martedì 12 giugno 2012

PER SPRINGSTEEN, CANTANDO SOTTO LA PIOGGIA

Di Roberto Alajmo
(Il Mattino - 12 giugno 2012)

Just Singin' in the Rain...
Come ci sei arrivato in mezzo al diluvio? Tu sei una persona di mezza età, che ascolta Mozart e soffre a stare in mezzo alla folla. Eppure in questo momento sei solo uno dei quarantamila bagnati fradici che ascoltano l’ironia di «Who’ll stop the rain», canto che sale fino al cielo di Firenze e rimane inascoltato.
È una lunga storia, che comincia trentacinque anni fa, quando qualcuno ti fece sentire il disco di quello che definivano l’erede di Bob Dylan. Da allora vi siete un po’ persi di vista, ma Bruce Springsteen è rimasto uno di quei compagni di scuola che incontrare è una festa. Uno di quelli che la vita ha mandato su un altro binario, e pazienza. O forse sei tu quello che è finito su un binario diverso, perché a vederlo strizzato in quella maglietta dalle maniche troppo corte - lui, Springsteen - pare sempre uguale a se stesso. Il motivo per cui sei al concerto di Firenze si trova accanto a te, si chiama Arturo e idealmente si colloca a metà strada sulla linea di tempo dei trentacinque che ti separano da quel primo ascolto: è nato diciassette anni fa ed è tuo figlio.
Arturo si trova nel pieno di quell’età in cui per convincerlo a partire con un genitore bisogna ricorrere a trucchi anche un po’ meschini. Allettarlo con due biglietti per il concerto di Springsteen, ammettilo, è stato un trucco. In ogni caso, ha funzionato, perché Springsteen è un classico moderno che piace a entrambi. Ora che siete lì, ti rendi conto di non essere nemmeno tanto originale, visto che sei circondato di coppie formate da padri e figli. Facile immaginare che molte di queste strane coppie hanno una storia simile alla vostra.
Non dovete sembrare tanto eccentrici o patetici, se il vicino, poco prima che il concerto cominci, vi ha offerto una canna. Arturo ti guarda, e nella sua esitazione di un attimo tu ti rendi conto che quell’oggetto non gli è sconosciuto: ciò che normalmente ti avrebbe scandalizzato e che invece, in questa serata extratemporale ti sembra un po’ meno preoccupante di quanto dovrebbe.
Tutta colpa di questo signore sessantatreenne che corre e salta come un grillo canterino, si butta a corpo morto in mezzo alla folla, esce in continuazione da sotto la copertura del palco a prendere la stessa pioggia del suo popolo. E quando alla fine di «Born in the Usa» allarga le braccia e solleva il volto sfidando la pioggia ad occhi chiusi, tu finisci di capire che Springsteen non è soltanto musica. È proprio una questione fisica, legata al suo corpo eroico, che dal vivo si offre sprigionando un portento che è difficile immaginare se non lo si vede coi propri occhi, oltre che sentire con le orecchie. Questo è Springsteen, in questo consiste la miscela di furore e leggerezza che lo rendono leggendario: musica che assume consistenza carnale.

Certo, c’entra anche la pioggia, che è cominciata proprio sulle prime note della E Street Band ed è andata rinforzando progressivamente fino a rendere inutili ombrelli e impemeabili, convincendo tutto il pubblico a scaldarsi solo a forza di adrenalina. Dopo due ore di concerto scatta il chissenefrega della pioggia. Dopo tre, l’eroe sul palco chiede al popolo se per caso ne ha abbastanza, e la risposta è un tuono di quarantamila no. Arriva allora il pezzo che aspettavi dall’inizio, il primo che hai conosciuto di Springsteen: «Born to run». E tu a quel punto dimentichi te stesso e sei solo un attimo in mezzo al susseguirsi delle generazioni, ma accanto a te c’è Arturo e questo basta a renderti felice. Lo abbracci, e anche lui ti abbraccia: il miracolo dell’abbraccio da parte di tuo figlio diciassettenne. A quel punto il diluvio è una risorsa, perché ti consente di nascondere una lacrimuccia. Fa bene piangere, di tanto in tanto. E almeno per i prossimi diciassette anni, tu puoi dire di essere a posto.

