giovedì 30 settembre 2010
TONY CURTIS 1925-2010: L'UOMO OLTRE L'ATTORE
Di Antonio Tricomi
Molti lo ricorderanno per la sua bravura d'attore e il suo fascino di seduttore: meriti non trascurabili. Ma per molta gente Tony Curtis è un eroe anche per altri motivi. Figlio di una famiglia ebraica fuggita da Budapest a causa delle persecuzioni di cui gli ebrei erano vittime già molto prima del nazismo, diventato ricco e famoso Curtis si è impegnato nella ricostruzione del quartiere ebraico della sua città d'origine. Con l'invasione nazista dell'Ungheria, molte strade e piazze, e lo stesso lungofiume del Danubio, furono teatro di stragi. Le case vennero evacuate, i luoghi di culto distrutti. Con il passaggio di regime, dal nazismo al comunismo, la popolazione ebraica di Budapest non venne risarcita, né la sua memoria onorata. Ma la star di Hollywood Tony Curtis ha investito per anni in quella causa i suoi soldi e la sua popolarità. Ogni volta che visitava Budapest, veniva accolto come un eroe, anche da gente che non aveva visto A qualcuno piace caldo. Se poi lo aveva visto, tanto meglio.
UNA COMMEDIA INTELLIGENTE E DIVERTENTE
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 30 settembre 2010)
(Il Mattino - 30 settembre 2010)
Una commedia molto divertente, ma garbata e intelligente, sull'umanità che accomuna Nord e Sud al di là delle differenze di superficie troppo spesso enfatizzate e strumentalizzate: Benvenuti al Sud si propone così agli spettatori che, da domani, potranno andare a vederla in ben 570 cinema di tutta Italia. E proprio l'elevatissimo numero di copie che Medusa ha deciso di distribuire fin dal primo giorno di uscita fa capire bene quale fiducia e attesa vi sia intorno alla commedia diretta da Luca Miniero e interpretata da un ottimo cast composto dai protagonisti Claudio Bisio e Alessandro Siani e poi da Angela Finocchiaro, Valentina Lodovini, Nando Paone, Giacomo Rizzo, Nunzia Schiano, Riccardo Zinna. Proprio Siani, assieme al regista, agli altri interpreti campani e al produttore esecutivo Giorgio Magliulo, ha introdotto la proiezione in anteprima di ieri sera a Castellabate, la località del Cilento che l'anno scorso ha fatto da suggestiva ambientazione per le riprese, grazie all'indispensabile supporto della Film Commission Regione Campania (proiezione dedicata al sindaco della vicina Pollica, Angelo Vassallo, assassinato all'inizio di settembre). "Abbiamo lavorato moltissimo per questo film - spiega il direttore della Film Commission campana, Maurizio Gemma - fin da quando venimmo a sapere che Medusa e Cattleya avevano acquistato i diritti per fare un remake del campione d'incassi francese Giù al Nord. Il grande successo di quel film, infatti, ha prodotto un incremento del venti per cento nelle regioni settentrionali al confine col Belgio e fin da subito capimmo che una versione italiana ben fatta e magari premiata dal pubblico avrebbe potuto produrre risultati analoghi anche sul territorio campano".
