sabato 27 novembre 2010
venerdì 26 novembre 2010
martedì 23 novembre 2010
DAL BLOG "OBIETTIVO CALCIO": "IL DISAGIO"
Obiettivo Calcio: Il disagio: "Un tragico fatto di cronaca. Accade alle porte di Bologna. Un ragazzino di 15 anni si suicida con la pistola che il padre custodiva (con regolare porto d'armi) in casa. Una fine inspiegabile..."
lunedì 22 novembre 2010
venerdì 19 novembre 2010
A NAPOLI UN EVENTO CULTURALE SUL RISORGIMENTO
Di Diego Del Pozzo
Mentre Noi credevamo di Mario Martone (nella foto, una scena del film) fa segnare l'incasso medio più elevato dello scorso week-end cinematografico - 4.288 euro per sala (per totali 124.356), contro i 2.974 euro della commedia Maschi contro femmine - e si dimostra più forte di chi ha voluto distribuirlo in sole trenta copie (che, per fortuna, da oggi diventano cinquantacinque), anche l'Università degli Studi di Napoli "Federico II" celebra il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia, con Visioni e revisioni del Risorgimento nel cinema italiano (1905-2010), una lunga rassegna di cinema e storia che è stata inaugurata ieri pomeriggio e andrà avanti fino al 7 aprile del prossimo anno. L'interessante iniziativa culturale, curata da Massimo Cattaneo e Marcella Marmo e organizzata dal Dipartimento di Discipline Storiche "Ettore Lepore" assieme al Centro Interdipartimentale per la Storia delle Società Rurali, al Dottorato in Storia e all'Accademia di Belle Arti di Napoli, propone un intenso calendario di appuntamenti con film italiani che, dal muto a oggi, hanno riletto l'epopea risorgimentale da differenti punti di vista. A corredo delle proiezioni, il programma offre anche tavole rotonde, presentazioni librarie, incontri con gli autori. "Dai cortometraggi muti che portavano nelle prime sale all'inizio del Novecento un Risorgimento di eroi, fino al film di Martone appena uscito e dedicato alle sofferenti biografie di patrioti delusi, il cinema italiano - sottolineano i curatori Cattaneo e Marmo - ha ripercorso la vicenda fondante dell'unificazione con una ricca produzione di fiction, di volta in volta contemporanea allo svolgersi della storia nazionale e alle complesse vie della memoria sociale".
L'appuntamento inaugurale di ieri pomeriggio è stato dedicato alla presentazione del libro di Pietro Cavallo Viva l'Italia. Storia, cinema e identità nazionale (1932-1962) edito da Liguori. A introdurre il volume, assieme all'autore, sono intervenuti gli storici Marcella Marmo, Andrea Graziosi e Pasquale Iaccio. La manifestazione proseguirà, poi, dal 1 al 3 dicembre presso la biblioteca della Società di Storia patria (nel Maschio Angioino), con una tre giorni su Il Risorgimento inquieto di Luchino Visconti. Il Gattopardo e Senso dal testo letterario al film, con proiezioni dei due capolavori viscontiani e dibattiti con specialisti come Giulio Ferroni, Marina Mayrhofer, Paolo Macry e Guido D'Agostino. Dal 9 al 16 dicembre, quindi, la Facoltà di Giurisprudenza della "Federico II" ospiterà il mini-ciclo Dal cinema muto al Ventennio al centenario dell'Unità: il Risorgimento tra celebrazione e propaganda, con visioni di classici come La presa di Roma di Filoteo Alberini o 1860 di Alessandro Blasetti e interventi di Mario Franco, Vincenzo Esposito, Renata De Lorenzo, Giovanni Muto.
Col nuovo anno, la rassegna riprenderà ospitando i registi Antonietta De Lillo (della quale, il 13 gennaio, si vedrà Il resto di niente), Lamberto Lambertini (27 gennaio, Fuoco su di me), Paolo e Vittorio Taviani (3 febbraio, Allonsanfan) per riflettere sulle rivoluzioni precedenti al Risorgimento. Nelle settimane successive, tutti i giovedì dal 17 febbraio al 24 marzo, saranno proiettati film (sempre introdotti da storici ed esperti) su Risorgimento e Mezzogiorno tra utopie e realtà, da Bronte di Florestano Vancini fino a Il brigante di Tacca di Lupo di Pietro Germi. Seguirà un approfondimento sul brigantaggio, il 30 e 31 marzo, con tavola rotonda coordinata da Marcella Marmo e Giuseppe Civile e proiezione de Li chiamarono… briganti di Pasquale Squitieri. In conclusione, il 7 aprile 2011, Mario Martone interverrà a una tavola rotonda dedicata proprio al suo film Noi credevamo.
L'appuntamento inaugurale di ieri pomeriggio è stato dedicato alla presentazione del libro di Pietro Cavallo Viva l'Italia. Storia, cinema e identità nazionale (1932-1962) edito da Liguori. A introdurre il volume, assieme all'autore, sono intervenuti gli storici Marcella Marmo, Andrea Graziosi e Pasquale Iaccio. La manifestazione proseguirà, poi, dal 1 al 3 dicembre presso la biblioteca della Società di Storia patria (nel Maschio Angioino), con una tre giorni su Il Risorgimento inquieto di Luchino Visconti. Il Gattopardo e Senso dal testo letterario al film, con proiezioni dei due capolavori viscontiani e dibattiti con specialisti come Giulio Ferroni, Marina Mayrhofer, Paolo Macry e Guido D'Agostino. Dal 9 al 16 dicembre, quindi, la Facoltà di Giurisprudenza della "Federico II" ospiterà il mini-ciclo Dal cinema muto al Ventennio al centenario dell'Unità: il Risorgimento tra celebrazione e propaganda, con visioni di classici come La presa di Roma di Filoteo Alberini o 1860 di Alessandro Blasetti e interventi di Mario Franco, Vincenzo Esposito, Renata De Lorenzo, Giovanni Muto.
Col nuovo anno, la rassegna riprenderà ospitando i registi Antonietta De Lillo (della quale, il 13 gennaio, si vedrà Il resto di niente), Lamberto Lambertini (27 gennaio, Fuoco su di me), Paolo e Vittorio Taviani (3 febbraio, Allonsanfan) per riflettere sulle rivoluzioni precedenti al Risorgimento. Nelle settimane successive, tutti i giovedì dal 17 febbraio al 24 marzo, saranno proiettati film (sempre introdotti da storici ed esperti) su Risorgimento e Mezzogiorno tra utopie e realtà, da Bronte di Florestano Vancini fino a Il brigante di Tacca di Lupo di Pietro Germi. Seguirà un approfondimento sul brigantaggio, il 30 e 31 marzo, con tavola rotonda coordinata da Marcella Marmo e Giuseppe Civile e proiezione de Li chiamarono… briganti di Pasquale Squitieri. In conclusione, il 7 aprile 2011, Mario Martone interverrà a una tavola rotonda dedicata proprio al suo film Noi credevamo.
giovedì 18 novembre 2010
CAMUS-PASOLINI: INTERVISTA A STANISLAS NORDEY
Di Diego Del Pozzo
Grazie alla sua storica versione teatrale di Bestia da stile, messa in scena nel 1992 nella sezione "Off" del Festival di Avignone, Stanislas Nordey ha il merito di aver fatto scoprire alla Francia il Pier Paolo Pasolini autore teatrale, fino ad allora mai rappresentato sui palcoscenici dell'Esagono, dov'era conosciuto e ammirato soprattutto come poeta e cineasta. Da allora, il teatro pasoliniano ha accompagnato l'intera carriera di Nordey, quarantacinquenne attore e regista premiato, negli anni, con riconoscimenti teatrali prestigiosi come il Laurence Olivier Award e il premio Georges Lerminier del Syndicat de la Critique. Nordey (qui nella foto), reduce dalla regia teatrale de I giusti di Albert Camus, è intervenuto alle Giornate Camus-Pasolini, organizzate a Napoli dall'Istituto francese Grenoble, con le Università Federico II, L'Orientale, Paris 3 e Amiens, la Fondazione Banco di Napoli, la Cineteca di Bologna (per il Fondo Pasolini) e Sofia. In particolare, ha partecipato alla giornata inaugurale della manifestazione, dedicata al tema Mettere in scena Camus e Pasolini, del quale ha discusso con Maurizio Scaparro, Orlando Cinque e Laura Angiulli.
