mercoledì 23 ottobre 2013

LA STORIA SEGRETA DELLA MARVEL COMICS NARRATA DA SEAN HOWE

Di Diego Del Pozzo
(Mega n.° 195 - Settembre 2013)

Confrontarsi con l’avventurosa e spesso controversa storia della Marvel significa, tra le altre cose, fare un viaggio in oltre settant’anni di storia del capitalismo americano, perché la casa editrice di fumetti di supereroi più famosa al mondo assieme alla DC Comics incarna uno tra i brand più universalmente noti nello scacchiere dell’industria dell’entertainment globale. Non a caso, il 31 agosto 2009, la Walt Disney Company – cioè uno tra i gruppi dominanti al mondo nel settore dell’intrattenimento multimediale – l’ha acquistata per quasi quattro miliardi di dollari, allettata soprattutto dalle potenzialità economiche – con relativo surplus derivante dal merchandising – delle trasposizioni cinematografiche tratte, negli ultimi quindici anni, dai fumetti di personaggi celeberrimi come X-Men, Avengers, Capitan America, Iron Man, Thor, Hulk, Fantastici Quattro, Spider-Man, soltanto alcuni tra gli oltre 8.000 presenti in quel calderone narrativo che risponde al nome di Marvel Universe, tutti potenzialmente pronti per generare film di successo (come, d’altra parte, fa la Warner con i personaggi della sua sussidiaria DC, a partire dai big Batman e Superman).
E proprio il rapporto col cinema è uno tra i più interessanti fili narrativi del bellissimo libro-inchiesta Marvel Comics – Una storia di eroi e supereroi, scritto dal giornalista statunitense Sean Howe e tradotto da poco anche in Italia da Panini Books (452 pagine, 29.90 euro), appena prima che Oltreoceano gli venisse attribuito il prestigioso Eisner Award (l’Oscar dell’industria dei comics) come miglior volume di argomento fumettistico dell’anno. La fascinazione verso il cinema, infatti, accompagna la Marvel quasi per la sua intera storia, dato che già a fine anni Sessanta inizia a guardare con interesse verso Hollywood, alla ricerca di sinergie per realizzare film tratti dai suoi fumetti. Però, fino al 1998 – quando arriva in sala “Blade”, seguito due anni dopo dal primo “X-Men” di Bryan Singer – il rapporto con l’industria cinematografica si caratterizza per flop e cocenti delusioni, progetti opzionati ma mai partiti, diritti ceduti per un tozzo di pane a partner non all’altezza, scritture e riscritture di sceneggiature a dir poco banali, relazioni pericolose con autentici truffatori che si dileguano con le risorse destinate ai film.
A fare da ambasciatore della Marvel a Hollywood, quasi a tempo pieno fin dal 1972, è direttamente Stan Lee, cioè l’uomo che nel 1961 aveva dato il via a quella che passerà alla storia come “Silver Age of Comics”, creando assieme al grande disegnatore Jack Kirby i Fantastici Quattro, Hulk e via via tutti gli altri personaggi marvelliani. Lee, che alla Marvel lavorava dalla fine degli anni Trenta, quando lo zio Martin Goodman fondò la casa editrice col nome Timely, viene destinato dalla proprietà ai rapporti col mondo del cinema e si trasforma così in una sorta di volto pubblico dell’azienda, sempre più lontano dagli aspetti squisitamente editoriali e creativi, nonostante quello “Stan Lee presenta…” che ancora oggi campeggia in apertura di ogni singolo albo Marvel.
Ma nel libro di Sean Howe, proprio Lee non fa una gran figura, raccontato dall’autore dapprima come una sorta di raccomandato dello zio Goodman, che lo assume poco più che teenager e gli consegna a 18 anni le redini dell’azienda, quindi come ambiziosissimo sceneggiatore e direttore editoriale in perenne contrasto con i disegnatori che avanzano (quasi sempre a ragione) diritti legali sulle proprietà di personaggi in realtà creati anche da loro, poi come inconsapevole strumento nelle mani di vertici aziendali più interessati a giochetti di borsa e fusioni societarie che alla creatività. In particolare, Howe analizza con dovizia di particolari, spesso inediti e in alcuni casi persino sconvolgenti, il rapporto lungo tutta una vita tra Stan Lee e Jack Kirby, l’altro creatore del Marvel Universe, al quale però non saranno mai riconosciuti i diritti sui “suoi” personaggi né restituite, tranne che in minima parte, le tavole originali disegnate in decenni di collaborazione.
Ma nel volume trova ampio spazio l’intero scenario dell’editoria fumettistica statunitense, con descrizioni accurate della situazione alla DC Comics (con la quale, da un certo punto in poi, la Marvel inizia a scambiare con regolarità editor, sceneggiatori e disegnatori) e con riferimenti puntuali alla nascita della Image, evento che rivoluzionò il panorama editoriale a stelle e strisce durante gli anni Novanta. I momenti godibili del libro di Howe sono tantissimi: per esempio, i racconti riguardanti il “clan degli strafattoni”, capeggiato negli anni Settanta da Steve Englehart; il bizzarro reclutamento di Scott Lobdell come nuovo sceneggiatore di “X-Men” – all’epoca la testata più venduta d’America – avvenuto al volo, sulla soglia di una porta della redazione, mentre lui si trovava a passare casualmente di lì in quel momento; le lotte di Steve Gerber per non perdere i diritti sul suo adorato personaggio Howard the Duck; le controverse parabole riguardanti la vita e la carriera di autori “indipendenti dentro” come Steve Ditko o Jim Starlin; l’analisi dei veri motivi per cui Roy Thomas preferiva riprendere vecchi personaggi e attualizzarli, piuttosto che crearne di nuovi.
Insomma, grazie alle interviste inedite a oltre 150 persone che, fin dagli anni Trenta, hanno lavorato alla Marvel nelle sue varie incarnazioni, Howe getta nuova luce – non a caso, il titolo originale del libro è Marvel Comics: The Untold Story, cioè la storia inedita – sull’epopea di quella che oggi, come del resto la DC Comics, è riuscita a imporsi come qualcosa di molto più che una semplice casa editrice di fumetti. Howe ne approfondisce peculiarità stilistiche come l’innovativa intuizione in chiave realistica dei “supereroi con superproblemi”, ma soprattutto ne narra e spesso rivela le storie vere, le meschinità e le acerrime rivalità degli uomini che quelle storie hanno realizzato, autori spesso dimenticati e maltrattati, come i tanti che, nel corso dei decenni, si sono visti negare la proprietà delle loro creazioni, da Bill Everett a Chris Claremont, nonostante il loro genio abbia contribuito a rendere la Marvel il colosso dell’intrattenimento globale che è al giorno d’oggi.

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