Per ora, auguro a tutti i lettori un'estate felice e riposante...
mercoledì 28 luglio 2010
BUONE VACANZE!
I miei blog vanno in vacanza per qualche giorno. In questo periodo potrebbero esserci aggiornamenti più o meno regolari, o forse no. Vedremo...
Per ora, auguro a tutti i lettori un'estate felice e riposante...
Per ora, auguro a tutti i lettori un'estate felice e riposante...
domenica 25 luglio 2010
INTERVISTA A VALERIA GOLINO, NEO-REGISTA DI TALENTO
Di Diego Del Pozzo
Nei giorni scorsi ho intervistato per Il Mattino l'attrice e neo-regista Valeria Golino, in occasione della presentazione a Napoli del suo esordio registico, il bel cortometraggio Armandino e il Madre, che è stato selezionato per la sezione Pardi di domani del Festival del cinema di Locarno, dove sarà proiettato il 7 agosto. "Sono davvero felicissima - mi ha confidato Valeria - perché quella di Locarno è un'occasione importante, che potrebbe offrire ulteriore visibilità a questo corto".
Ma come ti sei trovata nel ruolo inedito di regista?
"Veramente a mio agio. Anzi, pensavo che fosse tutto molto più duro. Invece, se la regia è così voglio assolutamente proseguire in questa nuova esperienza".
Stai già lavorando a un nuovo progetto?
"Sto scrivendo il mio primo lungometraggio, assieme alle amiche sceneggiatrici Francesca Marciano e Valia Santella. Lo produrrò con la società che io e il mio compagno Riccardo Scamarcio abbiamo aperto insieme. A differenza del mio corto d'esordio, non sarà ambientato a Napoli e racconterà una vicenda dura e decisamente scomoda. Tra l'altro, credo che mi troverò meglio a dirigere un film lungo, perché il cortometraggio non è il mio formato narrativo ideale, in quanto non mi permette di poter raccontare storie lunghe andando più in profondità".
Quella di Armandino e il Madre, però, è una storia ben strutturata e narrativamente definita. Cosa porti con te di questa prima esperienza da regista?
"Sicuramente i volti e gli occhi dei bambini con i quali ho lavorato: cioè il vero Armandino - perché quella raccontata nel corto è una storia vera - e il dolcissimo Denis che ho scelto per interpretarlo. Poi, le suggestioni di un luogo molto cinematografico come il museo Madre, perfettamente inserito nel tessuto connettivo della città. Qui è avvenuta una magia, perché l'idea di ambientare il corto nel museo è stata mia, ma la storia del piccolo Armandino e di suo fratello maggiore Roberto mi è letteralmente sbattuta addosso, fuoriuscendo dalla realtà del quartiere per conquistarmi all'istante".
Il tuo cortometraggio è un'operazione interessante anche dal punto di vista produttivo, soprattutto in un momento economicamente difficile per l'industria cinematografica italiana. Hai mai provato imbarazzo per esser stata finanziata da un pastificio?
"Assolutamente no, anzi. Il pastificio storico Garofalo, che già da qualche anno sta investendo nel cinema italiano, ha scelto un modo elegante per crearsi un ritorno d'immagine e lo ha fatto senza mai chiedermi nulla se non di ambientare a Napoli, che peraltro è la mia città, il film. Credo che in un momento come quello attuale tanti altri imprenditori privati potrebbero seguire il loro esempio e finanziare cultura".
Cosa ti aspetta dopo la presenza a Locarno col tuo corto?
"Oltre a dedicarmi con Riccardo alla progettazione del mio primo lungometraggio, sarò presente come attrice in due film che si vedranno ai festival di Venezia e Roma. Al Lido, infatti, sarò la protagonista del cortometraggio Come un soffio, diretto da Michela Cescon, anche lei attrice, tra gli altri per Matteo Garrone e Marco Bellocchio. Alla rassegna della capitale, invece, parteciperò con Laria di Valerio Jalongo, nel quale ho il ruolo di una insegnante che, assieme al collega interpretato da Vincenzo Amato, scopre il talento musicale di un ragazzo che frequenta una scuola in una periferia difficile".
Hai in cantiere anche qualche progetto all’estero?
"Ho terminato venerdì in Francia le riprese di Le baiser papillon, il primo film della regista franco-senegalese Karine Silla, che peraltro è la compagna di Vincent Perez. Proprio Vincent è il protagonista maschile, accanto a me e ad altri interpreti di rango come Cecile de France, Elsa Zylberstein, Jalil Lespert e Gérard Depardieu. Io interpreto Billie, una donna in apparenza felice, con un bel marito, due figli, un lavoro di restauratrice che la soddisfa. Purtroppo, però, Billie scopre di essere affetta da un male che non perdona e che, ovviamente, le cambia l'esistenza".
Alla proiezione napoletana, tenutasi proprio all'interno del museo Madre, Valeria è intervenuta assieme al compagno Riccardo Scamarcio. Pertanto, la coppia ha avuto modo di dividersi equamente gli entusiasmi della platea maschile e di quella femminile, nel corso di una serata organizzata in maniera impeccabile e perfettamente riuscita.
Ma come ti sei trovata nel ruolo inedito di regista?
"Veramente a mio agio. Anzi, pensavo che fosse tutto molto più duro. Invece, se la regia è così voglio assolutamente proseguire in questa nuova esperienza".
Stai già lavorando a un nuovo progetto?