Cosa hanno in comune, dunque, il teatro di Camus e quello di Pasolini?
"Ben poco, perché perseguono fini differenti, pur rifacendosi entrambi alla tragedia antica. Pasolini rivendica le difficoltà del suo linguaggio teatrale, mentre Camus riesce ad abbinare facile e difficile. Più in generale, invece, entrambi sono sempre stati considerati degli eclettici, se visti dall'esterno, per aver frequentato regolarmente linguaggi artistici diversi. In realtà, tutti e due hanno saputo declinare le proprie ossessioni in forme differenti, abbinando spesso saggio e narrazione con rara efficacia".
Negli anni, il teatro pasoliniano ha fatto quasi da bussola al suo percorso artistico.
"Ho iniziato proprio con lui, mettendo in scena Bestia da stile nel 1992. Poi, sono seguiti Calderon, Pilade, Porcile e il ruolo da attore in Orgia: insomma, ho lavorato su cinque dei sei testi teatrali di Pasolini. Ma non è solo questo, perché ho basato la mia stessa estetica sul suo manifesto teatrale, portandone le indicazioni sulla scena francese e contribuendo, in qualche modo, alla ridefinizione dei ruoli di attori e regista secondo le modernissime intuizioni pasoliniane. Nel corso degli anni, quindi, ho orientato le mie scelte artistiche basandomi sul suo linguaggio e ho sempre utilizzato Pasolini come parametro di riferimento anche quando mi sono confrontato con testi di altri autori".
Cosa la colpisce di più dell'opera pasoliniana?
"Certamente la sua straordinaria capacità di abbinare forza poetica e analisi politica. Tra i suoi tanti aspetti differenti, comunque, io preferisco il Pasolini poeta. Amo molto, però, anche il suo cinema. In particolare, un film come Salò, inconoscibile e controverso a ogni nuova visione".
Dopo la regia de I giusti di Camus, che le è valso il premio Georges Lerminier, ha in programma un ritorno a Pasolini?
"In effetti sì, perché ho in mente di fare qualcosa da Petrolio, uno tra i suoi testi più dirompenti. Però, sto lavorando anche a una versione de La metamorfosi di Kafka e alla commedia Trovarsi di Pirandello".
Dopo gli incontri ospitati dal Grenoble e dedicati al teatro e al cinema dei due autori, le Giornate Camus-Pasolini si concludono oggi (a partire dalle 9.30), a Palazzo Giusso dell'Orientale (largo San Giovanni Maggiore, 30), con la tavola rotonda Il mito e la tragedia.
Cosa hanno in comune, dunque, il teatro di Camus e quello di Pasolini?
"Ben poco, perché perseguono fini differenti, pur rifacendosi entrambi alla tragedia antica. Pasolini rivendica le difficoltà del suo linguaggio teatrale, mentre Camus riesce ad abbinare facile e difficile. Più in generale, invece, entrambi sono sempre stati considerati degli eclettici, se visti dall'esterno, per aver frequentato regolarmente linguaggi artistici diversi. In realtà, tutti e due hanno saputo declinare le proprie ossessioni in forme differenti, abbinando spesso saggio e narrazione con rara efficacia".
Negli anni, il teatro pasoliniano ha fatto quasi da bussola al suo percorso artistico.
"Ho iniziato proprio con lui, mettendo in scena Bestia da stile nel 1992. Poi, sono seguiti Calderon, Pilade, Porcile e il ruolo da attore in Orgia: insomma, ho lavorato su cinque dei sei testi teatrali di Pasolini. Ma non è solo questo, perché ho basato la mia stessa estetica sul suo manifesto teatrale, portandone le indicazioni sulla scena francese e contribuendo, in qualche modo, alla ridefinizione dei ruoli di attori e regista secondo le modernissime intuizioni pasoliniane. Nel corso degli anni, quindi, ho orientato le mie scelte artistiche basandomi sul suo linguaggio e ho sempre utilizzato Pasolini come parametro di riferimento anche quando mi sono confrontato con testi di altri autori".
Cosa la colpisce di più dell'opera pasoliniana?
"Certamente la sua straordinaria capacità di abbinare forza poetica e analisi politica. Tra i suoi tanti aspetti differenti, comunque, io preferisco il Pasolini poeta. Amo molto, però, anche il suo cinema. In particolare, un film come Salò, inconoscibile e controverso a ogni nuova visione".
Dopo la regia de I giusti di Camus, che le è valso il premio Georges Lerminier, ha in programma un ritorno a Pasolini?
"In effetti sì, perché ho in mente di fare qualcosa da Petrolio, uno tra i suoi testi più dirompenti. Però, sto lavorando anche a una versione de La metamorfosi di Kafka e alla commedia Trovarsi di Pirandello".
Dopo gli incontri ospitati dal Grenoble e dedicati al teatro e al cinema dei due autori, le Giornate Camus-Pasolini si concludono oggi (a partire dalle 9.30), a Palazzo Giusso dell'Orientale (largo San Giovanni Maggiore, 30), con la tavola rotonda Il mito e la tragedia.
Ps: Una versione più breve di questa intervista è stata pubblicata ieri sul quotidiano Il Mattino.
martedì 16 novembre 2010
domenica 14 novembre 2010
CINEMA: NON HANNO CREDUTO IN "NOI CREDEVAMO"
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 13 novembre 2010)
(Il Mattino - 13 novembre 2010)
Continua a far discutere la scelta della Rai, attraverso il marchio 01 Distribution, di limitare l'uscita nei cinema di Noi credevamo di Mario Martone a sole trenta copie in tutta Italia, nonostante il successo di pubblico e critica ottenuto dal film alla Mostra di Venezia, accompagnato anche da quelle polemiche che - a pochi mesi dall'anniversario dei centocinquant'anni dell'Unità nazionale - avrebbero potuto creare attorno alla sanguigna e problematica rilettura martoniana del Risorgimento un caso mediatico.
Così, però, non è stato; e dunque, anche venerdì sera, durante la presentazione napoletana al multicinema Modernissimo, i tanti attori presenti in sala hanno colto l'occasione per far sentire la propria voce a sostegno di un progetto nel quale tutti loro hanno, evidentemente, creduto molto. "Forse qualcuno non voleva dare troppo spazio a questo film - spiega, per esempio, Renato Carpentieri, che interpreta Carlo Poerio - per come indaga lungo alcune direttrici interrotte del Risorgimento italiano e per come, in maniera estremamente contemporanea, fa capire ai giovani che, a volte, ribellarsi è giusto". Gli fa eco anche Enzo Salomone (che nel film è il marchese Pica): "Evidentemente, non potendo censurarlo hanno pensato di limitarne al massimo la diffusione. In più, va anche considerato che, probabilmente, in Rai avranno pensato pure a non danneggiare il presumibile passaggio televisivo della versione lunga, che potrebbe avvenire l'anno prossimo in occasione del centocinquantenario dell'Unità: così, meno persone vedono il film al cinema e più audience ci sarà allora".
Assieme a Carpentieri e Salomone, hanno salutato il folto pubblico presente al Modernissimo anche gli altri attori Antonio Pennarella, Antonello Cossia, Salvatore Cantalupo, Marco Mario De Notaris, Danilo Rovani, Maria Scorza e l'aiuto regista Raffaele Di Florio. E proprio Pennarella individua un nuovo, possibile sbocco per aumentare la diffusione del film: "Per me, dovrebbe essere mostrato ai ragazzi delle scuole, per fargli conoscere il Risorgimento anche da un altro punto di vista. Nel film, infatti, c'è un forte intento didattico, nel senso più alto del termine, proprio come nei capolavori storici che realizzò Roberto Rossellini per la televisione. A me, per esempio, ha ricordato molto proprio il Luigi XIV rosselliniano". Salvatore Cantalupo, da parte sua, è più drastico: "Il film di Martone riapre questioni ancora irrisolte e fa riflettere su temi che, storicamente, si è invece sempre preferito mettere a tacere: è questa, probabilmente, la sua colpa".
