Alan Moore |
C'è questo interessantissimo e tristissimo articolo tratto da Bleeding Cool (e segnalatomi dall'amico Raffaele De Fazio) che rimette nella giusta prospettiva l'avversione totale di Alan Moore verso l'industria dei comics e le sue frequenti dichiarazioni contro, per esempio, le trasposizioni delle sue opere in altri media.
Nell'articolo, l'autore Rich Johnston riporta una serie di tweet di due giorni fa scritti da Leah Moore, la figlia del creatore di Watchmen e V for Vendetta. E Leah, con toni francamente struggenti e con un utilizzo ripetuto del verbo "to break" (rompere, spezzare; ma anche rompersi, spezzarsi) fa emergere il quadro di un innamorato distrutto nel proprio animo (oltre che di un uomo molto diverso dall'immagine cupa che ne danno comunemente i media).
Ma Leah Moore, soprattutto, lascia i lettori con un'unica, sconvolgente domanda-riflessione: se il cuore di Alan Moore non fosse stato distrutto da quella stessa industria alla quale lui aveva dato tutto, probabilmente oggi non avremmo avuto film e serie tv tratti dalle sue opere, ma al tempo stesso avremmo potuto leggere altri trent'anni e oltre (perché di questo stiamo parlando, di quasi quattro decenni) di storie dei supereroi di Marvel e DC Comics scritte da quello stesso autore che a metà anni Ottanta rinnovò per sempre quel particolare genere narrativo e lo rese adulto senza per questo farne sparire la magia.
Mi chiedo, allora (ma la domanda è chiaramente retorica): ne è davvero valsa la pena?
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