martedì 18 ottobre 2011

AURELIO DE LAURENTIIS E L'AMORE PER IL CINEMA

Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 18 ottobre 2011)

L’amore di Aurelio De Laurentiis per il cinema è questione di eredità familiare, ma anche conseguenza di un profondo coinvolgimento personale che fin da bambino lo ha portato a eleggere come preferita proprio la settima arte. E domenica sera, in un auditorium di Castel Sant’Elmo gremito, il produttore cinematografico della Filmauro ha raccontato questa travolgente passione per l’universo delle immagini in movimento al pubblico del Napoli Film Festival, nel corso di un incontro intitolato A tu per tu con il cinema del passato e il cinema del futuro.
Coerentemente con la formula di queste chiacchierate serali condotte da Antonio Monda, De Laurentiis ha selezionato alcune sequenze di film amati, proiettate e poi commentate a caldo. Tre i classici scelti per l’occasione: La strada di Federico Fellini, Rashomon di Akira Kurosawa e Spartacus di Stanley Kubrick. Il motivo, a suo dire, è semplice: “Dalle origini a oggi, la storia del cinema ha prodotto - spiega - tanti grandi registi. Ma, secondo me, soltanto tre autentiche star della regia: Fellini, Kurosawa e Kubrick. Ripercorrendo le loro filmografie, ho scelto proprio questi film perché, in due casi su tre, li ho conosciuti da bambino quando andavo a vedere i film dei grandi”.
In particolare, il felliniano La strada suscita in De Laurentiis (qui, nella foto, durante la serata) tanti ricordi: “Il film, prodotto da mio zio Dino e Carlo Ponti, uscì nel 1954. All’epoca, io ero un bambino vivace e curioso - ricorda - che frequentava con assiduità quel set coloratissimo. Ero una specie di mascotte e non mi perdevo una sola ripresa. Per me, poi, quel set fu davvero speciale anche per un altro motivo: Fellini girò molte sequenze in un circo, quello della ditta Saltanò dalla quale deriva il nome dello Zampanò di Anthony Quinn; e per un bimbo della mia età stare lì era una cosa straordinaria”. Rashomon restò subito impresso nella memoria del piccolo Aurelio: “Avevo quattro anni, quando lo vidi per la prima volta. Col senno di poi, quel film mi sembra perfetto per capire le differenze tra l’Italia di allora e quella odierna. Mentre oggi, infatti, si ricorre continuamente a termini inglesi, quasi vergognandosi di non conoscerli, all’epoca sui manifesti di quel capolavoro campeggiava il nome del grande Akira Kurosawa scritto con “ch” invece che con la lettera “k”, senza alcun imbarazzo”. Su Spartacus, uscito nel 1960 e visto già quasi da adolescente, il racconto di De Laurentiis è meno emotivo e più razionale: “Pur non essendo il miglior film di Kubrick, è un libello sulla libertà, con dialoghi incredibili scritti dal grande Dalton Trumbo, assurdamente perseguitato ai tempi del maccartismo nell’America degli anni Cinquanta. E poi, Kubrick mi è sempre piaciuto per come ha saputo coniugare il cinema di genere con l’approccio autoriale. Da parte mia, infatti, diffido di quei registi che non amano il cinema di genere e raccontano cose interessanti solo per se stessi”. L’escursione nella memoria si conclude col ricordo di due amici e maestri: “Pasquale Festa Campanile e Mario Monicelli sono quelli ai quali ero più affezionato. E, poi, il grande Mario è riuscito anche a farmi smettere di fumare”.
Dai film del passato, la chiacchierata con Aurelio De Laurentiis si sposta sullo stato attuale e sulle prospettive future del cinema italiano e internazionale: “Oggi, produrre film in Italia ha costi folli, paragonabili a quelli di Hollywood, senza poter contare sulla medesima capacità di esportarli all’estero, anzitutto per motivi linguistici. Io stesso, con Manuale d’amore 3 ho avuto difficoltà a vendere il film, nonostante la presenza di Robert De Niro, perché tutti gli attori, lui compreso, recitano in italiano”. Il futuro, non soltanto in Italia, è in modalità distributive differenti, che sappiano tener conto dell’accelerazione della fruibilità “derivante - conclude De Laurentiis - da Internet e dai social network. Serve la contemporaneità dell’uscita nei cinema, in pay tv e sul web; naturalmente con prezzi differenziati a seconda della piattaforma distributiva. In questo modo, tutti vedrebbero un film nuovo e l’industria farebbe ulteriori introiti rispetto alla sola uscita in sala. E una percentuale di questi maggiori incassi potrebbe essere data agli esercenti, per “proteggerli” dall’eventuale danno derivante dalla contemporanea presenza del film anche altrove”.

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