venerdì 23 maggio 2014

DAVID CRONENBERG E LA MORTE E PUTREFAZIONE DI HOLLYWOOD

Di Diego Del Pozzo

"Maps to the Stars" di David Cronenberg è una impressionante ghost story - dove i fantasmi sono quelli fatti di carne e ossa - ambientata a Hollywood e, al tempo stesso, un lucido apologo sulla morte del cinema (o, meglio, di un certo tipo di cinema), inteso quale arte chiave del Novecento che, col nuovo millennio, sembra aver perso la propria centralità nello scacchiere dei media contemporanei, trasformandosi in zombie quasi romeriano costantemente rivolto a un passato che fu glorioso e che dietro di sé, però, ha lasciato cenere, cicatrici (fisiche e mentali), polvere (di stelle) e fantasmi (della memoria).
La sceneggiatura di Bruce Wagner serve a Cronenberg per popolare di mostri un Sunset Boulevard ormai in fiamme, dove famiglie ossessionate dalla celebrità vivono in gabbie di vetro, costantemente esposte allo sguardo dei fans e dei media, senza possibilità di scendere a patti con le proprie incestuose interiorità lacerate; dove baby star tredicenni hanno già visto e vissuto tutto, tanto da decidere di abbandonarsi a una morte che faccia da via di fuga verso ogni possibile libertà (come la poesia omonima di Paul Eluard che attraversa in filigrana l'intero film); dove attrici fuori tempo massimo ripercorrono la loro personalissima Mulholland Drive in preda a istinti poco più che bestiali.
Lo sguardo di David Cronenberg sull'inferno di Hollywood è quello glaciale dell'entomologo, che però, durante la sua indagine quasi scientifica sui possibili abissi nei quali può sprofondare l'animo umano, a tratti decide di assecondare persino una certa pietas, seppur trattenuta, nei confronti di quella "nuova carne" da lui teorizzata visivamente anni fa e, ormai, in totale e irreversibile putrefazione.
Alla impressionante Havana Segrand di una coraggiosissima Julianne Moore - perfetta nel dar corpo a un'attrice sfatta e schiava dell'ossessione d'interpretare il ruolo della madre morta, nel remake di un suo celebre film - è affidata la sequenza più crudele e agghiacciante, nella quale la fame di cinema e celebrità divora persino il dolore per la tragica scomparsa di un bambino. L'ottimo cast è completato da un ferino John Cusack nel ruolo del guru per stelle hollywoodiane Sanford Weiss, dal bravo Evan Bird (il figlio tredicenne Benjie, star della tv spazzatura con problemi di droga e non solo), da Mia Wasikowska (l'inquietante e disturbata sorella maggiore Agatha) e dall'ormai intimamente cronenberghiano Robert Pattinson, che interpreta l'autista di limousine Jerome, aspirante attore e sceneggiatore.
"[...] Sull'assenza che non desidera / Sulla nuda solitudine / Sui sentieri della morte / Io scrivo il tuo nome. / Sul rinnovato vigore / Sullo scomparso pericolo / Sulla speranza senza ricordo / Io scrivo il tuo nome. / E per la forza di una parola / Io ricomincio la mia vita / Sono nato per conoscerti / Per nominarti / Libertà".

2 commenti:

  1. Recensione bellissima e condivisibile. Sarebbe troppo facile dire che il film rappresenta il Sunset Boulevard del secondo millennio. Ma ormai l'ho detto. La ferocia di Wlder è stata ovviamente aggiornata e resa più spietata, a tratti raggelante. Ma l'anatema morale sulla fabbrica dei sogni ha la stessa potenza.

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    1. Caro anonimo, grazie per il bel commento. Sono contento che ti sia piaciuta la recensione.
      Ovviamente, volevi dire "del terzo millennio".

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