Kolossal costato non più di sei milioni di euro, Noi credevamo riunisce, assieme agli attori presenti ieri al Modernissimo, alcuni tra gli interpreti migliori del panorama cinematografico italiano: Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco, Francesca Inaudi, Toni Servillo, Luca Zingaretti, Luca Barbareschi, Anna Bonaiuto, Andrea Renzi, Roberto De Francesco. "In un periodo nel quale - aggiunge Antonio Pennarella - gli attori di professione sono sempre più danneggiati da quelli presi dalla strada, fa piacere che un autore sensibile e intelligente come Mario Martone si sia affidato a veri professionisti anche solo per poche battute". E sulla questione della distribuzione zoppicante dice la sua, da Milano, anche Toni Servillo, che nel film è un Giuseppe Mazzini dalle mille sfaccettature: "Mi auguro che le trenta copie di Noi credevamo facciano il loro dovere e il tutto esaurito nelle sale, spettacolo per spettacolo. Però, c'è amarezza se si pensa che vengono distribuite in centinaia di copie pellicole delle quali non andare particolarmente fieri".
Così, però, non è stato; e dunque, anche venerdì sera, durante la presentazione napoletana al multicinema Modernissimo, i tanti attori presenti in sala hanno colto l'occasione per far sentire la propria voce a sostegno di un progetto nel quale tutti loro hanno, evidentemente, creduto molto. "Forse qualcuno non voleva dare troppo spazio a questo film - spiega, per esempio, Renato Carpentieri, che interpreta Carlo Poerio - per come indaga lungo alcune direttrici interrotte del Risorgimento italiano e per come, in maniera estremamente contemporanea, fa capire ai giovani che, a volte, ribellarsi è giusto". Gli fa eco anche Enzo Salomone (che nel film è il marchese Pica): "Evidentemente, non potendo censurarlo hanno pensato di limitarne al massimo la diffusione. In più, va anche considerato che, probabilmente, in Rai avranno pensato pure a non danneggiare il presumibile passaggio televisivo della versione lunga, che potrebbe avvenire l'anno prossimo in occasione del centocinquantenario dell'Unità: così, meno persone vedono il film al cinema e più audience ci sarà allora".
Assieme a Carpentieri e Salomone, hanno salutato il folto pubblico presente al Modernissimo anche gli altri attori Antonio Pennarella, Antonello Cossia, Salvatore Cantalupo, Marco Mario De Notaris, Danilo Rovani, Maria Scorza e l'aiuto regista Raffaele Di Florio. E proprio Pennarella individua un nuovo, possibile sbocco per aumentare la diffusione del film: "Per me, dovrebbe essere mostrato ai ragazzi delle scuole, per fargli conoscere il Risorgimento anche da un altro punto di vista. Nel film, infatti, c'è un forte intento didattico, nel senso più alto del termine, proprio come nei capolavori storici che realizzò Roberto Rossellini per la televisione. A me, per esempio, ha ricordato molto proprio il Luigi XIV rosselliniano". Salvatore Cantalupo, da parte sua, è più drastico: "Il film di Martone riapre questioni ancora irrisolte e fa riflettere su temi che, storicamente, si è invece sempre preferito mettere a tacere: è questa, probabilmente, la sua colpa".
Kolossal costato non più di sei milioni di euro, Noi credevamo riunisce, assieme agli attori presenti ieri al Modernissimo, alcuni tra gli interpreti migliori del panorama cinematografico italiano: Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco, Francesca Inaudi, Toni Servillo, Luca Zingaretti, Luca Barbareschi, Anna Bonaiuto, Andrea Renzi, Roberto De Francesco. "In un periodo nel quale - aggiunge Antonio Pennarella - gli attori di professione sono sempre più danneggiati da quelli presi dalla strada, fa piacere che un autore sensibile e intelligente come Mario Martone si sia affidato a veri professionisti anche solo per poche battute". E sulla questione della distribuzione zoppicante dice la sua, da Milano, anche Toni Servillo, che nel film è un Giuseppe Mazzini dalle mille sfaccettature: "Mi auguro che le trenta copie di Noi credevamo facciano il loro dovere e il tutto esaurito nelle sale, spettacolo per spettacolo. Però, c'è amarezza se si pensa che vengono distribuite in centinaia di copie pellicole delle quali non andare particolarmente fieri".
giovedì 11 novembre 2010
martedì 9 novembre 2010
lunedì 8 novembre 2010
QUANDO I SUPEREROI DIVENTANO "ANIMATI"...
Di Raffaele De Fazio
Già da diversi decenni, i comics supereroistici flirtano con l'universo dell'animazione, soprattutto televisiva. Basti pensare al Superman dei Fleischer negli anni Quaranta, ai Marvel Cartoons canadesi dei Sixties o ai supereroi inventati per la Hanna & Barbera da Alex Toth, che contribuì successivamente anche al serial dei Super-Amici nel corso degli anni Settanta.
Limitandoci alla new wave dell'animazione supereroistica, invece, la vera svolta arriva nel 1992, quando la Warner affida a Bruce Timm, Alan Burnett e Paul Dini il compito di riportare Batman sui teleschermi americani per sfruttare il successo del lungometraggio di Tim Burton. Timm decide di puntare, nell'aspetto grafico, su una commistione tra il look del Superman dei Fleischer e le atmosfere dark dello stesso Burton, strizzando l'occhio sia ai chiaroscuri di Alex Toth che al cinema noir degli anni Trenta e Quaranta. Ne scaturiscono una Gotham City cupa e claustrofobica e un Cavaliere Oscuro che non ha nulla da invidiare a quello di alcune miniserie fumettistiche di poco antecedenti, quali Year One di Miller e Mazzuchelli. La serie ha un notevole successo grazie anche alle ottime sceneggiature di Dini, che per il cartoon ricreò alcuni tra i villains classici del Pipistrello rendendoli nuovamente accattivanti (penso al tormentato Mr. Freeze o a Clayface) e creò, inoltre, il geniale personaggio di Harley Quinn, l'aiutante/amante del Joker, poi entrata anche nel DC Universe ufficiale "di carta". Successivamente, lo stesso team creativo decide di dedicarsi al cartoon di Superman, applicando lo stesso criterio usato per Batman e creando una Metropolis degna di Fritz Lang. Proprio grazie alla serie di Superman, quello che sarà poi definito DC Animated Universe si amplia ancora di più, grazie alle interazioni tra l'Uomo d'Acciaio e altri personaggi della casa editrice, quali Lobo oppure i Nuovi Dei. La diretta conseguenza è, a questo punto, uno show animato dedicato alla Justice League, caratterizzato dalla presenza degli eroi di punta dell'Universo DC ma anche dei più misconosciuti, sempre con un notevole successo di critica e pubblico. A questo punto della storia, dunque, sembra quasi che la DC-Warner abbia il monopolio dell'animazione seriale televisiva tratta dai comics di supereroi, anche grazie al crescente successo delle produzioni "direct-to-dvd", costituite da lungometraggi inediti di buona fattura e dal nuovo trend di adattare in animazione apprezzate storylines recenti come New Frontier, Terra 2 e, prossimamente, persino il premiatissimo All Star Superman. Tutto ciò sembrerebbe tagliare le gambe alla concorrenza, ma in realtà non è così, poiché da quell'ormai lontano 1992 Bruce Timm e soci hanno fatto scuola e anche la Marvel, dopo gli orrendi X-Men degli anni Novanta, sembra aver trovato una sua strada convincente nel settore dell'animazione, grazie a buoni prodotti in dvd come quelli dedicati a Hulk e agli Ultimates, che hanno aperto la strada a una nuova era di animazione di qualità con i personaggi della Casa delle Idee, consolidatasi con la serie dedicata a Wolverine e agli X-Men per Nickelodeon e con The Super Hero Squad Show dedicata ai più piccoli per Cartoon Network. Inoltre, la recente acquisizione della Marvel da parte della Disney apre nuovi scenari soprattutto in questo settore, che è destinato a subire notevoli scossoni grazie a progetti attesi come la serie dedicata a Ultimate Spiderman, che esordirà l'anno venturo sul canale Disney XD e che vede all'opera un team creativo di tutto rispetto formato da Brian Bendis, Paul Dini, Steven T. Seagle, Joe Kelly e dal team di animatori di Ben10.
La Warner, da parte sua, pigia il piede sull'acceleratore e annuncia serie d'animazione come la già citata All Star Superman (dalla miniserie pluripremiata di Grant Morrison e Frank Quitely) in dvd, uno show sulle Lanterne Verdi (il bestseller DC del momento) e la nuova Young Justice per Cartoon Network. Inoltre, grazie a questa nuova tendenza ad adattare le storylines più famose dell'Universo DC si sta sviluppando un'enorme aspettativa tra i DC fans, che hanno cominciato a premere presso la Warner con richieste riguardanti progetti come, per esempio, Animated Dark Knight tratto dal capolavoro di Frank Miller o Titans: Judas Contract.