lunedì 4 giugno 2012

IL CINEMA SECONDO SPRINGSTEEN: IL SERVIZIO DELL'ANSA

Mentre Bruce Springsteen sta per arrivare in Italia col suo Wrecking Ball Tour per le tre attesissime date di Milano (giovedì), Firenze (domenica) e Trieste (lunedì), un nuovo libro approfondisce, per la prima volta al mondo in maniera così organica e strutturata, il rapporto tra il "Boss" e il cinema: rapporto saldissimo e al di sopra di ogni sospetto, se si pensa semplicemente alla scelta di aprire anche i concerti del nuovo tour sulle note di tanti celebri western cinematografici, a partire da quelli, da lui amatissimi, musicati da Ennio Morricone per Sergio Leone.
Il libro s'intitola "Il cinema secondo Springsteen" (240 pagine, 12 euro) - con chiaro riferimento allo storico saggio cinefilo di Francois Truffaut "Il cinema secondo Hitchcock" - e lo hanno curato il giornalista e saggista Diego Del Pozzo e lo storico del cinema Vincenzo Esposito per il marchio Quaderni di Cinemasud delle edizioni irpine Mephite come primo titolo della collana editoriale "visionirock". Ed è interessante che lo studio arrivi proprio dalla Campania (dov'è stato presentato in anteprima nei giorni scorsi, al Palazzo delle Arti di Napoli, durante l'omonima manifestazione culturale), a conferma del saldo legame di Springsteen con una regione nella quale si trova parte delle proprie origini familiari (la mamma, Adele Zirilli, è figlia di due emigranti di Vico Equense, in Costiera sorrentina).
Nel loro libro, Del Pozzo ed Esposito esplorano la relazione affascinante e complessa tra il rocker del New Jersey e la Settima Arte, non riducibile alla sola presenza dell'artista nei film, in veste di attore o autore di brani da colonna sonora, come nei casi di Elvis Presley, Beatles, Rolling Stones, Bob Dylan o David Bowie. "No, il suo caso - spiegano i due curatori del volume - è diverso. Diremmo, addirittura unico. Innanzitutto, perché unica nel panorama della popular music contemporanea è la profondità della traccia più immediatamente individuabile: cioè, quella riguardante la "musica ispirata dal cinema", che nel suo caso non si limita a una specifica relazione diretta tra le canzoni e alcuni film di riferimento, ma investe, più in generale, una buona parte del patrimonio culturale del cinema americano, inteso in tutte le sue declinazioni. Poi, però, a rendere ancora più sfuggente e complessa la materia, c'è la consapevolezza di quanto Springsteen stesso abbia, nel corso dei decenni, influenzato tanto cinema americano con "pezzi di immaginario" direttamente riconducibili alla sua produzione artistica". Il rapporto tra il rocker e il cinema, dunque, è fortemente empatico e si sviluppa, in particolar modo nella seconda parte della carriera, in maniera quantomeno paritaria, tra un continuare a "prendere" dal cinema e un "dare" all'immaginario popolare americano.
"Il cinema secondo Springsteen", dopo la prefazione del critico cinematografico Valerio Caprara, si apre con i lunghi saggi di Vincenzo Esposito ("Bruce Springsteen e l'immaginario cinematografico americano (1973-1990)") e Diego Del Pozzo ("Di diavoli e di polvere. Springsteen e il cinema americano della Nuova Grande Depressione"), dedicati alle due fasi della carriera del "Boss": il primo dagli esordi alla fine degli anni Ottanta (con approfondimento dei meccanismi di ricezione della "emotion machine" cinematografica), il secondo dall'album "Tunnel of Love" al recente "Wrecking Ball", con particolare enfasi posta sulle dinamiche socio-culturali che consentono a Springsteen, dalla metà degli anni Novanta in poi, di diventare un punto di riferimento per il cinema e, più in generale, per l'intera cultura e società americane. Nelle dense analisi dei due curatori, scorrono l'uno dopo l'altro titoli di film che hanno segnato in profondità l'immaginario springsteeniano e la sua scrittura (per esempio, "Furore" e "Sentieri selvaggi" di John Ford, il noir "Thunder Road" o "Badlands" di Terrence Malick), ma anche altri più o meno direttamente ispirati dall'arte del musicista (da "Lupo solitario" di Sean Penn al poliziesco "Cop Land", dal neo-western "Le tre sepolture" al dolente "The Wrestler" con Mickey Rourke). Ma c'è ampio spazio, naturalmente, pure per l'Oscar vinto nel 1994 per la canzone "Streets of Philadelphia" inclusa in "Philadelphia" di Jonathan Demme e per gli altri brani originali composti per il cinema.
Nella sua parte centrale, il libro presenta due contributi di Antonio Tricomi (sui videoclip, spesso "d'autore", che hanno contribuito a dare ulteriore forza visiva alle canzoni) e Fabio Maiello (sulla centralità delle liriche nell'universo della "Springsteen Soundtrack"), mentre la sezione conclusiva (un lungo saggio di Corrado Morra, presidente della Scuola di cinema Pigrecoemme di Napoli) indaga, con approccio critico innovativo, sull'evoluzione dell'Icona Springsteen nel corso dei decenni a partire dalle immagini delle copertine dei suoi album. Completano il libro filmografie e videografie finali, oltre alla dettagliata bibliografia.
Fonte: Ansa.