"Sto scrivendo il mio primo lungometraggio, assieme alle amiche sceneggiatrici Francesca Marciano e Valia Santella. Lo produrrò con la società che io e il mio compagno Riccardo Scamarcio abbiamo aperto insieme. A differenza del mio corto d'esordio, non sarà ambientato a Napoli e racconterà una vicenda dura e decisamente scomoda. Tra l'altro, credo che mi troverò meglio a dirigere un film lungo, perché il cortometraggio non è il mio formato narrativo ideale, in quanto non mi permette di poter raccontare storie lunghe andando più in profondità".
Quella di Armandino e il Madre, però, è una storia ben strutturata e narrativamente definita. Cosa porti con te di questa prima esperienza da regista?
"Sicuramente i volti e gli occhi dei bambini con i quali ho lavorato: cioè il vero Armandino - perché quella raccontata nel corto è una storia vera - e il dolcissimo Denis che ho scelto per interpretarlo. Poi, le suggestioni di un luogo molto cinematografico come il museo Madre, perfettamente inserito nel tessuto connettivo della città. Qui è avvenuta una magia, perché l'idea di ambientare il corto nel museo è stata mia, ma la storia del piccolo Armandino e di suo fratello maggiore Roberto mi è letteralmente sbattuta addosso, fuoriuscendo dalla realtà del quartiere per conquistarmi all'istante".
Il tuo cortometraggio è un'operazione interessante anche dal punto di vista produttivo, soprattutto in un momento economicamente difficile per l'industria cinematografica italiana. Hai mai provato imbarazzo per esser stata finanziata da un pastificio?
"Assolutamente no, anzi. Il pastificio storico Garofalo, che già da qualche anno sta investendo nel cinema italiano, ha scelto un modo elegante per crearsi un ritorno d'immagine e lo ha fatto senza mai chiedermi nulla se non di ambientare a Napoli, che peraltro è la mia città, il film. Credo che in un momento come quello attuale tanti altri imprenditori privati potrebbero seguire il loro esempio e finanziare cultura".
Cosa ti aspetta dopo la presenza a Locarno col tuo corto?
"Oltre a dedicarmi con Riccardo alla progettazione del mio primo lungometraggio, sarò presente come attrice in due film che si vedranno ai festival di Venezia e Roma. Al Lido, infatti, sarò la protagonista del cortometraggio Come un soffio, diretto da Michela Cescon, anche lei attrice, tra gli altri per Matteo Garrone e Marco Bellocchio. Alla rassegna della capitale, invece, parteciperò con Laria di Valerio Jalongo, nel quale ho il ruolo di una insegnante che, assieme al collega interpretato da Vincenzo Amato, scopre il talento musicale di un ragazzo che frequenta una scuola in una periferia difficile".
Hai in cantiere anche qualche progetto all’estero?
"Ho terminato venerdì in Francia le riprese di Le baiser papillon, il primo film della regista franco-senegalese Karine Silla, che peraltro è la compagna di Vincent Perez. Proprio Vincent è il protagonista maschile, accanto a me e ad altri interpreti di rango come Cecile de France, Elsa Zylberstein, Jalil Lespert e Gérard Depardieu. Io interpreto Billie, una donna in apparenza felice, con un bel marito, due figli, un lavoro di restauratrice che la soddisfa. Purtroppo, però, Billie scopre di essere affetta da un male che non perdona e che, ovviamente, le cambia l'esistenza".
Alla proiezione napoletana, tenutasi proprio all'interno del museo Madre, Valeria è intervenuta assieme al compagno Riccardo Scamarcio. Pertanto, la coppia ha avuto modo di dividersi equamente gli entusiasmi della platea maschile e di quella femminile, nel corso di una serata organizzata in maniera impeccabile e perfettamente riuscita.
giovedì 22 luglio 2010
mercoledì 21 luglio 2010
ISCHIA GLOBAL: INTERVISTA A MIKE STOLLER
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 17 luglio 2010)
(Il Mattino - 17 luglio 2010)
Una leggenda della musica americana del Novecento: la definizione non è esagerata, se riferita a un autore come Mike Stoller, il grande compositore e produttore settantasettenne - membro dal 1985 della Songwriters hall of fame e dal 1987 della Rock 'n' roll hall of fame - che, assieme al coetaneo Jerry Leiber, ha formato la leggendaria coppia capace di firmare hit immortali come Jailhouse rock, Hound dog, Stand by me, Kansas city, Charlie Brown e decine di altre, rivestendo un ruolo fondamentale, tra l'altro, anche nell'esplosione di Elvis Presley. Stoller sarà premiato stasera, al Regina Isabella di Lacco Ameno, col William Walton music legend award attribuitogli nell'ambito dell'ottava edizione dell'Ischia Global Film & Music Fest che terminerà domani.
La presenza al festival prodotto da Pascal Vicedomini offre l'occasione per ripercorrere una parabola artistica inimitabile, a partire da metà anni Cinquanta, quando il rock 'n' roll cambiò per sempre la cultura giovanile statunitense e mondiale. "In quel processo - racconta Stoller - Elvis ha avuto un ruolo fondamentale, perché quando apparve fu come un vero e proprio ciclone che travolse la società americana. All'epoca, infatti, la musica popolare era ancora molto segregata, con dischi per il pubblico bianco e altri, quelli più eccitanti e innovativi, per la platea di colore. Io e Jerry, in quel periodo, scrivevamo prevalentemente rhythm 'n' blues per artisti neri. La grande innovazione di Elvis fu di portare al pubblico bianco quelle sonorità così trasgressive. Ha cambiato per sempre i gusti musicali dei teenager, influenzando tutto ciò che è venuto dopo".
Quando fu che Elvis entrò a far parte delle vostre vite?