Insomma, credo proprio che nell'immediato futuro ne vedremo delle belle. Io, però, spero soltanto che il livello di qualità non venga sacrificato in nome della quantità, anche se la recente apertura di DC Entertainment a Hollywood, totalmente tesa allo sviluppo di nuove produzioni non solo animate, e l'enorme potenza della Disney nel campo dell'intrattenimento animato ci fanno ben sperare.
Limitandoci alla new wave dell'animazione supereroistica, invece, la vera svolta arriva nel 1992, quando la Warner affida a Bruce Timm, Alan Burnett e Paul Dini il compito di riportare Batman sui teleschermi americani per sfruttare il successo del lungometraggio di Tim Burton. Timm decide di puntare, nell'aspetto grafico, su una commistione tra il look del Superman dei Fleischer e le atmosfere dark dello stesso Burton, strizzando l'occhio sia ai chiaroscuri di Alex Toth che al cinema noir degli anni Trenta e Quaranta. Ne scaturiscono una Gotham City cupa e claustrofobica e un Cavaliere Oscuro che non ha nulla da invidiare a quello di alcune miniserie fumettistiche di poco antecedenti, quali Year One di Miller e Mazzuchelli. La serie ha un notevole successo grazie anche alle ottime sceneggiature di Dini, che per il cartoon ricreò alcuni tra i villains classici del Pipistrello rendendoli nuovamente accattivanti (penso al tormentato Mr. Freeze o a Clayface) e creò, inoltre, il geniale personaggio di Harley Quinn, l'aiutante/amante del Joker, poi entrata anche nel DC Universe ufficiale "di carta". Successivamente, lo stesso team creativo decide di dedicarsi al cartoon di Superman, applicando lo stesso criterio usato per Batman e creando una Metropolis degna di Fritz Lang. Proprio grazie alla serie di Superman, quello che sarà poi definito DC Animated Universe si amplia ancora di più, grazie alle interazioni tra l'Uomo d'Acciaio e altri personaggi della casa editrice, quali Lobo oppure i Nuovi Dei. La diretta conseguenza è, a questo punto, uno show animato dedicato alla Justice League, caratterizzato dalla presenza degli eroi di punta dell'Universo DC ma anche dei più misconosciuti, sempre con un notevole successo di critica e pubblico. A questo punto della storia, dunque, sembra quasi che la DC-Warner abbia il monopolio dell'animazione seriale televisiva tratta dai comics di supereroi, anche grazie al crescente successo delle produzioni "direct-to-dvd", costituite da lungometraggi inediti di buona fattura e dal nuovo trend di adattare in animazione apprezzate storylines recenti come New Frontier, Terra 2 e, prossimamente, persino il premiatissimo All Star Superman. Tutto ciò sembrerebbe tagliare le gambe alla concorrenza, ma in realtà non è così, poiché da quell'ormai lontano 1992 Bruce Timm e soci hanno fatto scuola e anche la Marvel, dopo gli orrendi X-Men degli anni Novanta, sembra aver trovato una sua strada convincente nel settore dell'animazione, grazie a buoni prodotti in dvd come quelli dedicati a Hulk e agli Ultimates, che hanno aperto la strada a una nuova era di animazione di qualità con i personaggi della Casa delle Idee, consolidatasi con la serie dedicata a Wolverine e agli X-Men per Nickelodeon e con The Super Hero Squad Show dedicata ai più piccoli per Cartoon Network. Inoltre, la recente acquisizione della Marvel da parte della Disney apre nuovi scenari soprattutto in questo settore, che è destinato a subire notevoli scossoni grazie a progetti attesi come la serie dedicata a Ultimate Spiderman, che esordirà l'anno venturo sul canale Disney XD e che vede all'opera un team creativo di tutto rispetto formato da Brian Bendis, Paul Dini, Steven T. Seagle, Joe Kelly e dal team di animatori di Ben10.
La Warner, da parte sua, pigia il piede sull'acceleratore e annuncia serie d'animazione come la già citata All Star Superman (dalla miniserie pluripremiata di Grant Morrison e Frank Quitely) in dvd, uno show sulle Lanterne Verdi (il bestseller DC del momento) e la nuova Young Justice per Cartoon Network. Inoltre, grazie a questa nuova tendenza ad adattare le storylines più famose dell'Universo DC si sta sviluppando un'enorme aspettativa tra i DC fans, che hanno cominciato a premere presso la Warner con richieste riguardanti progetti come, per esempio, Animated Dark Knight tratto dal capolavoro di Frank Miller o Titans: Judas Contract.
Insomma, credo proprio che nell'immediato futuro ne vedremo delle belle. Io, però, spero soltanto che il livello di qualità non venga sacrificato in nome della quantità, anche se la recente apertura di DC Entertainment a Hollywood, totalmente tesa allo sviluppo di nuove produzioni non solo animate, e l'enorme potenza della Disney nel campo dell'intrattenimento animato ci fanno ben sperare.
domenica 7 novembre 2010
sabato 6 novembre 2010
BREVE VIAGGIO TRA LE SERIE TV TRATTE DAI FUMETTI
Di Raffaele De Fazio
Se il trend del "cine-fumetto" sembra non dover avere fine, anche sul versante televisivo le cose non sono ormai tanto diverse. Negli ultimi anni, infatti, i network televisivi si sono accorti delle enormi potenzialità del bacino d'utenza dei lettori di fumetti e, così, hanno iniziato a mettere in cantiere sempre più serial esplicitamente indirizzati a questi ultimi.
Gli esempi sono già numerosi: penso, per esempio, a Heroes, partito bene qualche anno fa e poi rivelatosi una ciofeca; o all'ottimo Misfits (nella foto), sei episodi di produzione inglese, prossimi alla seconda stagione e che potrebbero avere come slogan "The way Heroes was supposed to be"; oppure allo sfortunato serial inglese No Heroics - ambientato in un bar frequentato da soli supereroi, simile al Clark's Bar creato da Alan Moore nella sua run dei Wildcats - che, pur partendo da un'idea interessante, avrebbe forse avuto bisogno di un cast meglio assortito e di un budget più consistente per poter sopravvivere. Inoltre, non posso tralasciare Big Bang Theory che, seppur non estrapolato direttamente dal mondo del fumetto, propone un ritratto dell'universo "nerd/geek" di esilarante veridicità.
Questa breve ricognizione nel nuovo "genere" si conclude, per ora, con No Ordinary Family, su una famiglia di supereroi stile Gli Incredibili, con Michael The Shield Chiklis nel ruolo principale; e, per quel che riguarda l'adattamento di materiale pre-esistente, con la versione di Frank Darabont di The Walking Dead, tratta dalla serie Image di Robert Kirkman che, sull'onda dei tanti riconoscimenti fumettistici, è uno dei serial più attesi di questo autunno televisivo. Ma i network non si fermano qui: a breve, infatti, la NBC proporrà The Caped, in parte Batman, in parte Spirit e in parte Darkman; e, se non erro, sarà il primo supereroe solitario originale del piccolo schermo.
Gli esempi sono già numerosi: penso, per esempio, a Heroes, partito bene qualche anno fa e poi rivelatosi una ciofeca; o all'ottimo Misfits (nella foto), sei episodi di produzione inglese, prossimi alla seconda stagione e che potrebbero avere come slogan "The way Heroes was supposed to be"; oppure allo sfortunato serial inglese No Heroics - ambientato in un bar frequentato da soli supereroi, simile al Clark's Bar creato da Alan Moore nella sua run dei Wildcats - che, pur partendo da un'idea interessante, avrebbe forse avuto bisogno di un cast meglio assortito e di un budget più consistente per poter sopravvivere. Inoltre, non posso tralasciare Big Bang Theory che, seppur non estrapolato direttamente dal mondo del fumetto, propone un ritratto dell'universo "nerd/geek" di esilarante veridicità.