In effetti, Castellabate e il Cilento sono quasi co-protagonisti di Benvenuti al Sud, più che semplici scenari, poiché proprio la lussureggiante bellezza dei luoghi, assieme al calore di coloro che li abitano, riesce a far breccia nelle diffidenze e nei pregiudizi dei due ottusi pseudo-leghisti interpretati da Claudio Bisio e Angela Finocchiaro. "Abbiamo tentato di dissacrare - racconta il protagonista meridionale, Alessandro Siani - tutti i luoghi comuni sul Sud che troppo spesso dominano in televisione. Con la scelta di Castellabate, infatti, abbiamo voluto proporre un Meridione normale, anche se è un po' triste che proprio la normalità mostrata nel film possa apparire straordinaria, perché invece le cose dovrebbero andare sempre così ovunque". Nonostante il regista Luca Miniero e lo sceneggiatore Massimo Gaudioso (lo stesso di Gomorra) abbiano evitato volutamente troppi riferimenti all'attualità, è indubbio, però, che un film sulla contrapposizione tra Nord e Sud sia destinato, in questo momento storico, a suscitare polemiche. "Ma noi non volevamo rispondere ai politici - aggiunge Siani - anche perché sarebbe impossibile. Un giorno parla Brunetta, un altro Bossi e ci vorrebbero tutti i film del mondo. Noi abbiamo semplicemente provato ad andare contro i cliché, raccontando quello che vediamo intorno a noi". Nel film, Siani interpreta Mattia, un timido postino di Castellabate innamorato da sempre della bella collega Maria (Lodovini), alla quale però non riesce a dichiararsi. Sarà proprio l'incontro col nuovo direttore dell'ufficio postale locale, il "nordista" Alberto (Bisio), trasferito al Sud per punizione, a sbloccarlo da quel punto di vista, mentre a sua volta lui riuscirà a far ricredere il "forestiero", con la collaborazione degli altri abitanti del luogo, su un'immagine del Meridione vittima dei peggiori pregiudizi. "Assieme agli attori - conclude il regista Luca Miniero - abbiamo lavorato innanzitutto sull'umanità dei personaggi, per mettere in scena conflitti che fossero, comunque, lontani dalla cattiveria ideologica imperante al giorno d'oggi e che, invece, si potessero superare semplicemente attraverso l'apertura e la fiducia verso l'altro".
In effetti, Castellabate e il Cilento sono quasi co-protagonisti di Benvenuti al Sud, più che semplici scenari, poiché proprio la lussureggiante bellezza dei luoghi, assieme al calore di coloro che li abitano, riesce a far breccia nelle diffidenze e nei pregiudizi dei due ottusi pseudo-leghisti interpretati da Claudio Bisio e Angela Finocchiaro. "Abbiamo tentato di dissacrare - racconta il protagonista meridionale, Alessandro Siani - tutti i luoghi comuni sul Sud che troppo spesso dominano in televisione. Con la scelta di Castellabate, infatti, abbiamo voluto proporre un Meridione normale, anche se è un po' triste che proprio la normalità mostrata nel film possa apparire straordinaria, perché invece le cose dovrebbero andare sempre così ovunque". Nonostante il regista Luca Miniero e lo sceneggiatore Massimo Gaudioso (lo stesso di Gomorra) abbiano evitato volutamente troppi riferimenti all'attualità, è indubbio, però, che un film sulla contrapposizione tra Nord e Sud sia destinato, in questo momento storico, a suscitare polemiche. "Ma noi non volevamo rispondere ai politici - aggiunge Siani - anche perché sarebbe impossibile. Un giorno parla Brunetta, un altro Bossi e ci vorrebbero tutti i film del mondo. Noi abbiamo semplicemente provato ad andare contro i cliché, raccontando quello che vediamo intorno a noi". Nel film, Siani interpreta Mattia, un timido postino di Castellabate innamorato da sempre della bella collega Maria (Lodovini), alla quale però non riesce a dichiararsi. Sarà proprio l'incontro col nuovo direttore dell'ufficio postale locale, il "nordista" Alberto (Bisio), trasferito al Sud per punizione, a sbloccarlo da quel punto di vista, mentre a sua volta lui riuscirà a far ricredere il "forestiero", con la collaborazione degli altri abitanti del luogo, su un'immagine del Meridione vittima dei peggiori pregiudizi. "Assieme agli attori - conclude il regista Luca Miniero - abbiamo lavorato innanzitutto sull'umanità dei personaggi, per mettere in scena conflitti che fossero, comunque, lontani dalla cattiveria ideologica imperante al giorno d'oggi e che, invece, si potessero superare semplicemente attraverso l'apertura e la fiducia verso l'altro".
mercoledì 29 settembre 2010
TROISI E BENIGNI IN BLU RAY CON SCENE INEDITE
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 29 settembre 2010)
Sarà presentata l'11 ottobre a Viareggio, nell'ambito di un omaggio del festival Europacinema a Massimo Troisi, la nuova edizione home video di un "cult movie" della commedia italiana come Non ci resta che piangere, che dal 19 ottobre sarà distribuito per la prima volta in Blu Ray da Cecchi Gori.