"Nel 1956. Ebbi un viaggio in nave, di ritorno dall'Europa, a dir poco accidentato, perché ero a bordo dell'Andrea Doria quando affondò e riuscimmo a raggiungere New York solo grazie a un mercantile. Appena giunto in città, trovai il mio socio Jerry Leiber che mi stava aspettando al porto, per parlarmi di questo ragazzo bianco che stava spopolando con una sua versione di Hound dog, il brano che noi avevamo scritto nel 1952 per Big Mama Thornton".
Poco dopo, incontraste Elvis e diventaste i suoi autori di fiducia.
"Sì, l'anno dopo, in occasione dei suoi film Loving you e Jailhouse rock, per i quali scrivemmo diversi brani tra i quali i due che davano il titolo alle pellicole. Fummo convocati dal produttore musicale e ci trasferimmo da Los Angeles a New York, dove avremmo dovuto lavorare sui copioni. Io e Jerry, però, eravamo più interessati a girare per locali e ascoltare gli artisti straordinari che suonavano in quel periodo in città. Così, quando il produttore tornò in albergo da noi per i brani e gli dicemmo che avrebbe dovuto attendere un po', decise di piazzare un divano davanti alla nostra porta, bloccandoci lì dentro. Allora, anche per liberarci di lui, scrivemmo in cinque ore le quattro canzoni del film Jailhouse rock: la title track, Treat me nice, (You're so square) Baby I don't care e I want to be free, che era ironicamente riferita proprio a noi due e a quella nostra strana prigionia".
Da quel momento, otteneste la piena fiducia del "king of rock 'n' roll". Come mai, qualche anno dopo, la vostra collaborazione terminò?
"Dopo Jailhouse rock, Elvis ci chiamò per tutte le sue successive sessioni di registrazione. E, visto lo straordinario successo delle canzoni che scrivevamo per lui, diceva che io e Jerry eravamo la sua "buona stella". Probabilmente, però, questa nostra eccessiva vicinanza a lui fu la causa della nostra separazione, causata da forti attriti col suo manager, il colonnello Parker. Ci accusò di voler influenzare troppo la carriera di Elvis e ci minacciò dicendoci che dovevamo smetterla di lavorare con lui. A me è dispiaciuto, perché l'influenza di Parker su Elvis gli ha poi impedito di partecipare a progetti cinematografici di qualità, per i quali aveva il giusto talento, bloccandolo durante gli anni Sessanta in quei filmetti tutti uguali ma molto remunerativi".
Ma, secondo lei, Elvis Presley è davvero il "re" del rock 'n' roll?
"Sicuramente è stato uno dei re. Però, secondo me, il più grande di tutti è stato Little Richard".
In questi ultimi anni, lei si è dedicato molto ai musical teatrali. A cosa sta lavorando attualmente?
"Sto allestendo due progetti per il prossimo anno a Broadway: uno assieme a Jerry, sulla vita di Oscar Wilde; l'altro da solo, con brani nuovi composti per l'occasione. Ovviamente, però, continuo a godermi il successo di Smokey Joe's cafè, che dal 1995 a oggi, grazie ai tanti nostri classici inclusi nella colonna sonora, s'è conquistato il titolo di musical con la più lunga tenitura della storia di Broadway".
La presenza al festival prodotto da Pascal Vicedomini offre l'occasione per ripercorrere una parabola artistica inimitabile, a partire da metà anni Cinquanta, quando il rock 'n' roll cambiò per sempre la cultura giovanile statunitense e mondiale. "In quel processo - racconta Stoller - Elvis ha avuto un ruolo fondamentale, perché quando apparve fu come un vero e proprio ciclone che travolse la società americana. All'epoca, infatti, la musica popolare era ancora molto segregata, con dischi per il pubblico bianco e altri, quelli più eccitanti e innovativi, per la platea di colore. Io e Jerry, in quel periodo, scrivevamo prevalentemente rhythm 'n' blues per artisti neri. La grande innovazione di Elvis fu di portare al pubblico bianco quelle sonorità così trasgressive. Ha cambiato per sempre i gusti musicali dei teenager, influenzando tutto ciò che è venuto dopo".
Quando fu che Elvis entrò a far parte delle vostre vite?
"Nel 1956. Ebbi un viaggio in nave, di ritorno dall'Europa, a dir poco accidentato, perché ero a bordo dell'Andrea Doria quando affondò e riuscimmo a raggiungere New York solo grazie a un mercantile. Appena giunto in città, trovai il mio socio Jerry Leiber che mi stava aspettando al porto, per parlarmi di questo ragazzo bianco che stava spopolando con una sua versione di Hound dog, il brano che noi avevamo scritto nel 1952 per Big Mama Thornton".
Poco dopo, incontraste Elvis e diventaste i suoi autori di fiducia.
"Sì, l'anno dopo, in occasione dei suoi film Loving you e Jailhouse rock, per i quali scrivemmo diversi brani tra i quali i due che davano il titolo alle pellicole. Fummo convocati dal produttore musicale e ci trasferimmo da Los Angeles a New York, dove avremmo dovuto lavorare sui copioni. Io e Jerry, però, eravamo più interessati a girare per locali e ascoltare gli artisti straordinari che suonavano in quel periodo in città. Così, quando il produttore tornò in albergo da noi per i brani e gli dicemmo che avrebbe dovuto attendere un po', decise di piazzare un divano davanti alla nostra porta, bloccandoci lì dentro. Allora, anche per liberarci di lui, scrivemmo in cinque ore le quattro canzoni del film Jailhouse rock: la title track, Treat me nice, (You're so square) Baby I don't care e I want to be free, che era ironicamente riferita proprio a noi due e a quella nostra strana prigionia".
Da quel momento, otteneste la piena fiducia del "king of rock 'n' roll". Come mai, qualche anno dopo, la vostra collaborazione terminò?
