il mio recente romanzo sui pirati: s'intitola Veracruz. Inoltre, è da poco uscita una nuova collana mondadoriana da edicola, Epix, con un volume dedicato a una mia antologia, Acque oscure, comprendente anche Gocce nere, un mio romanzo breve inedito. Contemporaneamente ad Anteprima nazionale, infine, è in libreria un'altra antologia, Italia underground, a cura di Angelo Mastrandrea, edita da Sandro Teti: nel mio breve racconto immagino il Paese intero divenuto sede di un reality show su scala planetaria, con il resto del mondo che scommette sulle famiglie italiane per vedere se riusciranno a cavarsela".
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