La nuova edizione del film che unì nel 1984 Troisi e Roberto Benigni conterrà un'intervista inedita al comico toscano e una lunga sequenza (41 minuti) mai montata nella versione uscita al cinema, ma soltanto in quella televisiva trasmessa ormai diversi anni fa. La sequenza, comunque reperibile già nell'attuale edizione in Dvd, è ambientata come il resto del film nel 1492 e mostra il triangolo sentimentale che nasce dopo che una guerriera spagnola (Iris Peynado) rapisce il bidello Mario (Troisi) e il maestro elementare Saverio (Benigni) per impedir loro di fermare le caravelle di Cristoforo Colombo. Per Benigni, Non ci resta che piangere nacque "da quel sentimento così uguale e così distante dall'amore che è l'amicizia: un'armatura fragilissima, trasparente che però ci rendeva invincibili. Sul set eravamo allegri e ognuno si appoggiava sull'altro, anche per quelle improvvisazioni che, però, nascono da un lungo lavoro". L'attore-regista rivela anche un aneddoto legato al nome del film: "Deriva da una poesia di Petrarca; appena iniziai a leggerla, Massimo mi fermò e mi disse che avevamo trovato il titolo".
(Il Mattino - 29 settembre 2010)
Sarà presentata l'11 ottobre a Viareggio, nell'ambito di un omaggio del festival Europacinema a Massimo Troisi, la nuova edizione home video di un "cult movie" della commedia italiana come Non ci resta che piangere, che dal 19 ottobre sarà distribuito per la prima volta in Blu Ray da Cecchi Gori.
La nuova edizione del film che unì nel 1984 Troisi e Roberto Benigni conterrà un'intervista inedita al comico toscano e una lunga sequenza (41 minuti) mai montata nella versione uscita al cinema, ma soltanto in quella televisiva trasmessa ormai diversi anni fa. La sequenza, comunque reperibile già nell'attuale edizione in Dvd, è ambientata come il resto del film nel 1492 e mostra il triangolo sentimentale che nasce dopo che una guerriera spagnola (Iris Peynado) rapisce il bidello Mario (Troisi) e il maestro elementare Saverio (Benigni) per impedir loro di fermare le caravelle di Cristoforo Colombo. Per Benigni, Non ci resta che piangere nacque "da quel sentimento così uguale e così distante dall'amore che è l'amicizia: un'armatura fragilissima, trasparente che però ci rendeva invincibili. Sul set eravamo allegri e ognuno si appoggiava sull'altro, anche per quelle improvvisazioni che, però, nascono da un lungo lavoro". L'attore-regista rivela anche un aneddoto legato al nome del film: "Deriva da una poesia di Petrarca; appena iniziai a leggerla, Massimo mi fermò e mi disse che avevamo trovato il titolo".
martedì 28 settembre 2010
IL RITORNO DI EDWIGE FENECH
Di Diego Del Pozzo
Colei che è stata per anni la regina della commedia sexy all'italiana non poteva scegliere altro ruolo che quello di una vera sovrana, Caterina II di Russia, per tornare a recitare dopo diversi anni dedicati unicamente alla produzione per il cinema e la televisione (mostrando, tra l'altro, un fiuto notevole, in particolare nelle produzioni catodiche: una tra tutte, Commesse). Edwige Fenech, infatti, tornerà a fare l'attrice interpretando proprio la Zarina nella fiction La figlia del capitano, diretta da Giacomo Campiotti e prodotta da lei con la sua società Immagine e Cinema. Il lavoro, tratto dal romanzo omonimo di Aleksandr Puskin e articolato come miniserie, andrà in onda l'anno prossimo su Raiuno, con Vanessa Hessler e Primo Reggiani nei due ruoli principali. Ad anticipare la notizia dell'atteso ritorno davanti alla macchina da presa è la stessa Fenech in una lunga intervista esclusiva a Tv Sorrisi e Canzoni, che le dedica anche la copertina del numero in edicola oggi. Le riprese della fiction si sono concluse in Bulgaria da pochi giorni, come mostrano le esclusive foto di scena con le quali Sorrisi correda l'intervista.
A vincere le resistenze dell'attrice, lontana da veri e propri ruoli da una quindicina di anni, è stato principalmente il regista Giacomo Campiotti. "Ha insistito moltissimo - racconta Edwige - così come i delegati Rai. D'altra parte, io non avevo mai recitato in un film settecentesco e questo ruolo era talmente bello e importante da farmi cadere in tentazione. Caterina "la grande", infatti, è stata un'imperatrice di notevoli forza e temperamento: e anche nel romanzo di Puskin è un personaggio breve ma incisivo. Così, alla fine ho accettato. E sono certa che in televisione questa versione de La figlia del capitano sarà una vera sorpresa".
