Di Diego Del Pozzo
(Mega n.° 200 - Febbraio 2014)
Per celebrare degnamente il numero 200 del Mega, l’appuntamento di questo mese con Comic Links diventa extralarge e molto, molto speciale, con un’intervista esclusiva a uno tra i massimi geni visionari della contemporaneità: ladies and gentlemen, squilli di trombe e rulli di tamburi per mister Terry Gilliam!
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La copertina di Mega n.° 200 |
Ho realizzato l’intervista a Capodanno, durante il festival internazionale Capri Hollywood, del quale Gilliam è stato tra gli ospiti d’onore. E, in un’atmosfera rilassata e informale, l’autore di film-culto come “Brazil” (1985), “Le avventure del Barone di Munchausen” (1988), “La leggenda del re pescatore” (1991), “L’esercito delle 12 scimmie” (1995) e il più recente “Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo” (2009) si è lasciato andare a una chiacchierata nella quale non hanno trovato posto soltanto i dettagli dei suoi nuovi (clamorosi e attesissimi) progetti, ma tanti altri argomenti, a partire dal controverso rapporto tra creazione artistica e nuove tecnologie digitali.
Che cosa pensa un visionario come lei di un tema così importante, anche per gli sviluppi futuri del cinema?
“Penso che l’importante siano sempre le idee, non innovazioni tecnologiche che, per restare in ambito strettamente cinematografico, gli Studios hollywoodiani utilizzano per raccontarci in modi soltanto apparentemente diversi quelle che, invece, sono sempre le stesse storie. Senza idee, infatti, non si può fare niente di veramente innovativo. Così, anche se il digitale, per me, rende certamente i processi produttivi più facilmente accessibili a tutti e abbatte, al tempo stesso, i costi per realizzare un film, ritengo che alla base di tutto debbano continuare a esserci le idee. Basti pensare a un campo come quello dell’animazione, che io conosco bene e che, in passato, ho frequentato con regolarità: molto spesso, infatti, il digitale viene utilizzato per realizzare più facilmente ciò che già prima era possibile realizzare. Invece, bisognerebbe affrontare nuove sfide creative e spostare i confini sempre più in avanti: non mi piace il fotorealismo nel cinema d’animazione e ho paura che, poiché oggi tutto è tecnicamente possibile, in realtà nulla diventi più davvero credibile. Invece, quando vado al cinema vorrei essere sempre sorpreso e sconvolto: vorrei visioni ardite, mondi fantastici, ma anche viaggi nelle profondità dell’animo umano. In quanto a Hollywood, oggi più che mai ha in mano l’immaginario globale attraverso il controllo della produzione, della distribuzione, delle sale e, soprattutto, del marketing, che comanda tutto grazie anche a una saldatura senza precedenti con il mondo della finanza. Tutto ciò, però, serve soltanto a produrre film stupidi e, molto spesso, a farne lievitare i costi grazie a spese di promozione allucinanti. Il mio nuovo “The Zero Theorem”, per fare un esempio, è costato 8,5 milioni di dollari. Ma, se lo avessi realizzato a Hollywood, ne sarebbero serviti almeno 25”.
A proposito del fantascientifico “The Zero Theorem”, in concorso alla Mostra di Venezia 2013, quando è prevista l’uscita nei cinema europei?
“Tra febbraio e marzo, il film sarà distribuito in Francia, Germania, Italia e in altre nazioni europee. Però, quando l’ho girato mi sembrava un film di fantascienza, invece oggi, dopo un anno appena, pare quasi un trattato di storia sul passato, dato che la realtà ci sorpassa a velocità incredibile e il futuro ci viene incontro senza che noi ce ne rendiamo nemmeno conto. Comunque, attraverso la parabola del geniale hacker interpretato da Christoph Waltz e impegnato a ricercare il senso dell’esistenza umana in una società orwelliana dominata dalle multinazionali, in effetti, mi interrogo proprio sul rapporto tra gli uomini e le nuove tecnologie nella società contemporanea. Ormai, il progresso viaggia più veloce della luce e la tecnologia domina ogni aspetto delle nostre vite quotidiane. Se vai a una festa, a Londra come in Italia, puoi facilmente notare come tutti abbiano gli occhi incollati sugli schermi dei loro smartphones e come, pur tra tanta gente, nessuno comunichi più davvero con nessun altro. E, con questo nuovo film, ho provato anche a dire la mia su un fenomeno come questo, che non posso fare a meno di trovare inquietante”.
