mercoledì 1 aprile 2009

IL MONDO REALE E' PIU' FALSO DEL WRESTLING

Di Vincenzo Esposito

Randy, detto l'Ariete (Mickey Rourke), è un lottatore di wrestling che si è da tempo lasciato alle spalle i suoi giorni di gloria. Alla fine del film di Darren Aronofsky che lo vede protagonista (The Wrestler, appunto), lo ritroviamo in piedi su un angolo del ring, pronto ad esibirsi nella sua migliore tecnica aerea di combattimento, un segno distintivo che nel corso degli anni gli ha sempre regalato la vittoria finale. Dopo aver combattuto un match intenso e dolorosissimo, sta per scatenare l'ariete, un tuffo a caduta libera che dovrebbe schiacciare al suolo il suo avversario. Si lancia dalle corde, e finisce "fuori campo". The Wrestler termina con un finale aperto, lasciando il pubblico nelle sapienti mani di Bruce Springsteen, la cui omonima canzone conclusiva dà luce all'oscurità dello schermo su cui scorrono i titoli di coda, e trasforma il "fuori campo" in una chiara immagine steinbeckiana: "Hai mai visto uno stupido pony libero e felice su un prato? Se lo hai visto, allora hai visto me / Hai mai visto un cane zoppo che se ne va per la sua strada? Se lo hai visto, allora hai visto me", canta Springsteen; ma in realtà è la voce "acusmatica" di Randy che parla, e spiega come si sente un combattente un po' in là con l'età dopo l'immersione in un mondo extra-diegetico. Si sente libero e felice, come un pony stupido o un cane zoppo: un personaggio deformato, proprio come quelli dipinti da John Steinbeck nei suoi romanzi. "Al contrario - scrive Roland Barthes - all'interno del ring, il Wrestler rimane un Dio, perché è, per alcuni momenti, la chiave che svela la Natura, il gesto puro che separa il Bene dal Male, e svela la forma della Giustizia, rendendola intelligibile" (Roland Barthes, "Il mondo del Wrestling", in Miti d'oggi, Torino, Einaudi 2005).
Viene da chiedersi, allora: cos'è reale? Il ring o il mondo deformante al di fuori di esso?
Il wrestling non è uno sport competitivo, questo lo sanno tutti, probabilmente non è neanche uno sport. E' solo uno spettacolo dell'eccesso; ma non è più falso delle soap opera, delle partite di football in televisione, o dei reality show. E' qualcosa che va oltre la semplice falsità, perché come direbbe Mick Foley - ex campione e autore di alcuni best seller sull'argomento - "Il mondo reale è più falso del Wrestling" (Mick Foley, Foley is Good: And The Real World is Faker Than Wrestling, New York, HarperCollins 2001).
Che ci piaccia o meno, questo è quanto sembra affermare Darren Aronofsky con il suo ultimo film.
The Wrestler è una pellicola girata col piglio artigianale del cinema americano degli anni Settanta, che racconta la storia di un uomo che ama definirsi "un ammasso di carne macellata": un prodotto scaduto della Reaganomics - aggiungiamo noi - consumato dai falsi valori (e dalla mediocre musica) degli anni Ottanta; un relitto fermamente convinto di aver visto iniziare la sua deriva in "quei fottuti anni Novanta"; e che si ritrova, in ultimo, relegato ai margini della Obamanomics del nuovo millennio.
"Il Wrestling - scrive sempre Barthes - ha il potere della transustanziazione, comune anche alla pratica religiosa". Non c'è dubbio che i segni metafisici di Randy - ovvero le sue innumerevoli cicatrici - hanno il potere di trasformare un corpo martoriato in una consunta pagina di storia americana. Nel corso di oltre 25 anni di carriera, l'Ariete ha imparato a far recitare il suo corpo, a renderlo credibile di fronte al pubblico, e a mutare le sue mosse predeterminate in segni fenomenologici. Vividi oggetti del mondo reale: come la fatiscente roulotte in cui è costretto a vivere; lo squallido supermarket presso il quale lavora durante la settimana; l'impossibile relazione con una figlia che gli è ormai estranea; la spogliarellista che crede di amare; il vecchio gioco Nintendo col quale si diverte come un bambino. Vividi, come i fottuti falsi totem dell'era Reagan che hanno trasformato i sogni in incubi.