"Dopo Jailhouse rock, Elvis ci chiamò per tutte le sue successive sessioni di registrazione. E, visto lo straordinario successo delle canzoni che scrivevamo per lui, diceva che io e Jerry eravamo la sua "buona stella". Probabilmente, però, questa nostra eccessiva vicinanza a lui fu la causa della nostra separazione, causata da forti attriti col suo manager, il colonnello Parker. Ci accusò di voler influenzare troppo la carriera di Elvis e ci minacciò dicendoci che dovevamo smetterla di lavorare con lui. A me è dispiaciuto, perché l'influenza di Parker su Elvis gli ha poi impedito di partecipare a progetti cinematografici di qualità, per i quali aveva il giusto talento, bloccandolo durante gli anni Sessanta in quei filmetti tutti uguali ma molto remunerativi".
Ma, secondo lei, Elvis Presley è davvero il "re" del rock 'n' roll?
"Sicuramente è stato uno dei re. Però, secondo me, il più grande di tutti è stato Little Richard".
In questi ultimi anni, lei si è dedicato molto ai musical teatrali. A cosa sta lavorando attualmente?
"Sto allestendo due progetti per il prossimo anno a Broadway: uno assieme a Jerry, sulla vita di Oscar Wilde; l'altro da solo, con brani nuovi composti per l'occasione. Ovviamente, però, continuo a godermi il successo di Smokey Joe's cafè, che dal 1995 a oggi, grazie ai tanti nostri classici inclusi nella colonna sonora, s'è conquistato il titolo di musical con la più lunga tenitura della storia di Broadway".
sabato 17 luglio 2010
DANIELS, FONDA E STOLLER INTERVISTATI A ISCHIA
Ecco, qui sotto, le pagine del quotidiano Il Mattino degli ultimi tre giorni, con le mie lunghe interviste a Lee Daniels, Peter Fonda e Mike Stoller realizzate durante l'Ischia Global Film & Music Fest.
mercoledì 14 luglio 2010
CINEMA: ISCHIA-HOLLYWOOD PER IL GLOBAL FEST
Di Diego Del Pozzo
Giovani star hollywoodiane alla conquista di Ischia. La temperatura dell'Ischia Global Film & Music Fest si riscalda ulteriormente, grazie agli arrivi di alcuni tra gli interpreti più glamour della "nuova generazione" a stelle e strisce: dalla "caliente" diva televisiva di origini colombiane Sofìa Vergara (candidata all'Emmy Award per la serie Modern Family) a Josh Hartnett, Channing Tatum (per molti destinato a raccogliere l'eredità di Brad Pitt), Heather Graham e Jeremy Renner (lo "sminatore" di The Hurt Locker), oltre a registi giovani e già affermati come Lee Daniels e Dito Montiel. A fare particolare colpo sulla platea del festival, però, è certamente il fascino latino-americano di Sofìa Vergara, attrice concittadina di Shakira - sono tutte e due di Barranquilla - destinata a una carriera luminosa che potrebbe avere come trampolino di lancio proprio l'eventuale vittoria agli Emmy, dov'è candidata per il ruolo della giovane e determinata colombiana Gloria nella serie televisiva Modern Family; ruolo che Christopher Lloyd e Steven Levitan, i due creatori della serie prodotta da Fox Television Studios e trasmessa in Italia su Fox Life, le hanno praticamente cucito addosso. "All'inizio, credevo che questo personaggio - racconta Sofìa - sarebbe stato detestato dagli spettatori, perché è la classica donna giovane e bella che sposa per soldi un uomo più maturo di lei. Poi, però, io stessa sono stata conquistata dall'umanità di Gloria e penso che sia successo lo stesso anche al pubblico". Alla televisione, Sofìa alterna anche il cinema: "Ho appena finito di lavorare a New York nell'atteso kolossal cinematografico dedicato ai Puffi e adesso tornerò a recitare nella nuova stagione di Modern Family, che mi assorbirà per i prossimi sette mesi. Tra il cinema e la televisione, comunque, preferisco proprio quest'ultima, perché i ritmi del set di un film sono decisamente più stressanti". In comune con le altre due star di giornata dell'Ischia Global, gli attori Josh Hartnett e Channing Tatum, Sofìa Vergara ha un approccio assolutamente non divistico: "Cerco di non dimenticare mai - spiega - quali sono i valori più importanti, come quelli legati agli affetti familiari. In tal senso, uno dei miei punti di riferimento è una donna come Sofia Loren, capace di costruirsi una famiglia vera e normalissima, portando avanti allo stesso tempo una straordinaria carriera artistica".
(Nelle due foto qui sopra, Sofìa Vergara - l'attrice colombiana candidata all'Emmy Award per il suo ruolo nella serie tv Modern Family - a Ischia, ospite del Global Film & Music Fest 2010)
(Nelle due foto qui sopra, Sofìa Vergara - l'attrice colombiana candidata all'Emmy Award per il suo ruolo nella serie tv Modern Family - a Ischia, ospite del Global Film & Music Fest 2010)
martedì 13 luglio 2010
LEONARDO DI CAPRIO NEI PANNI DI LUCKY LUCIANO?
Di Diego Del Pozzo
Leonardo Di Caprio nei panni del famoso mafioso italo-americano Lucky Luciano: è molto più di una semplice suggestione estiva quella che Bobby Moresco, sceneggiatore e produttore hollywoodiano premiato con l'Oscar 2006 per Crash, anticipa durante la seconda giornata dell'Ischia Global Film & Music Fest, la rassegna internazionale entrata nel vivo con gli arrivi delle star americane Heather Graham e Josh Hartnett.