domenica 3 giugno 2012

IL CINEMA SECONDO SPRINGSTEEN: IL LIBRO



IL CINEMA SECONDO SPRINGSTEEN

A cura di Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito

240 pagine, 12 euro

Pubblicato da Quaderni di Cinemasud per Mephite Edizioni


Con contributi di Fabio Maiello, Corrado Morra, Antonio Tricomi
Prefazione di Valerio Caprara

Primo titolo della nuova collana editoriale “visionirock”, diretta da Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito

Quarta di copertina
Il rapporto tra Bruce Springsteen e il cinema è affascinante e complesso. E non può essere ridotto alla presenza del rocker del New Jersey nei film, in veste di attore o autore di brani da colonna sonora, come accade per Elvis, Beatles, Rolling Stones, Dylan o Bowie. Il caso di Springsteen è diverso, persino unico, per la profonda influenza che il patrimonio culturale del cinema americano ha esercitato sulla sua scrittura estremamente “visiva”; ma anche per come egli stesso ha ispirato tanti film e cineasti con “pezzi di immaginario” derivanti dalla sua produzione. Si è di fronte, dunque, a un rapporto fortemente empatico e assolutamente paritario, fatto di un “prendere” dal cinema ma anche di un generoso “dare” all’immaginario popolare americano. Il libro curato da Del Pozzo ed Esposito ne ripercorre le tappe e, con ulteriori approfondimenti (Tricomi e Maiello) e un’ampia analisi iconologica (Morra), ne restituisce la ricchezza e l’assoluta originalità.

I curatori
Diego Del Pozzo, giornalista e critico, è autore del libro Ai confini della realtà. Cinquant’anni di telefilm americani (Torino, 2002) e dei testi del volume fotografico di Gianni Fiorito Scenari. Dieci anni di cinema in Campania (Napoli, 2006). Ha curato con Vincenzo Esposito Rock Around the Screen (Napoli, 2009). Ha pubblicato numerosi saggi in volumi collettivi, enciclopedie, cataloghi di festival, riviste specializzate. Collabora col quotidiano Il Mattino e fa parte del comitato editoriale della rivista Quaderni di Cinemasud.
Vincenzo Esposito, storico del cinema, è autore di una monografia su Alf Sjöberg (Roma, 1998) e di un libro sul cinema svedese, La luce e il silenzio (Napoli, 2001). Ha curato con Diego Del Pozzo il volume Rock Around the Screen (Napoli, 2009). Ha pubblicato molti saggi in volumi collettivi e riviste specializzate. Dirige l’Italian Film Festival di Stoccolma. Insegna Teoria e Analisi del Cinema all’Accademia di Belle Arti di Napoli.

