sabato 25 settembre 2010

COMICS: UN RITRATTO DEL GRANDE HARVEY PEKAR

Di Raffaele De Fazio
(Welcome to Geeksville)

Il 12 luglio si è spento nel sonno nella natìa Cleveland, all'età di 70 anni, il creatore di American Splendor, Harvey Pekar (qui nella foto).
A metà anni Sessanta, guidati dal comune interesse per il jazz degli albori e la ricerca sfrenata di 78 giri degli anni Venti e Trenta, s'incontrano proprio a Cleveland Robert Crumb e Pekar. Il primo è sul punto di esplodere come genio del fumetto underground (Zap Comix verrà pubblicato due anni dopo), ma in quel momento sopravvive grazie a un lavoro come illustratore di cartoline di auguri; mentre il secondo si arrabatta tra alti e bassi col suo lavoro di archivista all'Ospedale dei Veterani di Guerra. Durante le serate a base di jazz e di trattative spietate per il possesso di dischi d'epoca, Crumb mostra a Pekar i suoi disegni e le sue storie, all'epoca inedite, sul mondo che li circonda e su quell'America in piena epoca della contestazione: queste folgorano Pekar, che intravede nel lavoro di Crumb il tassello mancante all'altra sua enorme passione, ovvero le decine e decine di storie autobiografiche che scrive su tutto ciò che gli accade nella vita quotidiana. Dopo aver mostrato a Crumb i suoi scritti, talvolta corredati da disegni stilizzati che ne rappresentano i momenti salienti, questi decide di illustrarne alcuni, ricavandone successivamente una maggior propensione a inserire elementi autobiografici nelle sue future storie.
Da questa collaborazione nasce American Splendor, l'autobiografia di un americano della "low middle class" americana. Se le storie autobiografiche di Crumb saranno principalmente incentrate sulle sue manie, idiosincrasie e con uno sguardo talvolta feroce sulla società americana, quelle di Pekar saranno sempre incentrate sulla vita di ogni giorno, sulle avventure di un semplice archivista nell'America di oggi. La testata non ha mai avuto una vita facile, passando dall'autoproduzione fino ad approdare al "mainstream" con Dark Horse prima e DC/Vertigo poi, ma questo solo in epoca recente: dopo tutto, a quante persone credete possa interessare la vita di un impiegato dell'Ohio? Insomma, se il fumetto underground è considerato un genere di nicchia, immaginate che in quella nicchia ce ne sia una ancora più piccola con dentro American Splendor. Questo, però, non gli ha impedito col tempo di trasformarsi in un caso editoriale. In fondo Harvey aveva praticamente inventato il genere autobiografico nei fumetti, trasformandosi in quello che gli americani definiscono "Average Joe", il Pinco Pallino qualunque che però ci rappresenta tutti, nella sua fiera battaglia contro le insidie del quotidiano.
Il segreto di Harvey Pekar era la sua onestà, prima con se stesso e poi con i suoi lettori; la sua vita non era filtrata dalla barriera del pubblicabile; American Splendor era realmente la vita di Harvey così com'era, compresa di critiche, bestemmie, odii viscerali e amore verso la sua famiglia, che accettava di apparire nelle storie con la consapevolezza che sarebbero stati ritratti come erano nella vita vera nei loro rapporti con Harvey, compresi liti, urla, incomprensioni e slanci di umanità. Per Harvey sono stati scomodati paragoni eccellenti, come quelli con Cechov o Bukowski, ma la realtà è che Harvey ha soltanto sfiorato la fama, senza mai beneficiarne pienamente: non s'è arricchito mai, nemmeno quando il suo essere Pinco Pallino l'ha portato a diventare ospite semi-fisso del David Letterman Show, per poi essere defenestrato per le troppe critiche alla General Electrics, proprietaria della NBC. Ma Harvey Pekar era così, senza filtri.
