sabato 13 luglio 2013

UN RICORDO DELLA "LEGGENDA" RICHARD MATHESON

Di Diego Del Pozzo
(Mega n.° 193 - Luglio 2013)

Mentre mi accingevo a scrivere, con enorme ritardo sulla scadenza, l’articolo mensile per questa mia rubrica (e mi sarei dedicato al nuovo film su Superman, L’uomo d’acciaio, che a me è piaciuto davvero tanto), sono stato colpito da una brutta notizia appresa appena collegatomi a Internet: a 87 anni, il grande scrittore e sceneggiatore americano Richard Matheson ha deciso di lasciare questo mondo per recarsi definitivamente in uno tra i mille altri universi di fantasia da lui creati nel corso di una carriera inimitabile. Insomma, l’autore di romanzi “mitici” come Io sono leggenda, Tre millimetri al giorno, Io sono Helen Driscoll, per citarne solo alcuni, è morto.
Naturalmente, viene facile anche a me – come hanno fatto, del resto, tutti i media mondiali, appena appresa la triste notizia – parafrasare il titolo del suo libro più famoso e affermare che, sì, adesso Richard Matheson è davvero “leggenda”, proprio come il personaggio di Robert Neville che lui rese protagonista dell’indimenticabile romanzo post-apocalittico del 1954, trasposto negli anni in ben tre film. Ma, come nel caso dell’unico essere umano sopravvissuto in un mondo ormai totalmente popolato da vampiri, anche nel caso di Matheson l’aggettivo “leggendario” non è esagerato, poiché ben descrive uno tra i più importanti narratori americani del Novecento, un autore seminale che ha profondamente influenzato gli sviluppi successivi del macrogenere fantastico e che, con la sua arte schiettamente popolare ma personalissima, ha fatto in qualche modo da maestro persino per il “re dell’horror” Stephen King. “Quando la gente pensa al genere horror – raccontò anni fa proprio King – cita subito il mio nome, ma senza Richard Matheson io non sarei nemmeno qui. Posso considerarlo mio padre come Elvis Presley potrebbe fare con Bessie Smith”.
Per un gigante della fantascienza come Ray Bradbury, l’autore nato ad Allendale (New Jersey) nel 1926 è stato semplicemente “uno tra gli scrittori più importanti del Ventesimo secolo”. Con le sue invenzioni narrative, ha forgiato il gusto e le caratteristiche del Fantastico contemporaneo, dunque, incidendo in profondità anche su altri linguaggi come il cinema, la televisione, i fumetti e i videogames. I suoi meriti sono stati riconosciuti dai milioni di lettori che ha saputo conquistare, ma anche dai numerosi premi attribuitigli, tra i quali un “Edgar Allan Poe Award” e un “Bram Stoker Award” alla carriera. In Italia, per fortuna, è molto facile reperire le sue opere, attualmente pubblicate in ottime edizioni da Fanucci, sia per quel che concerne i racconti (con la prima edizione mondiale che li raccoglie integralmente in ordine cronologico, in quattro magnifici volumi, a partire dall’esordio del 1950, il memorabile Nato d’uomo e di donna), sia per i romanzi, in entrambi i casi spesso ispiratori di film di successo.
Trasferitosi in California dopo la laurea, Matheson ha dedicato davvero tutta la vita alla scrittura, esplorandone senza sosta le mille possibili declinazioni: romanzi, racconti, soggetti e sceneggiature per il cinema e per la televisione. Fili conduttori tematici della sua sterminata produzione sono lo sguardo attento all’emarginazione sociale e l’inserimento della paura e del terrore all’interno della quotidianità. E proprio il rapporto originale tra fantastico e reale, con i germi destabilizzanti del primo pronti a insinuarsi in maniera inattesa in scenari contemporanei concreti e assolutamente realistici, lega il “maestro” Matheson a uno straordinario “allievo” come King: basti pensare, tra le pagine dell’uno e dell’altro, alle centinaia di tipiche cittadine di provincia americane, ordinarie fin quasi allo stereotipo, improvvisamente trasfigurate in luoghi da incubo attraverso l’irruzione di elementi fantastici e sovrannaturali.
Come detto, la sua pratica di scrittura s’è misurata costantemente col cinema e con la televisione. Per il piccolo schermo, dove ha scritto anche per Star Trek e per la serie antologica di Alfred Hitchcock, basti la citazione della storica serie fantastica di Rod Serling The Twilight Zone (Ai confini della realtà, 1959-1964), della quale è stato certamente uno tra gli autori di punta e che ha contribuito a caratterizzare fortemente con la sua inesauribile fantasia e la capacità di utilizzare racconti “di genere” come metafore perfette degli Stati Uniti del periodo e, in particolare, dei suoi lati oscuri.
Per il cinema, invece, ha scritto o ispirato davvero tanti film. Sue sono, per esempio, le sceneggiature del celebre “Ciclo di Poe” diretto da Roger Corman per la American International Pictures, oppure quelle di titoli come Il padrone del mondo (1961) e Lo squalo 3 (1983). Mentre Hitchcock rifiutò l’interessante script che gli aveva commissionato per Gli uccelli, perché non condivideva l’idea di Matheson di non mostrare mai i volatili, facendone soltanto percepire la minaccia. La sua sceneggiatura più famosa, però, resta quella di Duel (1971), l’adrenalinico esordio alla regia di Steven Spielberg tratto da un suo racconto omonimo: prodotto per la tv, ma distribuito anche al cinema, è l’indimenticabile thriller su una folle e ossessiva sfida stradale tra l’auto guidata da un placido commesso viaggiatore e l’autocisterna di un misterioso camionista con gli stivali. Ma già nel 1957, il regista Jack Arnold aveva portato sul grande schermo il romanzo omonimo di Matheson dell’anno precedente, trasformandolo in uno tra i titoli più celebri dell’intera storia della fantascienza cinematografica: The Incredible Shrinking Man, in italiano Tre millimetri al giorno il libro e Radiazioni BX: distruzione uomo il film. In anni più recenti, quindi, sono usciti Echi mortali (1999) di David Koepp, tratto da Io sono Helen Driscoll del 1958; The Box (2009) di Richard Kelly, dal racconto Button, Button del 1970; Real Steel (2011) di Shawn Levy, prodotto da Steven Spielberg e Robert Zemeckis, ispirato al racconto Acciaio (Steel) già adattato per un episodio televisivo di Ai confini della realtà. La chiusura non può essere che per Io sono leggenda (I Am Legend), romanzo-capolavoro del 1954 che ha prodotto ben tre versioni filmiche ufficiali e ispirato una miriade di altre pellicole e serie televisive. Le prime, quelle ufficiali, sono l’italiano L’ultimo uomo della Terra (1964) di Ubaldo Ragona con Vincent Price (il migliore), 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra (1971) di Boris Sagal e Io sono leggenda (2007) di Francis Lawrence. Tra coloro che hanno tratto ben più di un’ispirazione da questo romanzo, invece, non posso fare a meno di citare il George Romero de La notte dei morti viventi (1968) e, poiché questa è una rivista sui fumetti, il Robert Kirkman di The Walking Dead, serie post-apocalittica per antonomasia, su carta e in tv, che probabilmente non sarebbe esistita senza la fantasia di Richard Matheson.

