sabato 4 giugno 2011

ABEL FERRARA PARLA DELLA "SUA" NAPOLI

Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 4 giugno 2011)

Ad Abel Ferrara Napoli è evidentemente rimasta dentro, tanto che il regista italo-americano di capolavori maledetti come Il cattivo tenente e The Addiction non esita a includerla tra i suoi luoghi dell’anima. L’occasione per un ritorno in Campania, da dove mancava da gennaio, è offerta dall’inizio della lavorazione del suo atteso nuovo film, prodotto dalla factory partenopea Figli del Bronx: un mix di fiction e documentario, ancora senza titolo ufficiale, dedicato al tema dell’emigrazione e, in particolare, alla figura di suo nonno, Abele Ferrara, che all’inizio del Novecento partì da Sarno, nel Salernitano, alla volta degli Stati Uniti, dove si fece una nuova vita a New York, nel Bronx.
Ma, Ferrara, come ha trovato la città a sei mesi dal suo più recente soggiorno?
“Purtroppo, sempre nelle stesse condizioni. Eppure, ricordo bene che all’inizio dell’anno il premier Berlusconi aveva promesso di liberarla dalla spazzatura in pochi giorni. Invece, oggi è tutto ancora come allora. Vuol dire che continueremo tutti ad aspettare fiduciosi…”.
Scherzi a parte, però, nel frattempo Napoli ha da pochi giorni un nuovo sindaco, Luigi de Magistris. Lei, attraverso i suoi amici napoletani, ha avuto modo di conoscerlo?
“Ho partecipato, qualche mese fa, a un’iniziativa organizzata in suo sostegno e mi ha fatto una buona impressione. Comunque, mi sembra estremamente positivo il fatto che il nuovo sindaco sia giovane e dinamico. Ma, alla prova dei fatti, dovrà dimostrarsi giovane nella testa, prim’ancora che nel fisico. In ogni caso, Napoli continua ad affascinarmi anche perché qui ognuno crede di poter essere il sindaco della città. Basti pensare che, a volte, anch’io mi sento così”.
I problemi che il nuovo sindaco dovrà affrontare sono tanti. Ha sentito, per esempio, del turista americano morto qualche giorno fa, in seguito alle ferite riportate durante un tentativo di rapina?
“Sì, ho sentito che alcuni balordi avevano provato a rubargli il Rolex e lui ha tentato di difendersi. E ho trovato molto triste il fatto che si sia arrivati a considerare più prezioso un orologio che la vita di un essere umano. Purtroppo, i modelli consumistici che ci trasmettono i mass media vanno proprio in questa direzione: magari non ho un lavoro, ma devo avere il mio orologio lussuoso da cinquemila euro, anche a costo di calpestare un innocente”.
Ma lei, che nei suoi film ha spesso riflettuto su argomenti come la violenza o il crimine, crede che la situazione napoletana presenti proprie caratteristiche peculiari?
“Assolutamente no. Anzi, sono convinto che Napoli non sia più o meno violenta di tante altre metropoli italiane e internazionali: questi episodi, infatti, accadono anche a Roma, a New York o a Los Angeles. Per sdrammatizzare, mi verrebbe da dire che a Napoli come a South L.A., nei quartieri meridionali della “Città degli angeli”, sia il troppo sole e l’eccessivo calore a causare queste esplosioni di violenza. Ma, ovviamente, nella realtà non è così”.
Dopo aver girato in città il suo precedente documentario Napoli, Napoli, Napoli, ha deciso di tornare all’ombra del Vesuvio anche per il nuovo film dedicato alla storia di suo nonno. Il legame con questa terra, insomma, resta più saldo che mai…
“Perché è proprio qui che ci sono le mie radici. La mia famiglia viene da Sarno e da Napoli: negli Stati Uniti loro hanno vissuto per poco più di un secolo, mentre qui hanno trascorso migliaia di anni. Napoli, dunque, fa parte del mio vissuto ed è un’emozione profonda che si trasmette di generazione in generazione, di padre in figlio”.

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