Il ritorno in scena di Edwige Fenech farà la gioia dei tantissimi suoi fans di diverse generazioni, che la seguono fin da quando, poco più che diciannovenne, esordì nel 1968 in Samoa, regina della giungla di Guido Malatesta. Da allora, l'attrice di origini franco-algerine ha inanellato decine di successi commerciali, principalmente nei generi del giallo erotico e della commedia cosiddetta "scollacciata" che ha dominato i botteghini italiani degli anni Settanta. Al primo filone appartengono titoli ormai "mitici" come 5 bambole per la luna d'agosto (1970) di Mario Bava e la trilogia composta da Lo strano vizio della signora Wardh (1971), Tutti i colori del buio (1972) e Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave (1972) di Sergio Martino, fratello del produttore Luciano, per oltre dieci anni compagno dell'attrice (che, in seguito, vivrà una lunga relazione, circa sedici anni, con Luca Cordero di Montezemolo). Proprio questi film, tra l'altro, hanno fatto entrare la Fenech tra i miti di celluloide di Quentin Tarantino, che non a caso, dopo averla conosciuta qualche anno fa, la convince ad accettare un cameo nell'horror-splatter Hostel II da lui prodotto e diretto dall'amico Eli Roth. Tornando agli anni Settanta, però, la definitiva consacrazione di Edwige Fenech come icona erotica, oltre che come attrice di punta dell'industria cinematografica italiana del periodo, avviene con le tante commedie sexy che interpreta nel corso di quell'intenso decennio: da titoli "cult" come Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda (1972) o Giovannona Coscialunga disonorata con onore (1973) fino all'infinita serie di poliziotte, commissarie, insegnanti, dottoresse, pretore (nel 1976, proprio in La pretora di Lucio Fulci mostra il suo primo nudo integrale: qui, nelle foto, tre scene del film) che spiritosamente caratterizzano quella produzione bollata come di "Serie B" ma capace, invece, di segnare un'epoca e di dare notevole linfa all'industria cinematografica nazionale. In tutti questi film, comunque, Edwige Fenech riesce a mostrare, accanto all'indubbia avvenenza e al notevole sex appeal, anche buone qualità recitative, innato senso dell'umorismo e naturale capacità di padroneggiare i tempi comici.
Dopo le commedie meno scollacciate interpretate nella prima metà degli anni Ottanta (accanto ai vari Pozzetto, Montesano, Sordi, Celentano, Banfi), l'ultimo ruolo vero di Edwige Fenech al cinema risale al 1984, accanto a Jerry Calà e Christian De Sica in Vacanze in America dei fratelli Vanzina. In seguito, recita, ricevendo notevoli consensi anche di critica, nelle due miniserie catodiche Il coraggio di Anna e Delitti privati, da lei stessa prodotte all'inizio degli anni Novanta. "In quell'occasione, scrissero - ricorda l'attrice-produttrice - che avevo dovuto produrmi da sola per dimostrare di essere una brava interprete. Così, ho detto grazie e da quel momento non ho più recitato". Adesso, però, la tentazione di interpretare Caterina II di Russia era troppo grande. E, chissà, anche se lei dice che "è troppo presto per parlarne", questo potrebbe essere soltanto il primo ruolo di una seconda carriera da attrice, dopo i fasti degli anni Settanta-Ottanta e i successi di quella da produttrice.
A vincere le resistenze dell'attrice, lontana da veri e propri ruoli da una quindicina di anni, è stato principalmente il regista Giacomo Campiotti. "Ha insistito moltissimo - racconta Edwige - così come i delegati Rai. D'altra parte, io non avevo mai recitato in un film settecentesco e questo ruolo era talmente bello e importante da farmi cadere in tentazione. Caterina "la grande", infatti, è stata un'imperatrice di notevoli forza e temperamento: e anche nel romanzo di Puskin è un personaggio breve ma incisivo. Così, alla fine ho accettato. E sono certa che in televisione questa versione de La figlia del capitano sarà una vera sorpresa".