Questa breve ricognizione nel nuovo "genere" si conclude, per ora, con No Ordinary Family, su una famiglia di supereroi stile Gli Incredibili, con Michael The Shield Chiklis nel ruolo principale; e, per quel che riguarda l'adattamento di materiale pre-esistente, con la versione di Frank Darabont di The Walking Dead, tratta dalla serie Image di Robert Kirkman che, sull'onda dei tanti riconoscimenti fumettistici, è uno dei serial più attesi di questo autunno televisivo. Ma i network non si fermano qui: a breve, infatti, la NBC proporrà The Caped, in parte Batman, in parte Spirit e in parte Darkman; e, se non erro, sarà il primo supereroe solitario originale del piccolo schermo.
venerdì 5 novembre 2010
DOMENICA SU FOX "THE WALKING DEAD" DIRECTOR'S CUT
Di Diego Del Pozzo
"Dopo lo straordinario successo di pubblico riscosso dal primo episodio, Fox va incontro al pubblico più esigente e appassionato - recita il comunicato stampa ufficiale pubblicato sul sito italiano dell'emittente satellitare - riproponendo l'episodio pilota di The Walking Dead nella sua versione Director's Cut domenica 7 Novembre 2010 alle ore 23.35". In realtà, la bellissima versione lunga sarà mandata in onda a furor di popolo, dopo l'autentica rivolta con la quale i fans hanno reagito all'esordio italiano della "zombie series" tratta dal fumetto di Robert Kirkman, trasmessa nel formato standard di 45 minuti, in seguito a un accordo tra il network AMC e il distributore Fox Channels International, anziché in quello di 65 minuti concepito dall'autore: un taglio di ben venti minuti, sui cui orrendi esiti ci si può documentare cliccando qui.
Comunque, sia come sia, domenica in tarda serata l'episodio scritto e diretto dal tre volte candidato all'Oscar Frank Darabont (Le ali della libertà, Il miglio verde, The Majestic) sarà proposto nella sua versione integrale, destinata a offrire più di una sorpresa a coloro che hanno visto soltanto l'edizione "tagliata". The Walking Dead è la storia di un gruppo di sopravvissuti a un'epidemia di proporzioni apocalittiche che ha lasciato il mondo in balia degli zombie. Protagonista della serie è il poliziotto Rick Grimes (Andrew Lincoln), che si risveglia dal coma in un mondo molto diverso da quello nel quale viveva prima dell'incidente che lo ha ridotto in fin di vita. Il secondo dei sei episodi della prima stagione andrà in onda lunedì prossimo, alle ore 22.45, sempre su Fox (canale 110 di Sky).
Comunque, sia come sia, domenica in tarda serata l'episodio scritto e diretto dal tre volte candidato all'Oscar Frank Darabont (Le ali della libertà, Il miglio verde, The Majestic) sarà proposto nella sua versione integrale, destinata a offrire più di una sorpresa a coloro che hanno visto soltanto l'edizione "tagliata". The Walking Dead è la storia di un gruppo di sopravvissuti a un'epidemia di proporzioni apocalittiche che ha lasciato il mondo in balia degli zombie. Protagonista della serie è il poliziotto Rick Grimes (Andrew Lincoln), che si risveglia dal coma in un mondo molto diverso da quello nel quale viveva prima dell'incidente che lo ha ridotto in fin di vita. Il secondo dei sei episodi della prima stagione andrà in onda lunedì prossimo, alle ore 22.45, sempre su Fox (canale 110 di Sky).
giovedì 4 novembre 2010
COMICS: INTERVISTA ALLA "LANTERNA VERDE" IVAN REIS
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 3 novembre 2010)
(Il Mattino - 3 novembre 2010)
Il trentaquattrenne brasiliano Ivan Rodrigo dos Reis, conosciuto come Ivan Reis, è uno tra i disegnatori di fumetti più apprezzati dai fans di mezzo mondo, grazie al suo lavoro per il colosso statunitense Dc Comics, in particolare su testate di supereroi vendutissime come la serie-evento Blackest Night - attualmente in corso di pubblicazione anche in Italia, grazie a Planeta De Agostini, col titolo La notte più profonda - e al suo seguito Brightest Day. Reis ha incontrato gli appassionati napoletani ieri pomeriggio presso la fumetteria Alastor, dove ha presentato i suoi nuovi progetti editoriali ma anche esaudito le tante richieste di autografi e disegni inediti. In mattinata, il disegnatore brasiliano (qui nella foto) aveva voluto visitare la zona collinare della città e, in particolare, castel Sant'Elmo e il museo di San Martino.
Originario di San Paolo, lei ha raggiunto il successo ancora molto giovane, lavorando con le principali case editrici degli Stati Uniti. Ma com'è iniziata la sua carriera artistica?
"Io disegno in maniera professionale da quando avevo 14 anni. Ho iniziato sul mercato brasiliano, con testate horror come Storie Reais de Dracula dell'editore Bloch e, poi, con alcune serie umoristiche per ragazzi pubblicate dall'Editoria Fenix: in questo modo, ho imparato a variare il mio stile, in modo da venire incontro a qualunque esigenza narrativa. Il primo salto di qualità, comunque, l'ho fatto quando sono entrato a far parte degli Estúdios Mauricio de Sousa, grande fumettista brasiliano dal quale ho imparato davvero tanto".
A quel punto, a soli 19 anni, è stato notato dai talent scout statunitensi.
"La prima casa editrice americana a credere in me è stata la Dark Horse, per la quale ho disegnato per circa due anni una testata importante come Ghost, ma anche The Mask, Time Cop e Xena. In seguito, dopo una parentesi alla Comics Lightning e poi alla CrossGen, sono stato messo sotto contratto dalla Marvel. E presso la "Casa delle Idee" ho disegnato serie importanti come Iron Man, Vendicatori, Difensori, togliendomi le prime grosse soddisfazioni".
La vera svolta nella sua carriera, però, arriva nel 2004, quando firma un contratto in esclusiva con l'altro colosso fumettistico statunitense, la Dc Comics di casa Warner. Com'è stato il passaggio dall'universo di fantasia dell'Uomo Ragno a quello di Superman e Batman?
"Magnifico. In Dc, infatti, mi hanno dato subito fiducia, affidandomi personaggi storici come Superman e i Teen Titans e mettendomi alla prova su serie-evento come Crisi infinita e poi La notte più profonda. E' indubbio che tutto sia cambiato quando ho iniziato a lavorare con lo scrittore Geoff Johns, che è anche uno tra i boss della Dc-Warner, sulla serie Lanterna Verde, nella quale l'editore ha investito tanto negli ultimi anni".
Proprio Lanterna verde, infatti, è il personaggio al centro delle saghe Dc più importanti di questi anni. E, forse anche più di Superman e Batman, è destinato ad assumere una centralità maggiore dopo l'uscita, a giugno del prossimo anno, del kolossal cinematografico Green Lantern, diretto da Martin Campbell e prodotto dallo stesso Geoff Johns per la Warner, con Ryan Reynolds nel ruolo di Hal Jordan / Lanterna verde.
Un po' del merito di questo successo è anche suo?
"Io sono contento soprattutto che il mio lavoro sia apprezzato dal pubblico e dalla critica. Tra l'altro, sono felicissimo che per il design dei personaggi del film la produzione abbia voluto rifarsi proprio alla mia interpretazione grafica. Il merito principale del successo di testate come Lanterna Verde, La notte più profonda e Brightest Day, però, è certamente di uno sceneggiatore abile come Geoff Johns, col quale è davvero bello lavorare, anche perché riesce ancora a conservare quell'entusiasmo tipico del fan, anche dopo tanti anni di carriera. D'altra parte, è un po' il mio stesso approccio: cerco sempre di disegnare il fumetto che mi sarebbe piaciuto leggere quando ero ragazzo e volavo con la fantasia di fronte alle tavole di giganti come John Buscema e Alfredo Alcala".
Quali sono gli altri suoi autori di riferimento?
"Oltre a quelli appena citati, mi ha molto influenzato anche un disegnatore meticoloso e raffinato come George Perez che, tra l'altro, proprio ultimamente mi ha chiesto di disegnare un fumetto assieme a lui".
Originario di San Paolo, lei ha raggiunto il successo ancora molto giovane, lavorando con le principali case editrici degli Stati Uniti. Ma com'è iniziata la sua carriera artistica?
"Io disegno in maniera professionale da quando avevo 14 anni. Ho iniziato sul mercato brasiliano, con testate horror come Storie Reais de Dracula dell'editore Bloch e, poi, con alcune serie umoristiche per ragazzi pubblicate dall'Editoria Fenix: in questo modo, ho imparato a variare il mio stile, in modo da venire incontro a qualunque esigenza narrativa. Il primo salto di qualità, comunque, l'ho fatto quando sono entrato a far parte degli Estúdios Mauricio de Sousa, grande fumettista brasiliano dal quale ho imparato davvero tanto".