Ma, tornando al mondo del cinema, non crede che l’evoluzione tecnologica porti anche aspetti positivi?
“Dal mio punto di vista, gli unici riguardano la distribuzione. Oggi, infatti, la scomparsa della pellicola e la realizzazione di film live action e animati, ma anche di serie televisive, direttamente in digitale consente di distribuirli in maniera più agile e capillare, rispetto al passato, bypassando gli spazi tradizionali e inventandosene di nuovi. Una via interessante, per esempio, è quella di portali come Netflix, che da poco sono entrati anche nella produzione diretta di nuovi contenuti. Una cosa che trovo molto affascinante rispetto al passato è la possibilità di fare enormi abbuffate di film e serie tv, lungo autentiche maratone assieme agli amici. Proprio questo, tra l’altro, mi sembra un modo adeguato ai tempi per riscoprire il piacere della visione comune, superando l’alienazione del rapporto solitario col piccolo schermo del proprio tablet o smartphone. Recentemente, mi sono goduto tutte le stagioni di “Breaking Bad” nel giro di pochi giorni, grazie ai cofanetti dvd. E devo dire che sono rimasto sconvolto dalla straordinaria qualità di questa serie, che secondo me fa mangiare la polvere a quasi tutto il cinema prodotto oggi a Hollywood. Per me, il futuro è proprio in prodotti come questo”.
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Un momento dell'intervista |
Ma a lei, vista la qualità elevata delle produzioni di network tv come Hbo, Showtime o Amc, è mai venuta la voglia di dedicarsi a una serie televisiva?
“In realtà, in questi anni sono stato contattato molte volte proprio per realizzare una serie tv. E, naturalmente, avrei anche diverse idee interessanti da sviluppare in questo ambito, che rispetto al cinema ti permette di portare avanti narrazioni più stratificate e complesse. Però, tra il 1969 e il 1974, ho iniziato a lavorare proprio sul piccolo schermo, ai tempi del “Monty Python’s Flying Circus”. E, onestamente, non mi va di tornare indietro e finire la mia carriera lì dove la avevo iniziata”.
Lei ha ricordato i “mitici” Monty Python, l’irrefrenabile “circo volante” che, da fine anni Sessanta all’inizio degli Ottanta, ha letteralmente rivoluzionato il modo di fare comicità. E il 2014 è l’anno dell’attesissima reunion del gruppo. Come mai proprio adesso?
“Per una ragione molto semplice e persino un po’ prosaica: avevamo bisogno di soldi, poiché avevamo perso una causa legale che ci riguardava tutti. Così, abbiamo deciso che riformare il nostro gruppo di matti potesse essere il modo migliore per farne tanti in fretta. Quindi, come spesso capita, da un disastro è nata una riunione di famiglia. Naturalmente, però, alla base di tutto c’è stata anche la nostra voglia di proporre alle nuove generazioni una comicità che ha fatto epoca. E, al di là di tutto, sarà davvero bello, trent’anni dopo, ritrovarci sullo stesso palcoscenico”.
Quando e dove avverrà la reunion e con quali novità?
“I Monty Python torneranno insieme a luglio a Londra, alla O2 Arena. All’inizio, avevamo pensato a un unico show, l’1 luglio, ma appena messi in vendita quei 17mila biglietti sono andati esauriti on line in appena 43 secondi e mezzo. Così, abbiamo accettato di fare altre quattro serate, dal 2 al 5 luglio, ma anche quelle hanno fatto registrare un “sold out” in poche ore. Quindi, abbiamo deciso di replicare anche il 15, 16, 18, 19 e 20 luglio, per un totale di dieci spettacoli. Non ci ho pensato subito, altrimenti avrei potuto fare anch’io un po’ di bagarinaggio! Scherzi a parte, il titolo del reunion show è “One Down, Five to Go” (“Uno in meno, ne restano cinque”) e sarà una via di mezzo tra un party e una festa di resurrezione, perché purtroppo uno di noi, Graham Chapman, è morto nel 1989 mentre io, John Cleese, Eric Idle, Terry Jones e Michael Palin siamo pronti per tornare in scena. Nel preparare le serate, abbiamo capito che in tanti vogliono rivedere i classici del gruppo, ma stiamo lavorando anche a una serie di nuovi sketch che, mentre li scrivevamo, ci hanno fatto morire dalle risate. Ci saranno un po’ di commedia, molto pathos, tanta musica, una spruzzatina di “old style sex” e tanti travestimenti”.