Moresco spiega meglio la sua idea per il nuovo film: "Vedrei benissimo Leo nel ruolo di Lucky Luciano. Anzi, penso che sarebbe davvero perfetto, forte anche dell'esperienza fatta negli ultimi anni con Martin Scorsese. Per questo, mi piacerebbe molto - aggiunge - coinvolgerlo in questo progetto, che non sarà una semplice biografia cinematografica, ma il tentativo di andare più a fondo nella controversa personalità di quello che è stato il capostipite del crimine organizzato negli Stati Uniti, oltre che un uomo dalla vita a dir poco movimentata".
Il film s'intitolerà Charlie Lucky Luciano e sarà pronto l'anno prossimo. Moresco sta rivedendo la sceneggiatura: "Gireremo sia negli Stati Uniti - racconta - che in Italia, nei luoghi autentici lungo i quali si è sviluppata l'esistenza di Luciano. Per questo, oltre alle riprese in Sicilia credo che ne faremo anche a Napoli". Proprio sotto il Vesuvio, infatti, Charlie "Lucky" Luciano - nome americanizzato del criminale siciliano Salvatore Lucanìa - trascorse i suoi ultimi anni, fino alla morte avvenuta nel 1962 all'aeroporto di Capodichino, dove aveva appuntamento con un produttore cinematografico interessato a trarre un film dalla sua vita.
Moresco spiega meglio la sua idea per il nuovo film: "Vedrei benissimo Leo nel ruolo di Lucky Luciano. Anzi, penso che sarebbe davvero perfetto, forte anche dell'esperienza fatta negli ultimi anni con Martin Scorsese. Per questo, mi piacerebbe molto - aggiunge - coinvolgerlo in questo progetto, che non sarà una semplice biografia cinematografica, ma il tentativo di andare più a fondo nella controversa personalità di quello che è stato il capostipite del crimine organizzato negli Stati Uniti, oltre che un uomo dalla vita a dir poco movimentata".
Il film s'intitolerà Charlie Lucky Luciano e sarà pronto l'anno prossimo. Moresco sta rivedendo la sceneggiatura: "Gireremo sia negli Stati Uniti - racconta - che in Italia, nei luoghi autentici lungo i quali si è sviluppata l'esistenza di Luciano. Per questo, oltre alle riprese in Sicilia credo che ne faremo anche a Napoli". Proprio sotto il Vesuvio, infatti, Charlie "Lucky" Luciano - nome americanizzato del criminale siciliano Salvatore Lucanìa - trascorse i suoi ultimi anni, fino alla morte avvenuta nel 1962 all'aeroporto di Capodichino, dove aveva appuntamento con un produttore cinematografico interessato a trarre un film dalla sua vita.
domenica 11 luglio 2010
INTERVISTA A GARY SINISE: DA "CSI: NY" ALLA NATO
Di Diego Del Pozzo
Ieri pomeriggio ho avuto l'occasione di incontrare l'attore statunitense Gary Sinise in un contesto decisamente originale: quello di una base Nato italiana (nello specifico, quella campana di Gricignano d'Aversa nel Casertano), dove si trovava per esibirsi con la sua rockband davanti a una platea di truppe americane e loro familiari. Occasione dell'incontro è stata un'intervista che ho realizzato per le pagine di Spettacoli del quotidiano Il Mattino, dove è stata pubblicata nell'edizione in edicola oggi.
Sinise è un celebrato attore cinematografico e televisivo hollywoodiano, oggi più che mai sulla cresta dell'onda grazie a una serie tv di successo come Csi: New York; ma è anche - come ho avuto modo di scoprire - un uomo molto impegnato per il proprio Paese. Dopo il concerto in Campania, infatti, partirà da Napoli alla volta dell'Iraq, per esibirsi davanti ai soldati di stanza lì. Per lui, i concerti della Lt. Dan Band, nella quale suona il basso, sono un modo tangibile per dare un contributo al morale dei militari americani impegnati nelle varie missioni di pace in giro per il mondo. "Tutto è iniziato dopo l'undici settembre, quando - racconta l'attore - ho contattato l'Uso, l'ente che organizza le iniziative di supporto alle nostre truppe, per dare il mio contributo: mi sembrava la cosa giusta da fare dopo quell'enorme shock". Per questo suo impegno, tra l'altro, Gary Sinise è stato anche premiato con una medaglia d'onore dall'allora presidente George W. Bush.
Come s'è sviluppata, negli anni, questa sua attività parallela?
"All'inizio, andavo in tournée da solo con la mia chitarra, che suono da quando ero piccolo e avevo ripreso in mano con regolarità nel 1997. Il primo tour è del 2003, quando suonai in Iraq e venni anche in Italia. In seguito, proposi all'Uso una serie di concerti con una band di amici di Chicago; e da allora, febbraio 2004 in Corea e Singapore, suoniamo ogni anno in giro per il mondo. Il nome della band deriva da quello del mio personaggio in Forrest Gump: l'ho scelto perché, durante i primi concerti da solo, tutti i militari continuavano a chiamarmi "tenente Dan, tenente Dan", ricordando quel personaggio che mi portò anche la candidatura all'Oscar".
Tornando alla sua attività "ufficiale", cosa dobbiamo aspettarci dalla nuova stagione di Csi: New York, che vedremo in Italia da settembre?
"Davvero molto, perché la sesta stagione è nettamente la migliore dell'intero ciclo, grazie anche a episodi speciali come il triplo crossover con le altre due serie ambientate a Las Vegas e Miami. Anche i personaggi si evolveranno in direzioni decisamente interessanti, a partire dal mio Mac Taylor".
Quali sono le differenze principali che ha potuto riscontrare lavorando al cinema e in televisione?