A quel punto, a soli 19 anni, è stato notato dai talent scout statunitensi.
"La prima casa editrice americana a credere in me è stata la Dark Horse, per la quale ho disegnato per circa due anni una testata importante come Ghost, ma anche The Mask, Time Cop e Xena. In seguito, dopo una parentesi alla Comics Lightning e poi alla CrossGen, sono stato messo sotto contratto dalla Marvel. E presso la "Casa delle Idee" ho disegnato serie importanti come Iron Man, Vendicatori, Difensori, togliendomi le prime grosse soddisfazioni".
La vera svolta nella sua carriera, però, arriva nel 2004, quando firma un contratto in esclusiva con l'altro colosso fumettistico statunitense, la Dc Comics di casa Warner. Com'è stato il passaggio dall'universo di fantasia dell'Uomo Ragno a quello di Superman e Batman?
"Magnifico. In Dc, infatti, mi hanno dato subito fiducia, affidandomi personaggi storici come Superman e i Teen Titans e mettendomi alla prova su serie-evento come Crisi infinita e poi La notte più profonda. E' indubbio che tutto sia cambiato quando ho iniziato a lavorare con lo scrittore Geoff Johns, che è anche uno tra i boss della Dc-Warner, sulla serie Lanterna Verde, nella quale l'editore ha investito tanto negli ultimi anni".
Proprio Lanterna verde, infatti, è il personaggio al centro delle saghe Dc più importanti di questi anni. E, forse anche più di Superman e Batman, è destinato ad assumere una centralità maggiore dopo l'uscita, a giugno del prossimo anno, del kolossal cinematografico Green Lantern, diretto da Martin Campbell e prodotto dallo stesso Geoff Johns per la Warner, con Ryan Reynolds nel ruolo di Hal Jordan / Lanterna verde.
Un po' del merito di questo successo è anche suo?
"Io sono contento soprattutto che il mio lavoro sia apprezzato dal pubblico e dalla critica. Tra l'altro, sono felicissimo che per il design dei personaggi del film la produzione abbia voluto rifarsi proprio alla mia interpretazione grafica. Il merito principale del successo di testate come Lanterna Verde, La notte più profonda e Brightest Day, però, è certamente di uno sceneggiatore abile come Geoff Johns, col quale è davvero bello lavorare, anche perché riesce ancora a conservare quell'entusiasmo tipico del fan, anche dopo tanti anni di carriera. D'altra parte, è un po' il mio stesso approccio: cerco sempre di disegnare il fumetto che mi sarebbe piaciuto leggere quando ero ragazzo e volavo con la fantasia di fronte alle tavole di giganti come John Buscema e Alfredo Alcala".
Quali sono gli altri suoi autori di riferimento?
"Oltre a quelli appena citati, mi ha molto influenzato anche un disegnatore meticoloso e raffinato come George Perez che, tra l'altro, proprio ultimamente mi ha chiesto di disegnare un fumetto assieme a lui".
mercoledì 3 novembre 2010
UN "TELEVISIONARIO" RIEVOCA L'ERA DELLE "TV LIBERE"
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 31 ottobre 2010)
(Il Mattino - 31 ottobre 2010)
Tra i tanti primati dimenticati che Napoli può vantare c'è anche quello di esser stata, nel 1966, la città dove nacque la cosiddetta "tv libera". Proprio all'ombra del Vesuvio, infatti, iniziò le trasmissioni la prima emittente televisiva privata italiana. Era il 23 dicembre 1966, quando il vulcanico ingegnere e inventore napoletano Pietrangelo Gregorio attivò il segnale via cavo di Telediffusione Italiana - Telenapoli, poi registrata ufficialmente quattro anni dopo, il 17 dicembre 1970, nonché destinata a trasformarsi, nel 1976, in Napoli Canale 21, grazie al sostegno dell'editore Andrea Torino.
Le storie di Gregorio (qui nella foto) e di tanti altri pionieri dell'emittenza privata italiana rivivono nell'avvincente documentario I televisionari - Quando in Italia la tv era libera, che andrà in onda venerdì alle ore 22 su History Channel (canale 407 di Sky). Prodotto da Zeta Group per Fox Channels Italy, con la regia di Lorenzo Pezzano (che lo ha anche scritto con Barbara Iacampo), I televisionari ripercorre, grazie alla voce narrante di Vincenzo Mollica e a un sapiente mix di interviste e immagini d'epoca, la straordinaria avventura di questi coraggiosi e intraprendenti rivoluzionari del tubo catodico: "Artigiani del video - sottolineano i due autori - che trasformarono soggiorni, cantine e garage in studi televisivi, per sperimentare una tv alternativa, di paese o di quartiere, realizzata da cittadini per i cittadini; e per dare a tutti, in un'epoca nella quale c'era il monopolio della televisione di Stato, la possibilità di esprimersi".
Tra le vicende rievocate dal documentario, quella di Pietrangelo Gregorio e della sua Telediffusione Italiana - Telenapoli, della quale ricorrono i quarant'anni il 17 dicembre, merita un posto d'onore. "Iniziai le trasmissioni collegando a un amplificatore le antenne del palazzo di piazza Cavour dove abitavo", racconta l'oggi ottantaduenne ingegnere, ancora attivo nel campo della web-tv: "Poi, feci accordi con bar ed esercizi commerciali della zona e - prosegue - aumentai il numero di locali collegati. Dopo qualche mese trasmettevamo, ogni giorno dalle sette di sera, in tanti locali lungo via Toledo fino a piazza Plebiscito: in molti casi, c'erano sale dedicate, nelle quali ci si riuniva per seguirci. I primi programmi erano semplici: rulli commerciali, notizie locali, canzoni napoletane, barzellette e cabaret. E facevamo tutto in diretta, perché non potevamo registrare. Con noi, hanno iniziato gruppi comici storici come i Cabarinieri di Lucia Cassini, Renato Rutigliano e Aldo De Martino; ma, negli anni, anche tanti futuri professionisti dello spettacolo e dell'informazione".
Proprio l'informazione divenne una caratteristica peculiare di Telediffusione. "Ci sembrava giusto - prosegue Gregorio - riempire quel vuoto, dato che all'epoca la Rai, ancora senza la terza rete, non dedicava troppa attenzione alle realtà locali. Noi abbiamo cercato di proporre una televisione che fosse a contatto con la gente e che, magari, potesse rendersi utile sul territorio". Un buon esempio è un programma anticipatore come Filo diretto. "Fu un'autentica rivoluzione perché - ricorda Gregorio - fummo i primi a far telefonare il pubblico in diretta per parlare liberamente, lamentarsi di ciò che non andava in città, chiedere aiuto. All'inizio, mi dicevano che ero pazzo e che la cosa sarebbe finita male, invece non ho mai avuto problemi, anzi ho aiutato tanta gente, perché ci seguivano pure i rappresentanti delle istituzioni, che spesso raccoglievano le nostre segnalazioni".
Tra i record, purtroppo misconosciuti, fatti segnare dall'emittente di Pietrangelo Gregorio c'è quello della prima trasmissione italiana a colori, il 24 maggio 1971, resa possibile grazie a un'intuizione dello stesso ingegnere napoletano (negli anni, autore di oltre 300 brevetti per conto proprio e per ditte nazionali e multinazionali). Nel 1973, il clamoroso successo della sua tv libera era racchiuso in pochi semplici numeri: con oltre 380 chilometri di cavo diffusi lungo l'intera area metropolitana, 6 studi televisivi, 150 dipendenti, tra i quali 15 giornalisti, Telediffusione Italiana - Telenapoli era la più importante televisione via cavo d'Europa. "Poi, con la liberalizzazione dell'etere – conclude il "televisionario" napoletano - e l'abbandono del cavo tutto cambiò. Ben presto, la tv libera si trasformò in commerciale e, qualche anno dopo, con l'ingresso di Silvio Berlusconi, il mercato televisivo italiano cambiò per sempre".