LIBRI PER L'ESTATE: "NON MI AVRETE MAI" (DI VAIO & LOMBARDI)

Di Diego Del Pozzo

Salvatore Capone è uno scugnizzo “di mezzo alla strada”, un ragazzo cresciuto nel degrado fisico e morale della periferia nord di Napoli, tra Scampia e Piscinola, uno che inizia a rubare perché povero e che, man mano, diventa una sorta di piccola leggenda nel suo rione, “Stelletella” (questo il suo nomignolo), sesto di dieci figli, ladruncolo di pneumatici e autoradio già a nove anni, poi scippatore e rapinatore a mano armata, quindi responsabile di una piazza di spaccio da tremila dosi al giorno, in una corsa senza sosta che, dopo l’ulteriore accelerazione provocata dall’incontro terribile con la droga (cocaina e poi eroina), termina inevitabilmente nell’inferno di Poggioreale, l’Alcatraz napoletano, dove però la sua esistenza cambia per sempre. Proprio tra quelle mura senza speranza, infatti, Salvatore capisce come incanalare in maniera costruttiva l’irredimibile grido di ribellione che risuona nella sua testa fin da bambino, quel “Non mi avrete mai” che lo porta a opporsi istintivamente a qualunque autorità costituita e, negli anni, a fuggire dai luoghi di reclusione – siano essi scuole, collegi, riformatori, carceri minorili, centri d’igiene mentale, comunità di recupero – nei quali di volta in volta si trova costretto.
E proprio Non mi avrete mai (340 pagine, 17.50 euro, Einaudi Stile Libero) è il titolo del libro scritto da Gaetano Di Vaio e Guido Lombardi che raccoglie le avventure di volta in volta tragicomiche, drammatiche, pietose, surreali, cupissime, ridicole, disperate, a tratti epiche, spesso romantiche, persino divertenti di Salvatore Capone. Rispetto a tanti altri “romanzi criminali” in chiave vesuviana nati sulla scia di Gomorra, però, questa storia ha decisamente una marcia in più: la senti vera, non artefatta né costruita, vita reale trasformata in magmatica materia narrativa. Questo perché Salvatore Capone non è un’invenzione di fantasia ma esiste davvero, come esplicitamente segnalato in apertura di volume, a scanso di equivoci: “La storia che il protagonista narra non è frutto di fantasia, ma è alimentata dai ricordi e dalle esperienze personali realmente vissute da Gaetano Di Vaio, uno degli autori, pur rappresentate con linguaggio letterario”.
L’approccio scelto da Di Vaio e Lombardi – il primo, oggi, è un produttore cinematografico indipendente di successo con la factory Figli del Bronx; il secondo, è il regista di Là-bas, migliore opera prima due anni fa a Venezia, già pronto col suo secondo film Take Five – funziona a meraviglia perché abbina l’intenso coinvolgimento “in prima persona” dell’uno con la perizia tecnica e la fluidità narrativa dell’altro. E i continui andirivieni nel tempo, i ricordi del passato criminale, i lampi accecanti di un futuro di redenzione appena suggerito (ma oggi pienamente compiuto), la polifonia derivante dalle voci dei tanti personaggi di contorno perfettamente delineati anche in poche righe (dal boss Carminiello all’amico Mimmo, dai violenti secondini Cu-cù e Schwarzenegger al compagno di cella e maestro di letture detto ‘o Poppo), la tenerezza di un amore più forte di tutto l’orrore circostante (quello di Salvatore per la giovane moglie Lucia) acquistano così consistenza quasi materica e, soprattutto, catturano il lettore con la stessa forza visionaria di un fiammeggiante kolossal cinematografico che, se fosse ancora vivo Sergio Leone, non potrebbe che intitolarsi C’era una volta a Napoli. Kolossal che, vista anche la dimestichezza dei due autori col mondo del cinema, in futuro qualcuno senz’altro realizzerà.