lunedì 5 aprile 2010

OMAGGIO A JOHN CARPENTER (IN ATTESA DEL NUOVO FILM)

Di Diego Del Pozzo

La magnifica classicità del grande cinema "Made in Hollywood", filtrata attraverso una sensibilità personalissima e irriducibile a ogni compromesso, artistico e ideologico: è questo il binomio che domina ogni inquadratura della filmografia di John Carpenter, un regista che - scegliendo la presunta "lente deformante" del cinema fantastico - è riuscito a descrivere con straordinaria acutezza gli Stati Uniti dell'ultimo quarto del Novecento.
Decisamente sottovalutato come autore, soprattutto in patria, Carpenter rientra, infatti, senza dubbio tra i grandi cineasti del nostro tempo: un uomo di cinema colto e completo, abbevetarosi alla fonte inesauribile del cinema classico hollywoodiano - è nota, per esempio, la sua predilezione per i film di Howard Hawks - ma capace, al tempo stesso, di essere sempre perfettamente calato nella realtà socio-politica del suo tempo; un autore con proprie ossessioni contenutistiche e linguistiche che rendono ogni suo film immediatamente riconoscibile; un artista che ha operato irriducibilmente ai margini del sistema dei grandi Studios e i cui lavori non somigliano in niente a ciò che si produce oggi a Hollywood.
Dal punto di vista stilistico, un suo film si riconosce immediatamente per la maestria nella composizione dell'inquadratura in formato Cinemascope, per la padronanza nella gestione - spesso persino virtuosistica - del tempo (tensione, attesa, suspense), per l'utilizzo della musica (quasi sempre composta personalmente) come autentico spazio sonoro: l'eredità legittima dei registi americani di una volta è evidente, infatti, proprio nel lavoro concreto dell'artista-artigiano che cerca di controllare tutte le fasi della realizzazione di un film, dalla sceneggiatura - Carpenter scrive spesso, anche sotto pseudonimo - alle musiche e al montaggio. Per quanto riguarda i temi presenti nelle sue pellicole, invece, ce n'è uno assolutamente centrale: il Male, inteso di volta in volta come minaccia interna o esterna e che assedia (letteralmente: proprio il concetto di assedio, infatti, è fondamentale nella filmografia carpenteriana) i protagonisti di turno tra i quali si nasconde l'eroe della vicenda, spesso solitario e malinconico ma sempre irriducibile a ogni conformismo e a tutte le forme di controllo da parte dell'odiata Autorità (qualunque essa sia).
La sua, dunque, è una filmografia compatta e fortemente politica, con tanti elementi e persino volti ricorrenti; una filmografia personalissima ma che è diventata anche indicativa delle tendenze più originali e meno banali in atto nel panorama cinematografico statunitense degli ultimi trent'anni, dai paradigmatici Distretto 13: le brigate della morte (Assault on Precint 13, 1976) e Halloween: la notte delle streghe (Halloween, 1978) a Fog (The Fog, 1979), da Il seme della follia (In the Mouth of Madness, 1993) e Villaggio dei dannati (Village of the Damned, 1995) a ritroso fino a La cosa (The Thing, 1982), dalle due "Fughe" - 1997: Fuga da New York (Escape from New York, 1981) e Fuga da Los Angeles (Escape from L. A., 1996) - attraverso Il signore del male (Prince of Darkness, 1987) ed Essi vivono (They Live, 1988), fino ai più recenti Vampires (John Carpenter's Vampires, 1998) e Fantasmi da Marte (Ghosts of Mars, 2001).
Nel deserto di idee che è diventato il cinema hollywoodiano contemporaneo, questo grande regista non gira un film ormai da quasi dieci anni, se si escludono due episodi inclusi nella serie televisiva "d'autore" Masters of Horror. Comunque, dopo tanti progetti arenatisi per svariati motivi, più o meno seri, Carpenter sarà di nuovo nelle sale dal 24 settembre di quest'anno, col suo nuovo film intitolato The Ward. Speriamo bene...

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