L’altra importante novità del suo 2014 è la realizzazione di “The Man Who Killed Don Quixote”, il progetto di film che lei porta avanti da ben quindici anni con scarso successo. Siamo arrivati finalmente alla volta buona?
“Credo proprio di sì. Ho firmato con una giovane casa di produzione spagnola e abbiamo già individuato i set ideali alle Canarie. L’inizio delle riprese è fissato per il 3 ottobre, anche se finora non ho né il cast né la stesura definitiva della nuova sceneggiatura né il budget completo per il film. Ma in questi mesi lavoreremo tutti a ritmi elevati, in modo da essere pronti per ottobre. Tra i protagonisti non vi sarà Johnny Depp, perché punterò su altri attori sia per il ruolo di Don Chisciotte che per quello di Sancho Panza. Sono al settimo tentativo di fare questo film e, dopo tanti fallimenti, spero davvero che sia quello buono. In ogni caso, oltre che dalle idee io sono sempre stato molto affascinato dalla loro concreta realizzazione. E, ancora una volta, sono certo che le limitazioni e i problemi faranno nascere nella mia mente nuove soluzioni creative”.
Che cosa pensa del recente trend dei cinecomics, sempre più dominanti ai box office globali?
“Io sono un grandissimo appassionato di fumetti. E, in passato, ho anche provato a realizzare qualche film tratto da graphic novels di amici come Neil Gaiman, senza però riuscirvi mai. Adesso, onestamente, il fatto che tutti vogliano fare film da fumetti mi fa andare automaticamente in direzione opposta. Penso intensamente a “Don Chisciotte”, ma sarebbe fantastico anche riuscire a trarre qualche bel film dai romanzi di uno tra i miei scrittori contemporanei preferiti, un genio assoluto come Neal Stephenson, che con le sue storie di fantascienza riesce a essere sempre immerso nell’oggi ma con lo sguardo puntato costantemente sul domani, come sanno fare soltanto i grandi narratori. Il passaggio da un buon libro a un buon film, però, non è mai automatico, perché mentre lo scrittore può affrontare il foglio bianco da solo con la propria fantasia, il cinema resta una forma d’arte e d’espressione collettiva, col regista che guida un gruppo di professionisti e di artisti tutti in grado di dare un loro contributo personale al prodotto finito”.
Ci sono registi o autori del passato dei quali sente la mancanza?
“Io sono cresciuto con i grandi autori europei, in particolare italiani, degli anni Cinquanta e Sessanta: registi come Fellini in grado di costruire mondi personali sullo schermo, ma anche cineaste come, per esempio, Lina Wertmuller, che all’epoca erano presenti in massa anche nei cinema americani. Oggi, invece, se si chiede a un giovane chi sia Pasolini si capisce sconsolati che nessuno lo conosce. Devo dire, poi, che in questo voi italiani siete davvero fantastici: sempre a piangervi addosso, quando avreste possibilità straordinarie, ancora oggi, di fare grande arte. Comunque, tornando al tema delle nuove tecnologie, queste potrebbero essere molto utili anche per il recupero e la divulgazione dei grandi autori del passato, grazie alle versioni restaurate dei loro capolavori, distribuite in dvd e blu-ray e arricchite da contenuti speciali che consentono di approfondirne la visione con i retroscena della lavorazione e con altri materiali di enorme interesse. In questo modo, i grandi film del passato possono restare vivi e arrivare a pubblici sempre nuovi”.
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