venerdì 28 marzo 2014

FILM DA SOSTENERE: "PULCE NON C'E'" DI GIUSEPPE BONITO

Di Diego Del Pozzo

Dopo un percorso silenzioso di quasi due anni, tra festival italiani e internazionali, giovedì prossimo arriverà nei cinema, distribuito da Academy Two, "Pulce non c'è" di Giuseppe Bonito. Presentato in anteprima al Festival di Roma 2012 nella sezione Alice nella città, dove ha conquistato il premio speciale della giuria, l'esordio del trentanovenne regista di origini campane è stato poi selezionato in numerose rassegne, è stato candidato ai Nastri d’argento e ai Ciak d’oro fino a ottenere, nella prima metà di marzo, un notevole successo nelle due settimane di pre-programmazione in esclusiva al Nuovo Sacher di Roma, la storica sala di Nanni Moretti, dove è riuscito a incassare ben 11mila euro. E a metà settimana ha confermato le sue potenzialità nei confronti degli spettatori anche in occasione delle due anteprime di Caserta (al Duel) e Aversa (al Vittoria).
Ludovica Falda è Pulce
Si tratta di un film poetico e intenso, da sostenere con convinzione. Tratto dal romanzo omonimo di Gaia Rayneri (che ha contribuito anche alla sceneggiatura), affronta un argomento delicato come quello dell’autismo e del rapporto tra le famiglie che devono convivere con questa particolarissima condizione e le istituzioni spesso assenti o troppo distratte. L’autrice del romanzo di riferimento, peraltro, s’è rifatta alla storia vera della sua famiglia e, in particolare, della sua sorellina autistica.
Al centro della trama c'è la piccola Margherita, detta Pulce, bambina autistica di nove anni, che vive assieme alla sua sorella maggiore Giovanna (le bravissime esordienti Ludovica Falda e Francesca Di Benedetto, quest’ultima voce narrante della storia) e ai loro genitori (Pippo Delbono e Marina Massironi). In seguito al fraintendimento di una insegnante nel comunicare con Pulce, il padre è accusato di aver abusato delle figlie e la piccola viene portata via dai servizi sociali e messa in una casa famiglia per circa un anno, mandando letteralmente in frantumi la quotidianità di un nucleo familiare già molto provato dalla difficile condizione della bambina.
Nella colonna sonora composta dai Mokadelic, il regista ha inserito anche un brano originale di Niccolò Fabi, "Il silenzio", perfetto per esaltare l'asciutto pathos della storia e l'intima poesia della Torino nella quale è ambientata la vicenda di Pulce e della sua famiglia. Lo sguardo di Bonito è molto maturo e consapevole; e il suo approccio etico-estetico nei confronti di un argomento così delicato è all'insegna del pudore e della sottrazione. L'autore campano, inoltre, mostra una mano sicura anche nella direzione del notevole gruppo di attori messo insieme, al cui interno spiccano la complicata fisicità di un Delbono semplicemente fantastico e l'ingenua maturità di Francesca Di Benedetto, perfetta nel dar vita alla smarrita e saggia tredicenne Giovanna che si trova a crescere in un mondo nel quale i presunti normali sono, in realtà, "tutti matti".
Parallelamente all’uscita nei cinema italiani, "Pulce non c’è" è stato anche selezionato per il Pechino Film Festival, dove sarà proiettato nell’ambito del Panorama internazionale.

sabato 22 marzo 2014

FILM (QUASI) INVISIBILI: "LA MIA CLASSE" DI DANIELE GAGLIANONE

Di Diego Del Pozzo

La quasi invisibilità nei cinema italiani di un film come "La mia classe" di Daniele Gaglianone è l'ennesimo esempio di quanto tristi e miopi siano le logiche che regolano la distribuzione cinematografica in Italia.
Valerio Mastandrea in una scena del film
Coraggioso e originalissimo dal punto di vista linguistico e dei contenuti, infatti, il lavoro più recente di Gaglianone è un riuscito mix tra cinema civile e ardita (quasi folle) sperimentazione metanarrativa, costruito sulle capaci spalle di un magistrale Valerio Mastandrea, nel ruolo del maestro di una scuola di italiano per stranieri, o di se stesso che interpreta questo maestro, o di se stesso che interpreta un attore che interpreta il maestro. Di fronte a lui, in quelli che - come spesso capita nel cinema dell'autore - si configurano come autentici "corpo a corpo" con la realtà, c'è una vera classe di immigrati, provenienti da Paesi e culture differenti e tutti - chi più, chi meno - costretti ad affrontare quotidianità rese problematiche dalle contraddizioni e dalle zone d'ombra (dal cuore di tenebra?) di una nazione sempre più razzista e intollerante com'è l'Italia del terzo millennio.
Nel film, il regista riflette sui limiti della messa in scena e sui suoi sconfinamenti, mandando volutamente in frantumi il rassicurante perimetro di ogni possibile finzione drammaturgicamente controllata, senza però mai andare a discapito di una fluidità narrativa che resta assoluta. Ma, al tempo stesso, Gaglianone dice la sua su temi "forti" e di fiammeggiante attualità come l'inclusione, l'intolleranza e la capacità di essere ancora umani nell'Occidente (post?)neoliberista del 2014.
E lo fa rovesciando il punto di vista e assumendo come proprio lo sguardo su di noi di quelle donne e di quegli uomini provenienti dai tanti possibili Sud del mondo. E sono sguardi che fanno male e che costringono gli spettatori a uscire dalla sala, dopo i titoli di coda, in preda a quella che lo stesso regista opportunamente definisce "sana inquietudine", dalla quale magari provare a ripartire battendo sentieri diversi rispetto a quelli percorsi finora.