(Il Mattino - 17 luglio 2010)
La presenza al festival prodotto da Pascal Vicedomini offre l'occasione per ripercorrere una parabola artistica inimitabile, a partire da metà anni Cinquanta, quando il rock 'n' roll cambiò per sempre la cultura giovanile statunitense e mondiale. "In quel processo - racconta Stoller - Elvis ha avuto un ruolo fondamentale, perché quando apparve fu come un vero e proprio ciclone che travolse la società americana. All'epoca, infatti, la musica popolare era ancora molto segregata, con dischi per il pubblico bianco e altri, quelli più eccitanti e innovativi, per la platea di colore. Io e Jerry, in quel periodo, scrivevamo prevalentemente rhythm 'n' blues per artisti neri. La grande innovazione di Elvis fu di portare al pubblico bianco quelle sonorità così trasgressive. Ha cambiato per sempre i gusti musicali dei teenager, influenzando tutto ciò che è venuto dopo".
Quando fu che Elvis entrò a far parte delle vostre vite?
"Nel 1956. Ebbi un viaggio in nave, di ritorno dall'Europa, a dir poco accidentato, perché ero a bordo dell'Andrea Doria quando affondò e riuscimmo a raggiungere New York solo grazie a un mercantile. Appena giunto in città, trovai il mio socio Jerry Leiber che mi stava aspettando al porto, per parlarmi di questo ragazzo bianco che stava spopolando con una sua versione di Hound dog, il brano che noi avevamo scritto nel 1952 per Big Mama Thornton".
Poco dopo, incontraste Elvis e diventaste i suoi autori di fiducia.
"Sì, l'anno dopo, in occasione dei suoi film Loving you e Jailhouse rock, per i quali scrivemmo diversi brani tra i quali i due che davano il titolo alle pellicole. Fummo convocati dal produttore musicale e ci trasferimmo da Los Angeles a New York, dove avremmo dovuto lavorare sui copioni. Io e Jerry, però, eravamo più interessati a girare per locali e ascoltare gli artisti straordinari che suonavano in quel periodo in città. Così, quando il produttore tornò in albergo da noi per i brani e gli dicemmo che avrebbe dovuto attendere un po', decise di piazzare un divano davanti alla nostra porta, bloccandoci lì dentro. Allora, anche per liberarci di lui, scrivemmo in cinque ore le quattro canzoni del film Jailhouse rock: la title track, Treat me nice, (You're so square) Baby I don't care e I want to be free, che era ironicamente riferita proprio a noi due e a quella nostra strana prigionia".
Da quel momento, otteneste la piena fiducia del "king of rock 'n' roll". Come mai, qualche anno dopo, la vostra collaborazione terminò?
"Dopo Jailhouse rock, Elvis ci chiamò per tutte le sue successive sessioni di registrazione. E, visto lo straordinario successo delle canzoni che scrivevamo per lui, diceva che io e Jerry eravamo la sua "buona stella". Probabilmente, però, questa nostra eccessiva vicinanza a lui fu la causa della nostra separazione, causata da forti attriti col suo manager, il colonnello Parker. Ci accusò di voler influenzare troppo la carriera di Elvis e ci minacciò dicendoci che dovevamo smetterla di lavorare con lui. A me è dispiaciuto, perché l'influenza di Parker su Elvis gli ha poi impedito di partecipare a progetti cinematografici di qualità, per i quali aveva il giusto talento, bloccandolo durante gli anni Sessanta in quei filmetti tutti uguali ma molto remunerativi".
Ma, secondo lei, Elvis Presley è davvero il "re" del rock 'n' roll?
"Sicuramente è stato uno dei re. Però, secondo me, il più grande di tutti è stato Little Richard".
In questi ultimi anni, lei si è dedicato molto ai musical teatrali. A cosa sta lavorando attualmente?
"Sto allestendo due progetti per il prossimo anno a Broadway: uno assieme a Jerry, sulla vita di Oscar Wilde; l'altro da solo, con brani nuovi composti per l'occasione. Ovviamente, però, continuo a godermi il successo di Smokey Joe's cafè, che dal 1995 a oggi, grazie ai tanti nostri classici inclusi nella colonna sonora, s'è conquistato il titolo di musical con la più lunga tenitura della storia di Broadway".
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