sabato 13 luglio 2013

LIBRI PER L'ESTATE: "NON MI AVRETE MAI" (DI VAIO & LOMBARDI)

Di Diego Del Pozzo

Salvatore Capone è uno scugnizzo “di mezzo alla strada”, un ragazzo cresciuto nel degrado fisico e morale della periferia nord di Napoli, tra Scampia e Piscinola, uno che inizia a rubare perché povero e che, man mano, diventa una sorta di piccola leggenda nel suo rione, “Stelletella” (questo il suo nomignolo), sesto di dieci figli, ladruncolo di pneumatici e autoradio già a nove anni, poi scippatore e rapinatore a mano armata, quindi responsabile di una piazza di spaccio da tremila dosi al giorno, in una corsa senza sosta che, dopo l’ulteriore accelerazione provocata dall’incontro terribile con la droga (cocaina e poi eroina), termina inevitabilmente nell’inferno di Poggioreale, l’Alcatraz napoletano, dove però la sua esistenza cambia per sempre. Proprio tra quelle mura senza speranza, infatti, Salvatore capisce come incanalare in maniera costruttiva l’irredimibile grido di ribellione che risuona nella sua testa fin da bambino, quel “Non mi avrete mai” che lo porta a opporsi istintivamente a qualunque autorità costituita e, negli anni, a fuggire dai luoghi di reclusione – siano essi scuole, collegi, riformatori, carceri minorili, centri d’igiene mentale, comunità di recupero – nei quali di volta in volta si trova costretto.
E proprio Non mi avrete mai (340 pagine, 17.50 euro, Einaudi Stile Libero) è il titolo del libro scritto da Gaetano Di Vaio e Guido Lombardi che raccoglie le avventure di volta in volta tragicomiche, drammatiche, pietose, surreali, cupissime, ridicole, disperate, a tratti epiche, spesso romantiche, persino divertenti di Salvatore Capone. Rispetto a tanti altri “romanzi criminali” in chiave vesuviana nati sulla scia di Gomorra, però, questa storia ha decisamente una marcia in più: la senti vera, non artefatta né costruita, vita reale trasformata in magmatica materia narrativa. Questo perché Salvatore Capone non è un’invenzione di fantasia ma esiste davvero, come esplicitamente segnalato in apertura di volume, a scanso di equivoci: “La storia che il protagonista narra non è frutto di fantasia, ma è alimentata dai ricordi e dalle esperienze personali realmente vissute da Gaetano Di Vaio, uno degli autori, pur rappresentate con linguaggio letterario”.
L’approccio scelto da Di Vaio e Lombardi – il primo, oggi, è un produttore cinematografico indipendente di successo con la factory Figli del Bronx; il secondo, è il regista di Là-bas, migliore opera prima due anni fa a Venezia, già pronto col suo secondo film Take Five – funziona a meraviglia perché abbina l’intenso coinvolgimento “in prima persona” dell’uno con la perizia tecnica e la fluidità narrativa dell’altro. E i continui andirivieni nel tempo, i ricordi del passato criminale, i lampi accecanti di un futuro di redenzione appena suggerito (ma oggi pienamente compiuto), la polifonia derivante dalle voci dei tanti personaggi di contorno perfettamente delineati anche in poche righe (dal boss Carminiello all’amico Mimmo, dai violenti secondini Cu-cù e Schwarzenegger al compagno di cella e maestro di letture detto ‘o Poppo), la tenerezza di un amore più forte di tutto l’orrore circostante (quello di Salvatore per la giovane moglie Lucia) acquistano così consistenza quasi materica e, soprattutto, catturano il lettore con la stessa forza visionaria di un fiammeggiante kolossal cinematografico che, se fosse ancora vivo Sergio Leone, non potrebbe che intitolarsi C’era una volta a Napoli. Kolossal che, vista anche la dimestichezza dei due autori col mondo del cinema, in futuro qualcuno senz’altro realizzerà.

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