Le storie di Gregorio (qui nella foto) e di tanti altri pionieri dell'emittenza privata italiana rivivono nell'avvincente documentario I televisionari - Quando in Italia la tv era libera, che andrà in onda venerdì alle ore 22 su History Channel (canale 407 di Sky). Prodotto da Zeta Group per Fox Channels Italy, con la regia di Lorenzo Pezzano (che lo ha anche scritto con Barbara Iacampo), I televisionari ripercorre, grazie alla voce narrante di Vincenzo Mollica e a un sapiente mix di interviste e immagini d'epoca, la straordinaria avventura di questi coraggiosi e intraprendenti rivoluzionari del tubo catodico: "Artigiani del video - sottolineano i due autori - che trasformarono soggiorni, cantine e garage in studi televisivi, per sperimentare una tv alternativa, di paese o di quartiere, realizzata da cittadini per i cittadini; e per dare a tutti, in un'epoca nella quale c'era il monopolio della televisione di Stato, la possibilità di esprimersi".
Tra le vicende rievocate dal documentario, quella di Pietrangelo Gregorio e della sua Telediffusione Italiana - Telenapoli, della quale ricorrono i quarant'anni il 17 dicembre, merita un posto d'onore. "Iniziai le trasmissioni collegando a un amplificatore le antenne del palazzo di piazza Cavour dove abitavo", racconta l'oggi ottantaduenne ingegnere, ancora attivo nel campo della web-tv: "Poi, feci accordi con bar ed esercizi commerciali della zona e - prosegue - aumentai il numero di locali collegati. Dopo qualche mese trasmettevamo, ogni giorno dalle sette di sera, in tanti locali lungo via Toledo fino a piazza Plebiscito: in molti casi, c'erano sale dedicate, nelle quali ci si riuniva per seguirci. I primi programmi erano semplici: rulli commerciali, notizie locali, canzoni napoletane, barzellette e cabaret. E facevamo tutto in diretta, perché non potevamo registrare. Con noi, hanno iniziato gruppi comici storici come i Cabarinieri di Lucia Cassini, Renato Rutigliano e Aldo De Martino; ma, negli anni, anche tanti futuri professionisti dello spettacolo e dell'informazione".
Proprio l'informazione divenne una caratteristica peculiare di Telediffusione. "Ci sembrava giusto - prosegue Gregorio - riempire quel vuoto, dato che all'epoca la Rai, ancora senza la terza rete, non dedicava troppa attenzione alle realtà locali. Noi abbiamo cercato di proporre una televisione che fosse a contatto con la gente e che, magari, potesse rendersi utile sul territorio". Un buon esempio è un programma anticipatore come Filo diretto. "Fu un'autentica rivoluzione perché - ricorda Gregorio - fummo i primi a far telefonare il pubblico in diretta per parlare liberamente, lamentarsi di ciò che non andava in città, chiedere aiuto. All'inizio, mi dicevano che ero pazzo e che la cosa sarebbe finita male, invece non ho mai avuto problemi, anzi ho aiutato tanta gente, perché ci seguivano pure i rappresentanti delle istituzioni, che spesso raccoglievano le nostre segnalazioni".
Tra i record, purtroppo misconosciuti, fatti segnare dall'emittente di Pietrangelo Gregorio c'è quello della prima trasmissione italiana a colori, il 24 maggio 1971, resa possibile grazie a un'intuizione dello stesso ingegnere napoletano (negli anni, autore di oltre 300 brevetti per conto proprio e per ditte nazionali e multinazionali). Nel 1973, il clamoroso successo della sua tv libera era racchiuso in pochi semplici numeri: con oltre 380 chilometri di cavo diffusi lungo l'intera area metropolitana, 6 studi televisivi, 150 dipendenti, tra i quali 15 giornalisti, Telediffusione Italiana - Telenapoli era la più importante televisione via cavo d'Europa. "Poi, con la liberalizzazione dell'etere – conclude il "televisionario" napoletano - e l'abbandono del cavo tutto cambiò. Ben presto, la tv libera si trasformò in commerciale e, qualche anno dopo, con l'ingresso di Silvio Berlusconi, il mercato televisivo italiano cambiò per sempre".
martedì 2 novembre 2010
SERIE TV: LO STRANO CASO DI "THE WALKING DEAD"
Di Diego Del Pozzo
La mia recensione di ieri della serie tv The Walking Dead era basata sulla visione della versione originale sottotitolata del pilot, lunga quasi settanta minuti. Riferendomi a questo vero e proprio film, dunque, avevo parlato di capolavoro horror. Si può immaginare, allora, la mia delusione, quando ieri sera ho assistito al debutto italiano dello show (ore 22.45 sul canale Fox di Sky) e mi sono trovato di fronte un episodio lungo "appena" quarantasei minuti, con evidenti tagli in molte sequenze e, soprattutto, col ritmo della narrazione irrimediabilmente alterato (e peggiorato) rispetto a quelle che erano le evidenti intenzioni originali di Frank Darabont (ideatore della versione televisiva della serie tratta dai fumetti di Robert Kirkman, co-produttore, sceneggiatore e regista del pilot).
Nella versione andata in onda su Fox, infatti, si perde molto del senso di minaccia costante derivante dalle lunghe sequenze con le quali Darabont ha scelto di rallentare e dilatare in più punti il ritmo, dando allo spettatore il tempo di "sentire" nelle viscere e nella mente l'orrore nel quale viene calato: e mi riferisco, in particolare, alla sequenza iniziale (il flash-forward che precede i titoli di testa); all'attraversamento dell'oscuro ospedale-labirinto subito dopo il risveglio di Rick dal coma; al commovente montaggio alternato tra il gesto pietoso dello stesso Rick nei confronti dello zombie-mozzone che si trascina senza più gambe lungo i prati delle campagne georgiane e il vano tentativo di Morgan (un grande Lennie James) di eliminare la moglie contaminata dandole finalmente pace; infine, al dolente e al tempo stesso speranzoso itinerario del protagonista verso Atlanta (costellato di "chicche" da fuoriclasse - andate perdute nella "versione breve" - come il fugace ma intenso faccia a faccia col cavallo che poi lo porterà in città; elemento che carica di ulteriore senso il successivo massacro del povero animale da parte degli zombie). Insomma, a fare le spese dei tagli intercorsi tra una versione e l'altra è proprio quello che mi era sembrato il punto di forza dell'intera serie: cioè l'atmosfera. Il ritmo così serrato, tra l'altro, fa perdere efficacia anche agli opprimenti silenzi dei quali è piena la colonna sonora. E, volendo esagerare ma non troppo, offre l'impressione, in più punti, di trovarsi di fronte a una pellicola proiettata a una velocità maggiore rispetto a quella corretta.
Detto ciò, comunque, anche così The Walking Dead resta un prodotto televisivo di qualità superiore, che lascia ben sperare per il prosieguo della serie e che, in ogni caso, sembra destinato a occupare un posto nella storia della serialità televisiva. Il pubblico americano, tra l'altro, ha premiato con entusiasmo il debutto della serie, vista da ben 5.3 milioni di telespettatori live, saliti a 8.1 milioni tra live e repliche, con numeri record sia per quanto riguarda il rating totale, sia per quel che concerne la quota di pubblico tra i 18 e i 49 anni (il più appetito dai network) sintonizzato davanti alla tv: 3.6 milioni di telespettatori, che rappresentano il più alto numero del 2010 tra tutte le tv via cavo.
Nella versione andata in onda su Fox, infatti, si perde molto del senso di minaccia costante derivante dalle lunghe sequenze con le quali Darabont ha scelto di rallentare e dilatare in più punti il ritmo, dando allo spettatore il tempo di "sentire" nelle viscere e nella mente l'orrore nel quale viene calato: e mi riferisco, in particolare, alla sequenza iniziale (il flash-forward che precede i titoli di testa); all'attraversamento dell'oscuro ospedale-labirinto subito dopo il risveglio di Rick dal coma; al commovente montaggio alternato tra il gesto pietoso dello stesso Rick nei confronti dello zombie-mozzone che si trascina senza più gambe lungo i prati delle campagne georgiane e il vano tentativo di Morgan (un grande Lennie James) di eliminare la moglie contaminata dandole finalmente pace; infine, al dolente e al tempo stesso speranzoso itinerario del protagonista verso Atlanta (costellato di "chicche" da fuoriclasse - andate perdute nella "versione breve" - come il fugace ma intenso faccia a faccia col cavallo che poi lo porterà in città; elemento che carica di ulteriore senso il successivo massacro del povero animale da parte degli zombie). Insomma, a fare le spese dei tagli intercorsi tra una versione e l'altra è proprio quello che mi era sembrato il punto di forza dell'intera serie: cioè l'atmosfera. Il ritmo così serrato, tra l'altro, fa perdere efficacia anche agli opprimenti silenzi dei quali è piena la colonna sonora. E, volendo esagerare ma non troppo, offre l'impressione, in più punti, di trovarsi di fronte a una pellicola proiettata a una velocità maggiore rispetto a quella corretta.