Sommario
  • Prefazione di Valerio Caprara
  • Introduzione
  • Vincenzo Esposito, Bruce Springsteen e l’immaginario cinematografico americano (1973-1990)
  • Diego Del Pozzo, Di diavoli e di polvere. Springsteen e il cinema americano della “Nuova Grande Depressione”
  • Antonio Tricomi, Video, Family and Friends
  • Fabio Maiello, Soundtrack Springsteen: musica e liriche per lo schermo
  • Corrado Morra, Darkness on the Edge of Tune. Per un’iconologia di Bruce Springsteen
  • Filmografie e videografie
  • Bibliografia
  • Schede degli autori

venerdì 1 giugno 2012

IL CINEMA SECONDO SPRINGSTEEN: ULTIMI FILM, MA LA MOSTRA VA AVANTI...

Si conclude oggi, venerdì 1 giugno, nella FilmZone del Pan - Palazzo delle Arti di Napoli, il programma di proiezioni della rassegna "Il cinema secondo Springsteen", curata da Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito e dedicata al rapporto, profondo e originalissimo, tra il Boss e la Settima Arte.
La giornata conclusiva propone alle 16, il capolavoro western di John Ford, "The Searchers" ("Sentieri selvaggi", 1956), film amatissimo da Bruce Springsteen. E alle 18 chiusura affidata a "The Indian Runner" ("Lupo solitario", 1991), esordio alla regia di Sean Penn, che riprende la trama del brano "Highway Patrolman" inserito nell'album "Nebraska". L'ingresso è gratuito.
La parte espositiva de "Il cinema secondo Springsteen", però, prosegue. In considerazione del notevole successo, infatti, è stata prorogata fino a domenica alle ore 14 la mostra intitolata "Like a Vision", prodotta dall'associazione culturale Pink Cadillac Music. L'esposizione, per la prima volta in Italia, illustra la natura e la complessità della relazione "a doppio senso" tra Springsteen e il cinema attraverso riproduzioni di poster e locandine. La prima sezione è intitolata "Il cinema e Springsteen" ed è dedicata a quei film che, per esplicita dichiarazione dell'artista, ne hanno alimentato l'immaginario, a partire dai classici degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta - noir, western, i capolavori di Capra, Ford, Kazan - fino a opere degli anni Settanta come "L'ultimo spettacolo" di Bogdanovich, "Badlands" di Malick e i lavori di Scorsese. La seconda sezione, "Springsteen per il cinema", presenta i film per i quali il rocker del New Jersey ha scritto espressamente brani originali, da "Philadelphia" di Jonathan Demme a "Dead Man Walking" di Tim Robbins fino al più recente "The Wrestler" vincitore a Venezia nel 2008. Menzione particolare merita "The Indian Runner" ("Lupo Solitario") di Sean Penn, ispirato al testo di "Highway Patrolman", caso forse unico di lungometraggio tratto integralmente da una canzone.
La terza sezione, "Springsteen nel cinema", è una selezione di film, (tra quasi una settantina di pellicole) particolarmente significativi, nei quali i registi (da Kenneth Branagh a Spike Lee, tra i tanti) hanno voluto canzoni di Springsteen nei titoli di testa o di coda, per sottolineare passaggi cruciali o ancora per delineare personaggi e ambientazioni. Un caso a parte è costituito da "Alta Fedeltà", col celebre cameo di Bruce che interpreta se stesso, apparendo in sogno al protagonista. La quarta sezione è quella dei rockumentaries sulla produzione discografica o live di Springsteen e su quella di altri artisti nei quali vi è la sua partecipazione: documentazione quanto mai vasta, per la quale si é resa necessaria una drastica selezione, fino a includere lo storico "No Nukes" del 1980, ma anche i recenti "Wings for Wheels" (2005) e "The Promise" (2011), i due "making of" di Thom Zimny dedicati ai due capolavori springsteeniani degli anni Settanta: "Born to Run" e "Darkness on the Edge of Town".
"Il cinema secondo Springsteen" prende titolo e taglio dall'omonimo libro, a cura sempre di Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito, presentato in anteprima al Pan durante la giornata inaugurale della rassegna, organizzata dalla Scuola di cinema, televisione e fotografia Pigrecoemme, in collaborazione con l'associazione culturale Blackout, il Centro regionale Ficc Campania e l'associazione culturale Pink Cadillac Music, col patrocinio dell'Assessorato alla Cultura e al turismo del Comune di Napoli.
Fonte: Ansa.