"In entrambi i casi l'obiettivo è lo stesso: narrare buone storie. La differenza principale, però, riguarda proprio i personaggi che vai a interpretare: in Csi, infatti, seguo Mac lungo ventitre piccoli film per un'intera stagione. La cosa, comunque, mi piace molto, anche se forse mi manca un po' la libertà di interpretare personaggi diversi ogni volta".
Csi: New York le lascerà un po' di spazio, nell'immediato futuro, per tornare anche sul grande schermo?
"Per adesso no, perché ho firmato anche per la settima stagione, che inizieremo a girare nelle prossime settimane. Una serie come questa, d'altra parte, ti tiene impegnato per nove mesi all'anno, con pochissime pause, che io preferisco dedicare alla famiglia e ai concerti con la mia band. Piuttosto, se in futuro riuscissi a trovare una buona storia, mi piacerebbe dare un seguito alle mie due regie, Gli irriducibili e Uomini e topi, e tornare a dirigere un film".
Sinise è un celebrato attore cinematografico e televisivo hollywoodiano, oggi più che mai sulla cresta dell'onda grazie a una serie tv di successo come Csi: New York; ma è anche - come ho avuto modo di scoprire - un uomo molto impegnato per il proprio Paese. Dopo il concerto in Campania, infatti, partirà da Napoli alla volta dell'Iraq, per esibirsi davanti ai soldati di stanza lì. Per lui, i concerti della Lt. Dan Band, nella quale suona il basso, sono un modo tangibile per dare un contributo al morale dei militari americani impegnati nelle varie missioni di pace in giro per il mondo. "Tutto è iniziato dopo l'undici settembre, quando - racconta l'attore - ho contattato l'Uso, l'ente che organizza le iniziative di supporto alle nostre truppe, per dare il mio contributo: mi sembrava la cosa giusta da fare dopo quell'enorme shock". Per questo suo impegno, tra l'altro, Gary Sinise è stato anche premiato con una medaglia d'onore dall'allora presidente George W. Bush.
Come s'è sviluppata, negli anni, questa sua attività parallela?
"All'inizio, andavo in tournée da solo con la mia chitarra, che suono da quando ero piccolo e avevo ripreso in mano con regolarità nel 1997. Il primo tour è del 2003, quando suonai in Iraq e venni anche in Italia. In seguito, proposi all'Uso una serie di concerti con una band di amici di Chicago; e da allora, febbraio 2004 in Corea e Singapore, suoniamo ogni anno in giro per il mondo. Il nome della band deriva da quello del mio personaggio in Forrest Gump: l'ho scelto perché, durante i primi concerti da solo, tutti i militari continuavano a chiamarmi "tenente Dan, tenente Dan", ricordando quel personaggio che mi portò anche la candidatura all'Oscar".
Tornando alla sua attività "ufficiale", cosa dobbiamo aspettarci dalla nuova stagione di Csi: New York, che vedremo in Italia da settembre?
"Davvero molto, perché la sesta stagione è nettamente la migliore dell'intero ciclo, grazie anche a episodi speciali come il triplo crossover con le altre due serie ambientate a Las Vegas e Miami. Anche i personaggi si evolveranno in direzioni decisamente interessanti, a partire dal mio Mac Taylor".
Quali sono le differenze principali che ha potuto riscontrare lavorando al cinema e in televisione?
"In entrambi i casi l'obiettivo è lo stesso: narrare buone storie. La differenza principale, però, riguarda proprio i personaggi che vai a interpretare: in Csi, infatti, seguo Mac lungo ventitre piccoli film per un'intera stagione. La cosa, comunque, mi piace molto, anche se forse mi manca un po' la libertà di interpretare personaggi diversi ogni volta".
Csi: New York le lascerà un po' di spazio, nell'immediato futuro, per tornare anche sul grande schermo?
"Per adesso no, perché ho firmato anche per la settima stagione, che inizieremo a girare nelle prossime settimane. Una serie come questa, d'altra parte, ti tiene impegnato per nove mesi all'anno, con pochissime pause, che io preferisco dedicare alla famiglia e ai concerti con la mia band. Piuttosto, se in futuro riuscissi a trovare una buona storia, mi piacerebbe dare un seguito alle mie due regie, Gli irriducibili e Uomini e topi, e tornare a dirigere un film".
martedì 6 luglio 2010
IL CINEMA RITROVATO E LA NAPOLI DEL MUTO (MITO)
Di Diego Del Pozzo
Si è conclusa sabato a Bologna la ventiquattresima edizione del bellissimo festival Il Cinema Ritrovato, che dal 26 giugno al 3 luglio ha proposto ben 313 film restaurati o, comunque, salvati dall'oblìo.
Tra le novità dell'edizione 2010 mi ha molto interessato la sezione Progetto Napoli/Italia, nella quale sono stati presentati - incontrando, va sottolineato, grande successo di pubblico oltre che di critica - ben ventiquattro titoli provenienti da tre fondi filmici presenti presso la Cineteca di Bologna che organizza il festival: il fondo Vittorio Martinelli, il fondo Fausto Correra, il fondo Leda Gys (qui nella foto, in una scena del film Vedi Napoli e po' mori!). "Questi materiali - spiegano i due curatori del Progetto Napoli/Italia, Elena Correra e Luigi Virgolin - costituiscono un patrimonio visivo sicuramente unico, dal quale attingere per ragionare sulla forza dell'immaginario napoletano e sull'importanza della città partenopea nella costruzione dell'identità italiana. Siamo partiti proponendo prima una selezione di titoli restaurati del fondo Correra, sorprendentemente e recentemente ritrovati, per proseguire lungo due linee di ricerca: la tradizione del vedutismo e gli echi del Grand Tour da una parte, il solco tracciato dalle rotte della migrazione dall'altra".