Il ritorno in scena di Edwige Fenech farà la gioia dei tantissimi suoi fans di diverse generazioni, che la seguono fin da quando, poco più che diciannovenne, esordì nel 1968 in Samoa, regina della giungla di Guido Malatesta. Da allora, l'attrice di origini franco-algerine ha inanellato decine di successi commerciali, principalmente nei generi del giallo erotico e della commedia cosiddetta "scollacciata" che ha dominato i botteghini italiani degli anni Settanta. Al primo filone appartengono titoli ormai "mitici" come 5 bambole per la luna d'agosto (1970) di Mario Bava e la trilogia composta da Lo strano vizio della signora Wardh (1971), Tutti i colori del buio (1972) e Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave (1972) di Sergio Martino, fratello del produttore Luciano, per oltre dieci anni compagno dell'attrice (che, in seguito, vivrà una lunga relazione, circa sedici anni, con Luca Cordero di Montezemolo). Proprio questi film, tra l'altro, hanno fatto entrare la Fenech tra i miti di celluloide di Quentin Tarantino, che non a caso, dopo averla conosciuta qualche anno fa, la convince ad accettare un cameo nell'horror-splatter Hostel II da lui prodotto e diretto dall'amico Eli Roth. Tornando agli anni Settanta, però, la definitiva consacrazione di Edwige Fenech come icona erotica, oltre che come attrice di punta dell'industria cinematografica italiana del periodo, avviene con le tante commedie sexy che interpreta nel corso di quell'intenso decennio: da titoli "cult" come Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda (1972) o Giovannona Coscialunga disonorata con onore (1973) fino all'infinita serie di poliziotte, commissarie, insegnanti, dottoresse, pretore (nel 1976, proprio in La pretora di Lucio Fulci mostra il suo primo nudo integrale: qui, nelle foto, tre scene del film) che spiritosamente caratterizzano quella produzione bollata come di "Serie B" ma capace, invece, di segnare un'epoca e di dare notevole linfa all'industria cinematografica nazionale. In tutti questi film, comunque, Edwige Fenech riesce a mostrare, accanto all'indubbia avvenenza e al notevole sex appeal, anche buone qualità recitative, innato senso dell'umorismo e naturale capacità di padroneggiare i tempi comici.
Dopo le commedie meno scollacciate interpretate nella prima metà degli anni Ottanta (accanto ai vari Pozzetto, Montesano, Sordi, Celentano, Banfi), l'ultimo ruolo vero di Edwige Fenech al cinema risale al 1984, accanto a Jerry Calà e Christian De Sica in Vacanze in America dei fratelli Vanzina. In seguito, recita, ricevendo notevoli consensi anche di critica, nelle due miniserie catodiche Il coraggio di Anna e Delitti privati, da lei stessa prodotte all'inizio degli anni Novanta. "In quell'occasione, scrissero - ricorda l'attrice-produttrice - che avevo dovuto produrmi da sola per dimostrare di essere una brava interprete. Così, ho detto grazie e da quel momento non ho più recitato". Adesso, però, la tentazione di interpretare Caterina II di Russia era troppo grande. E, chissà, anche se lei dice che "è troppo presto per parlarne", questo potrebbe essere soltanto il primo ruolo di una seconda carriera da attrice, dopo i fasti degli anni Settanta-Ottanta e i successi di quella da produttrice.
lunedì 27 settembre 2010
EDWIGE FENECH RITORNA A RECITARE!
Edwige Fenech ritorna a recitare. Interpreterà la zarina Caterina II di Russia nella fiction La figlia del capitano, che andrà in onda l'anno prossimo su Raiuno. Sul quotidiano Il Mattino di domani ci sarà un mio articolo su questo atteso ritorno. Per ora, voglio ricordare cosa è stata Edwige negli anni Settanta con questo suggestivo video di montaggio che propone alcune sequenze dal "cult movie" di Sergio Martino Tutti i colori del buio (1972). Le musiche, bellissime, sono di Bruno Nicolai. Buona visione! (d.d.p.)
sabato 25 settembre 2010
COMICS: UN RITRATTO DEL GRANDE HARVEY PEKAR
Di Raffaele De Fazio
(Welcome to Geeksville)
(Welcome to Geeksville)
Il 12 luglio si è spento nel sonno nella natìa Cleveland, all'età di 70 anni, il creatore di American Splendor, Harvey Pekar (qui nella foto).
