lunedì 18 febbraio 2019

CLINT EASTWOOD, L'AMERICA, IL TEMPO E LA MORTE: "IL CORRIERE"

Di Diego Del Pozzo 

Ma che grandissimo film che è Il corriere - The Mule di Clint Eastwood?
Ancora una volta (e lo fa fin da Honkytonk Man del 1982, realizzato quando aveva 52 anni), questo autore straordinario (uno tra i più grandi dell'intera storia del cinema) consegna al proprio pubblico un personaggio "fuori tempo massimo", oltre la propria scadenza naturale, quasi un replicante bladerunneriano (più umano dell'umano) in lotta costante con una morte che avrebbe dovuto portarlo via anni prima e che, pertanto, gli concede il lusso di poter vivere "senza filtri", con leggerezza persino fanciullesca e, al tempo stesso, con l'animo appesantito da rimpianti che, ormai, il tempo ha reso impossibili da trasformare in nuove possibilità.

Proprio come l'America profonda che Clint, a quasi 89 anni, continua a raccontare come nessun altro (forse, soltanto il miglior Bruce Springsteen), in modo tenero e dolente, affettuoso e amaro, disilluso ed empatico. E proprio come quei magnifici drop-out che continuano a giocare a scacchi con la morte, interpretati direttamente da lui o incarnati nei suoi tanti alter ego attoriali, dal già citato Honkytonk Man attraverso Bird, Gli spietati, Un mondo perfetto, I ponti di Madison County, Space Cowboys, Million Dollar Baby e, naturalmente, Gran Torino.
La speranza è che "El Tata" Earl Stone - e il suo corpo rinsecchito ma arzillo, esposto appunto "senza filtri" alla macchina da presa come un'autentica mappa geografica vivente del "God's Country" - non sia l'ultimo di questa magnifica galleria che ha saputo dirci tanto - e continua a farlo - sul tempo e sulla morte, sul cinema e sulla vita.
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