Così, gli appassionati accorsi in questi giorni a Bologna hanno potuto scoprire autentiche gemme rare, capaci - come sottolinea il direttore artistico del festival, Peter von Bagh - "di comporre il caleidoscopio del secolo passato e di far dialogare la storia con ciascuno di noi in ogni momento, offrendoci essenziali chiavi di comprensione". E, dunque, accanto al restaurato Sorrento di Carmine Gallone (1912) o a un titolo curioso come Vedi Napoli e po' mori! (1924: qui a lato una scena) della premiata ditta Lombardo-Gys sono stati proiettati tanti misconosciuti frammenti documentaristici girati dagli operatori dei fratelli Lumière e di produzioni come Cines ed Edison, impegnati a immortalare Napoli e il Meridione in quello che va considerato l'ultimo Grand Tour vedutista del Diciannovesimo secolo (esemplari, in tal senso, titoli come Eating Macaroni in the Streets of Naples del 1903 e La festa dei Gigli di Nola del 1909).
Al centro del Progetto Napoli/Italia, però, c'è anche Enrico Caruso (qui, nella foto), il grande tenore nato a Napoli nel 1873 e, dopo i clamorosi successi negli Stati Uniti, identificato come il volto più noto della migrazione vincente di coloro che, inseguendo il proprio sogno Oltreoceano, riuscirono a realizzarlo. Nel programma partenopeo del festival bolognese, infatti, hanno suscitato notevole interesse le proiezioni della copia restaurata di My Cousin (diretto da Edward José nel 1918), cioè l'unico film ancora esistente tra quelli interpretati dal tenore; e poi la rara fonoscena La donna è mobile, breve produzione tedesca datata 1908, incentrata su una divertita interpretazione carusiana della famosa aria del Rigoletto. Sempre a Caruso, infine, Il Cinema Ritrovato dedica una grande mostra fotografica, intitolata Starring Caruso. Il tenore nel cinema muto e curata da Giuliana Muscio. Allestita nella sala espositiva della Cineteca, la mostra resterà aperta fino al 29 ottobre e farà da trait d'union con la prossima edizione del festival bolognese, che continuerà a indagare sul cinema napoletano delle origini.
Tra le novità dell'edizione 2010 mi ha molto interessato la sezione Progetto Napoli/Italia, nella quale sono stati presentati - incontrando, va sottolineato, grande successo di pubblico oltre che di critica - ben ventiquattro titoli provenienti da tre fondi filmici presenti presso la Cineteca di Bologna che organizza il festival: il fondo Vittorio Martinelli, il fondo Fausto Correra, il fondo Leda Gys (qui nella foto, in una scena del film Vedi Napoli e po' mori!). "Questi materiali - spiegano i due curatori del Progetto Napoli/Italia, Elena Correra e Luigi Virgolin - costituiscono un patrimonio visivo sicuramente unico, dal quale attingere per ragionare sulla forza dell'immaginario napoletano e sull'importanza della città partenopea nella costruzione dell'identità italiana. Siamo partiti proponendo prima una selezione di titoli restaurati del fondo Correra, sorprendentemente e recentemente ritrovati, per proseguire lungo due linee di ricerca: la tradizione del vedutismo e gli echi del Grand Tour da una parte, il solco tracciato dalle rotte della migrazione dall'altra".
Così, gli appassionati accorsi in questi giorni a Bologna hanno potuto scoprire autentiche gemme rare, capaci - come sottolinea il direttore artistico del festival, Peter von Bagh - "di comporre il caleidoscopio del secolo passato e di far dialogare la storia con ciascuno di noi in ogni momento, offrendoci essenziali chiavi di comprensione". E, dunque, accanto al restaurato Sorrento di Carmine Gallone (1912) o a un titolo curioso come Vedi Napoli e po' mori! (1924: qui a lato una scena) della premiata ditta Lombardo-Gys sono stati proiettati tanti misconosciuti frammenti documentaristici girati dagli operatori dei fratelli Lumière e di produzioni come Cines ed Edison, impegnati a immortalare Napoli e il Meridione in quello che va considerato l'ultimo Grand Tour vedutista del Diciannovesimo secolo (esemplari, in tal senso, titoli come Eating Macaroni in the Streets of Naples del 1903 e La festa dei Gigli di Nola del 1909).
Al centro del Progetto Napoli/Italia, però, c'è anche Enrico Caruso (qui, nella foto), il grande tenore nato a Napoli nel 1873 e, dopo i clamorosi successi negli Stati Uniti, identificato come il volto più noto della migrazione vincente di coloro che, inseguendo il proprio sogno Oltreoceano, riuscirono a realizzarlo. Nel programma partenopeo del festival bolognese, infatti, hanno suscitato notevole interesse le proiezioni della copia restaurata di My Cousin (diretto da Edward José nel 1918), cioè l'unico film ancora esistente tra quelli interpretati dal tenore; e poi la rara fonoscena La donna è mobile, breve produzione tedesca datata 1908, incentrata su una divertita interpretazione carusiana della famosa aria del Rigoletto. Sempre a Caruso, infine, Il Cinema Ritrovato dedica una grande mostra fotografica, intitolata Starring Caruso. Il tenore nel cinema muto e curata da Giuliana Muscio. Allestita nella sala espositiva della Cineteca, la mostra resterà aperta fino al 29 ottobre e farà da trait d'union con la prossima edizione del festival bolognese, che continuerà a indagare sul cinema napoletano delle origini.