Detto ciò, comunque, anche così The Walking Dead resta un prodotto televisivo di qualità superiore, che lascia ben sperare per il prosieguo della serie e che, in ogni caso, sembra destinato a occupare un posto nella storia della serialità televisiva. Il pubblico americano, tra l'altro, ha premiato con entusiasmo il debutto della serie, vista da ben 5.3 milioni di telespettatori live, saliti a 8.1 milioni tra live e repliche, con numeri record sia per quanto riguarda il rating totale, sia per quel che concerne la quota di pubblico tra i 18 e i 49 anni (il più appetito dai network) sintonizzato davanti alla tv: 3.6 milioni di telespettatori, che rappresentano il più alto numero del 2010 tra tutte le tv via cavo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
lunedì 1 novembre 2010
SERIE TV: "THE WALKING DEAD" E' UN CAPOLAVORO
Di Diego Del Pozzo
Inutile girarci troppo intorno: The Walking Dead è un capolavoro e si candida fin d'ora - se le premesse del pilot saranno mantenute - a essere inclusa nel ristretto novero delle migliori serie televisive horror di sempre. Tratta dal premiatissimo fumetto di Robert Kirkman edito negli Stati Uniti dalla Image Comics e in Italia da SaldaPress, la serie andata in onda per la prima volta ieri sera Oltreoceano sul network AMC (lo stesso di Mad Men) fissa nuovi standard qualitativi nel settore dell'orrore seriale per lo schermo catodico. Gli appassionati italiani potranno vederla stasera, alle ore 22.45, sul canale Fox del pacchetto Sky, a sole 24 ore di distanza dal debutto statunitense.
The Walking Dead colpisce, innanzitutto, per l'ambiziosa messa in scena da kolossal cinematografico, esaltata ancora di più dal formato "extralarge" dell'episodio pilota, lungo quasi settanta minuti (novanta con le pubblicità). In tal senso, i nomi della co-produttrice Gale Anne Hurd (quella, per citare alcuni titoli, della saga di Terminator e di Aliens - Scontro finale) e, soprattutto, di Frank Darabont (Le ali della libertà, Il miglio verde, The Majestic) come ideatore, co-produttore e sceneggiatore della serie, oltre che regista del primo episodio, costituiscono garanzie assolute. Tra l'altro, il pilot si giova enormemente della straordinaria dimestichezza di Darabont con le ambientazioni periferiche e rurali cariche di mistero e di minaccia, come dimostra la filmografia precedente dell'autore di origini franco-ungheresi; e acquisisce ulteriore peso grazie alla qualità della magnifica fotografia del veterano David Tattersall e alla scelta di limitare al minimo il ricorso agli effetti speciali e girare, invece, quasi tutto in esterni, nella Georgia placida delle cittadine di campagna ma anche in una Atlanta post-apocalittica assolutamente credibile e realistica. La fluidità della regia di Darabont, la raffinatezza della sua scrittura, la capacità di tenere sempre viva la suspence (magistrali, in tal senso, le sequenze nell'ospedale e quelle dell'arrivo ad Atlanta) giocando con i silenzi inquietanti e con i continui chiaroscuri della colonna sonora di Bear McCreary, la sensibilità con la quale vengono indagate le personalità dei vari caratteri contribuiscono a fare di The Walking Dead una "quality series" tra le più rilevanti di questa nuova Golden Age of American Television.
Non ho ancora detto, volutamente, che questa serie parla di zombie. Perché lo fa alla maniera di George Romero, cioè utilizzandoli come figure simboliche della nostra sfilacciata contemporaneità: "Un buon film di zombie - sottolinea, infatti, Robert Kirkman, l'autore del fumetto di riferimento, anch'egli tra i co-produttori del tv show - riesce a farci vedere come siamo messi male. Mette in discussione il nostro ruolo nella società e quello della nostra società nel mondo". La trama della serie è incentrata sulle vicende di un gruppo di sopravvissuti a una misteriosa Apocalisse, che ha lasciato dietro di sé un mondo in bilico tra la vita e la morte, popolato da zombie contro i quali i pochi esseri umani ancora non contaminati devono combattere per poter semplicemente continuare a vivere. A guidare il gruppo di superstiti è Rick Grimes, un vice-sceriffo di polizia di provincia, risvegliatosi - nell'episodio pilota - da un coma durato mesi e precipitato all'improvviso in un mondo decisamente diverso da come lui lo ricordava: un inferno nel quale i morti camminano sulla terra. Nel ruolo principale, si distingue un ottimo Andrew Lincoln, misconosciuto e sorprendente attore inglese che riesce a reggere quasi soltanto sulle proprie spalle l'intero episodio pilota.
La prima stagione di The Walking Dead è composta da soli sei episodi, ma il network AMC ha già commissionato agli autori un secondo ciclo, per la gioia dei tantissimi fans.
The Walking Dead colpisce, innanzitutto, per l'ambiziosa messa in scena da kolossal cinematografico, esaltata ancora di più dal formato "extralarge" dell'episodio pilota, lungo quasi settanta minuti (novanta con le pubblicità). In tal senso, i nomi della co-produttrice Gale Anne Hurd (quella, per citare alcuni titoli, della saga di Terminator e di Aliens - Scontro finale) e, soprattutto, di Frank Darabont (Le ali della libertà, Il miglio verde, The Majestic) come ideatore, co-produttore e sceneggiatore della serie, oltre che regista del primo episodio, costituiscono garanzie assolute. Tra l'altro, il pilot si giova enormemente della straordinaria dimestichezza di Darabont con le ambientazioni periferiche e rurali cariche di mistero e di minaccia, come dimostra la filmografia precedente dell'autore di origini franco-ungheresi; e acquisisce ulteriore peso grazie alla qualità della magnifica fotografia del veterano David Tattersall e alla scelta di limitare al minimo il ricorso agli effetti speciali e girare, invece, quasi tutto in esterni, nella Georgia placida delle cittadine di campagna ma anche in una Atlanta post-apocalittica assolutamente credibile e realistica. La fluidità della regia di Darabont, la raffinatezza della sua scrittura, la capacità di tenere sempre viva la suspence (magistrali, in tal senso, le sequenze nell'ospedale e quelle dell'arrivo ad Atlanta) giocando con i silenzi inquietanti e con i continui chiaroscuri della colonna sonora di Bear McCreary, la sensibilità con la quale vengono indagate le personalità dei vari caratteri contribuiscono a fare di The Walking Dead una "quality series" tra le più rilevanti di questa nuova Golden Age of American Television.
Non ho ancora detto, volutamente, che questa serie parla di zombie. Perché lo fa alla maniera di George Romero, cioè utilizzandoli come figure simboliche della nostra sfilacciata contemporaneità: "Un buon film di zombie - sottolinea, infatti, Robert Kirkman, l'autore del fumetto di riferimento, anch'egli tra i co-produttori del tv show - riesce a farci vedere come siamo messi male. Mette in discussione il nostro ruolo nella società e quello della nostra società nel mondo". La trama della serie è incentrata sulle vicende di un gruppo di sopravvissuti a una misteriosa Apocalisse, che ha lasciato dietro di sé un mondo in bilico tra la vita e la morte, popolato da zombie contro i quali i pochi esseri umani ancora non contaminati devono combattere per poter semplicemente continuare a vivere. A guidare il gruppo di superstiti è Rick Grimes, un vice-sceriffo di polizia di provincia, risvegliatosi - nell'episodio pilota - da un coma durato mesi e precipitato all'improvviso in un mondo decisamente diverso da come lui lo ricordava: un inferno nel quale i morti camminano sulla terra. Nel ruolo principale, si distingue un ottimo Andrew Lincoln, misconosciuto e sorprendente attore inglese che riesce a reggere quasi soltanto sulle proprie spalle l'intero episodio pilota.
La prima stagione di The Walking Dead è composta da soli sei episodi, ma il network AMC ha già commissionato agli autori un secondo ciclo, per la gioia dei tantissimi fans.
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