Per ricordare a modo mio il grande Francesco Rosi, scomparso oggi a 92 anni, ripropongo qui un mio servizio del 17 ottobre 2013, pubblicato sul quotidiano Il Mattino in occasione dell'ultima visita del regista a Napoli, quando incontrò più di 500 studenti al multicinema Modernissimo dopo la proiezione della copia restaurata del suo capolavoro Le mani sulla città. Rosi teneva tantissimo a quel confronto con così tanti giovani della sua città e lo rese assolutamente indimenticabile, a modo suo, con grinta, rigore e lucidità. (d.d.p.)
----------------------------------------------------------
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 17 ottobre 2013)
Quando Francesco Rosi varca la soglia della sala grande del Modernissimo l’emozione in platea è forte, quasi palpabile. Gli oltre 500 studenti napoletani riuniti nella multisala napoletana dall’associazione Moby Dick Scuola nell’ambito di “Venezia a Napoli – Il cinema esteso”, infatti, hanno appena finito di vedere “Le mani sulla città”, nella splendida copia restaurata dalla Cineteca nazionale. E hanno potuto confrontarsi, per la prima volta nella maggior parte dei casi, con la potenza stilistica e contenutistica del grande cinema italiano d’impegno civile e con l’approccio rabbioso e visionario di un regista che, grazie a quel film giustamente premiato col Leone d’oro alla Mostra di Venezia 1963, seppe anticipare i tempi e denunciò praticamente in diretta il sacco edilizio di Napoli da parte di una classe politico-imprenditoriale più interessata al proprio personale profitto piuttosto che al bene pubblico.
L’applauso per Rosi è scrosciante, intenso. E il grande regista non nasconde la propria commozione, per un incontro fortemente voluto fin da quando, a dicembre scorso, rivolse proprio ai giovani della sua città d’origine un pensiero commosso dal palco del teatro San Carlo, durante la serata-omaggio per i suoi 90 anni. “Ho accettato l’invito a “Venezia a Napoli” proprio perché volevo incontrare voi”, dice rivolto alla platea: “E sono interessato a capire che effetto vi ha fatto il mio film, a 50 anni dall’uscita”.
Le domande dei ragazzi non si fanno attendere e, come nel suo carattere, il vecchio leone, oggi novantunenne, ruggisce ancora. “All’epoca, “Le mani sulla città” aprì alla comprensione di ciò che la politica avrebbe dovuto fare per migliorare la vita dei nostri figli. Quello che accadde a Napoli in quegli anni, infatti, ha mutato per sempre il corretto sviluppo, non soltanto urbanistico ma anche sociale, della città. Tutti quei palazzoni brutti fanno parte da allora della quotidianità dei ragazzi: veri e propri insulti alla bellezza e alla qualità della vita, le cui conseguenze hanno inevitabilmente colpito soprattutto i più giovani, buttati per strada e diventati vittime della criminalità. A volte, mi sembra quasi come se da parte della politica e degli adulti vi fosse una sorta di accanimento contro le necessità primarie dei più giovani: accanimento evidentemente finalizzato a impedire una loro piena presa di coscienza”.
C’è chi chiede a Francesco Rosi di parlare dei suoi inizi (“Mi sono formato con i maestri del neorealismo, che anche voi dovreste riscoprire, magari con l’aiuto dei vostri professori”), chi lo sollecita sulla rinascita del documentario italiano (“Credo che sia dovuta alla voglia di comprendere la realtà e al fatto che, col documentario, la si può raccontare in modo diretto”) e chi ne stuzzica la vis polemica nei confronti del momento attuale della città (“Nei secoli, Napoli è caduta e si è rialzata talmente tante volte che io, da napoletano, devo credere in una nuova rinascita futura, anche se la lotta diventa sempre più difficile”). Il grande autore di “Salvatore Giuliano” e “La sfida”, però, s’infervora soprattutto quando parla di ciò che gli studenti dovranno fare per vincere le sfide che li attendono: “Dovete innanzitutto studiare, conoscere il vostro passato per decodificare meglio il presente. Rispettate chi ha vissuto più di voi – dice rivolto ai ragazzi in sala – e crescete puntando sul lavoro onesto e sulla voglia di fare sempre il meglio. Magari, rivolgetevi ai grandi esempi di coloro che, nel passato, hanno combattuto le ingiustizie. E non fatevi ingannare da quegli adulti, per esempio i criminali, che vogliono soltanto sfruttarvi e avvelenarvi le vite con falsi obiettivi puramente distruttivi”. E, come esempio positivo, Rosi cita Roberto Saviano. “Per me, è un grande uomo, civile e coraggiosissimo, capace di affrontare una vita quotidiana impossibile pur di difendere le proprie idee. Sono stato felice, quando ha detto di aver preso tanto dai miei film e da come li ho realizzati per analizzare e raccontare la società italiana. La vita è una lunga lotta. E sono convinto che la si debba vivere proprio così: in modo civile e storicamente fondato”. Dopo una veloce pizza nel centro antico, nel pomeriggio il maestro è di nuovo al Modernissimo per salutare gli spettatori di un’altra proiezione de “Le mani sulla città”. E, introdotto dal regista Stefano Incerti, che qualche anno fa realizzò un bel documentario su di lui, Rosi parla soprattutto dell’eterno innamoramento verso quello che lui continua a chiamare cinematografo. Poi, a conferma delle sue parole, non resiste alla tentazione di rivedere l’inizio del film. Un’auto lo attende all’esterno per riportarlo a Roma, ma il vecchio leone decide di restare seduto in platea: “Rimango fino alla fine, perché queste emozioni mi piacciono troppo”.