Nel frattempo, in American Splendor abbiamo continuato ad assistere alla sua vita. Come non citare, per esempio, Our Cancer Year (vincitore di un Harvey Award), nel quale ha raccontato della scoperta di avere un cancro e della lotta contro la malattia e un sistema sanitario ottuso, fino alla guarigione che lo ha lasciato comunque con una voce flebile e roca, dimostrando che grandi battaglie accadono anche nella vita quotidiana di ognuno di noi. American Splendor è finito per diventare, col tempo, sia una palestra per i nuovi autori dell'Underground americano che il passatempo anche di quelli definibili come "giganti del genere"; e mi riferisco, oltre a Crumb, a gente come Joe Sacco, Spain Rodriguez, Chester Brown e tanti altri, tutti impegnati a disegnare la vita comune di un archivista di Cleveland. Nel 2002, anche Hollywood si accorge di Harvey Pekar, ovviamente non una major ma due documentaristi, Shari Berman e Robert Pulcini, che decidono di portare sullo schermo American Splendor affidando la parte di Harvey a uno splendido Paul Giamatti. Il film ottiene una nomination agli Oscar per la migliore sceneggiatura e vi consiglio di recuperarlo perché ne vale davvero la pena. Oppure, potete recuperare Our Movie Year, la splendida raccolta di American Splendor che racconta proprio di quella esperienza, con tanto di invito alla notte degli Oscar e di vip che salutano un Harvey convinto di essere stato scambiato per qualcuno più famoso: dopotutto lui è solo un archivista di Cleveland.
Dopo il film, Pekar approda alla Vertigo con le due miniserie Another Day e Another Dollar, nelle quali a illustrare la sua vita arriva gente come Richard Corben, Eddie Campbell, i fratelli Hernandez e tanti altri, perché adesso tutti vogliono partecipare ad American Splendor, tutti vogliono illustrare un pezzo della sua vita, anche se si tratta solo di una storia su Harvey che va a comprare il giornale o che va al mercatino a cercare vecchi dischi di jazz. Perché Harvey era unico ma era anche tutti noi, un perdente forse, ma mai un vinto, un Pinco Pallino che tira a campare cercando di non farsi schiacciare dalle avversità della vita reale, una vita nella quale non c'è la kriptonite o il "super villain" ma soltanto le bollette a fine mese e la rata del mutuo.
Con Harvey Pekar se ne va un pioniere del Fumetto. Senza di lui, infatti, forse non sarebbero mai esistite opere come Palestina e gli altri esempi di "graphic journalism" autobiografico di Joe Sacco, o alcuni lavori di Adrian Tomine, Seth, Chester Brown e tanti altri che, proprio dall'esempio di Harvey hanno capito come il fumetto non debba essere semplice intrattenimento, ma possa proporsi come medium in grado di raccontare qualsiasi cosa facendoci emozionare anche soltanto con la battaglia quotidiana di un archivista di Cleveland. Tra le tante dimostrazioni di cordoglio, mi piace segnalare quella di Neil Gaiman, che condivido in pieno: "Quando ero ragazzo, dopo essere cresciuto leggendo centinaia di storie di supereroi, mentre ero alla ricerca di letture diverse e forse più adulte fu automatico approcciare le storie di Robert Crumb. Ne divenni un grande fan, poi all'inizio degli anni Novanta recuperai le sue storie di American Splendor. Con American Splendor funzionava così: ci entravi alla ricerca di Crumb ma restavi lì, coinvolto dalle vicissitudini di Harvey Pekar, perché ti sembrava naturale leggere le storie di questo tipo, sicuramente una persona dal carattere non facile, che tutto sommato ti sembrava familiare finché non realizzavi che era così perché Harvey Pekar era il barbiere dietro l'angolo, oppure il macellaio in fondo alla strada o quel lontano cugino di tuo padre. Ha fatto capire a tutti noi che con il Fumetto potevamo fare qualunque cosa".

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