lunedì 5 luglio 2010
CINEFESTIVAL: PAVEL LOUNGUINE OSPITE D'ONORE A ISCHIA
Di Diego Del Pozzo
Dopo l'inaugurazione di ieri sera, entra nel vivo da oggi l'ottava edizione dell'Ischia Film Festival, la manifestazione internazionale interamente dedicata alle location cinematografiche. Organizzata dall'associazione Art movie and music, la rassegna andrà avanti fino a sabato, nello scenario del Castello Aragonese e della Torre del Molino, con proiezioni, dibattiti e convegni, laboratori per addetti ai lavori e incontri con gli autori. Tra gli ospiti del festival ischitano, spicca il regista russo Pavel Lounguine - autore di film importanti come Taxi blues, Le nozze, L'isola e Tzar (questi ultimi due in programma a Ischia: nella foto, il manifesto di quest'ultimo film) - che sarà premiato mercoledì sera col Ciak di corallo alla carriera, riconoscimento già attribuito nelle passate edizioni a registi come Abel Ferrara e Giuliano Montaldo, direttori della fotografia come Vittorio Storaro e scenografi come sir Ken Adam. Nato a Mosca nel 1949, Lounguine è il regista russo che più di ogni altro ha saputo descrivere le trasformazioni del proprio Paese in questi ultimi vent'anni, raccontando la complicata transizione dal passato sovietico all'attuale scenario "occidentalizzato" segnato da corruzione, spregiudicatezza affaristica e criminalità. "Mi è sembrato giusto - spiega Michelangelo Messina, direttore dell'Ischia Film Festival - attribuire un riconoscimento alla carriera di un regista europeo dotato come Lounguine, sin dagli esordi ispirato narratore di un Paese complesso e contraddittorio come la Russia post Glasnost".
Tra gli altri riconoscimenti che saranno consegnati durante la manifestazione ischitana, va segnalato il Foreign Award attribuito ai produttori del film The American, diretto da Anton Corbijn e interpretato da George Clooney. Girato in Abruzzo e liberamente ispirato al romanzo di Martin Booth A Very Private Gentleman, il film racconta la storia di un abile assassino che, in seguito a un incarico terminato tragicamente in Svezia, decide di smettere con la sua professione e di ritirarsi a vivere in tranquillità in un paesino dell'Italia centrale. La scelta di numerose location in provincia dell'Aquila è frutto di un desiderio espresso proprio da Clooney, deciso a dare una mano a quel territorio dopo il terribile terremoto dell'anno scorso. "Questo premio - sottolinea ancora Messina - viene conferito ogni anno a quei film stranieri, in produzione o post-produzione, che abbiano reso possibile la valorizzazione del territorio italiano, del "prodotto Italia", della sua cultura e dei suoi paesaggi".
Il cartellone dell'Ischia Film Festival 2010 proporrà fino a sabato una settantina di film, tra documentari, cortometraggi e lungometraggi, editi o inediti in Italia, divisi nelle sezioni Primo piano, Documentari in concorso, Cortometraggi in concorso, Location negata, Scenari ed Euromediterraneo. L'elenco degli ospiti comprende pure i registi Alessandro D'Alatri, Edoardo Winspeare, Marco Chiarini, Edoardo Leo, Pippo Mezzapesa; le attrici Sabrina Impacciatore, Lunetta Savino, Lucianna De Falco; gli attori Rocco Papaleo, Giovanni Esposito, Claudio Casadio; la scenografa Cinzia Lo Fazio. In programma anche la mostra fotografica Viaggi in Italia. Set del cinema italiano 1941-1959 e l'ottavo convegno nazionale sul cineturismo, dedicato quest'anno al tema Luoghi, location irreali e non-luoghi: illusioni culturali e verità nel cineturismo.
Tra gli altri riconoscimenti che saranno consegnati durante la manifestazione ischitana, va segnalato il Foreign Award attribuito ai produttori del film The American, diretto da Anton Corbijn e interpretato da George Clooney. Girato in Abruzzo e liberamente ispirato al romanzo di Martin Booth A Very Private Gentleman, il film racconta la storia di un abile assassino che, in seguito a un incarico terminato tragicamente in Svezia, decide di smettere con la sua professione e di ritirarsi a vivere in tranquillità in un paesino dell'Italia centrale. La scelta di numerose location in provincia dell'Aquila è frutto di un desiderio espresso proprio da Clooney, deciso a dare una mano a quel territorio dopo il terribile terremoto dell'anno scorso. "Questo premio - sottolinea ancora Messina - viene conferito ogni anno a quei film stranieri, in produzione o post-produzione, che abbiano reso possibile la valorizzazione del territorio italiano, del "prodotto Italia", della sua cultura e dei suoi paesaggi".
Il cartellone dell'Ischia Film Festival 2010 proporrà fino a sabato una settantina di film, tra documentari, cortometraggi e lungometraggi, editi o inediti in Italia, divisi nelle sezioni Primo piano, Documentari in concorso, Cortometraggi in concorso, Location negata, Scenari ed Euromediterraneo. L'elenco degli ospiti comprende pure i registi Alessandro D'Alatri, Edoardo Winspeare, Marco Chiarini, Edoardo Leo, Pippo Mezzapesa; le attrici Sabrina Impacciatore, Lunetta Savino, Lucianna De Falco; gli attori Rocco Papaleo, Giovanni Esposito, Claudio Casadio; la scenografa Cinzia Lo Fazio. In programma anche la mostra fotografica Viaggi in Italia. Set del cinema italiano 1941-1959 e l'ottavo convegno nazionale sul cineturismo, dedicato quest'anno al tema Luoghi, location irreali e non-luoghi: illusioni culturali e verità nel cineturismo.
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