A metà anni Sessanta, guidati dal comune interesse per il jazz degli albori e la ricerca sfrenata di 78 giri degli anni Venti e Trenta, s'incontrano proprio a Cleveland Robert Crumb e Pekar. Il primo è sul punto di esplodere come genio del fumetto underground (Zap Comix verrà pubblicato due anni dopo), ma in quel momento sopravvive grazie a un lavoro come illustratore di cartoline di auguri; mentre il secondo si arrabatta tra alti e bassi col suo lavoro di archivista all'Ospedale dei Veterani di Guerra. Durante le serate a base di jazz e di trattative spietate per il possesso di dischi d'epoca, Crumb mostra a Pekar i suoi disegni e le sue storie, all'epoca inedite, sul mondo che li circonda e su quell'America in piena epoca della contestazione: queste folgorano Pekar, che intravede nel lavoro di Crumb il tassello mancante all'altra sua enorme passione, ovvero le decine e decine di storie autobiografiche che scrive su tutto ciò che gli accade nella vita quotidiana. Dopo aver mostrato a Crumb i suoi scritti, talvolta corredati da disegni stilizzati che ne rappresentano i momenti salienti, questi decide di illustrarne alcuni, ricavandone successivamente una maggior propensione a inserire elementi autobiografici nelle sue future storie.
Da questa collaborazione nasce American Splendor, l'autobiografia di un americano della "low middle class" americana. Se le storie autobiografiche di Crumb saranno principalmente incentrate sulle sue manie, idiosincrasie e con uno sguardo talvolta feroce sulla società americana, quelle di Pekar saranno sempre incentrate sulla vita di ogni giorno, sulle avventure di un semplice archivista nell'America di oggi. La testata non ha mai avuto una vita facile, passando dall'autoproduzione fino ad approdare al "mainstream" con Dark Horse prima e DC/Vertigo poi, ma questo solo in epoca recente: dopo tutto, a quante persone credete possa interessare la vita di un impiegato dell'Ohio? Insomma, se il fumetto underground è considerato un genere di nicchia, immaginate che in quella nicchia ce ne sia una ancora più piccola con dentro American Splendor. Questo, però, non gli ha impedito col tempo di trasformarsi in un caso editoriale. In fondo Harvey aveva praticamente inventato il genere autobiografico nei fumetti, trasformandosi in quello che gli americani definiscono "Average Joe", il Pinco Pallino qualunque che però ci rappresenta tutti, nella sua fiera battaglia contro le insidie del quotidiano.
Il segreto di Harvey Pekar era la sua onestà, prima con se stesso e poi con i suoi lettori; la sua vita non era filtrata dalla barriera del pubblicabile; American Splendor era realmente la vita di Harvey così com'era, compresa di critiche, bestemmie, odii viscerali e amore verso la sua famiglia, che accettava di apparire nelle storie con la consapevolezza che sarebbero stati ritratti come erano nella vita vera nei loro rapporti con Harvey, compresi liti, urla, incomprensioni e slanci di umanità. Per Harvey sono stati scomodati paragoni eccellenti, come quelli con Cechov o Bukowski, ma la realtà è che Harvey ha soltanto sfiorato la fama, senza mai beneficiarne pienamente: non s'è arricchito mai, nemmeno quando il suo essere Pinco Pallino l'ha portato a diventare ospite semi-fisso del David Letterman Show, per poi essere defenestrato per le troppe critiche alla General Electrics, proprietaria della NBC. Ma Harvey Pekar era così, senza filtri.
Nel frattempo, in American Splendor abbiamo continuato ad assistere alla sua vita. Come non citare, per esempio, Our Cancer Year (vincitore di un Harvey Award), nel quale ha raccontato della scoperta di avere un cancro e della lotta contro la malattia e un sistema sanitario ottuso, fino alla guarigione che lo ha lasciato comunque con una voce flebile e roca, dimostrando che grandi battaglie accadono anche nella vita quotidiana di ognuno di noi. American Splendor è finito per diventare, col tempo, sia una palestra per i nuovi autori dell'Underground americano che il passatempo anche di quelli definibili come "giganti del genere"; e mi riferisco, oltre a Crumb, a gente come Joe Sacco, Spain Rodriguez, Chester Brown e tanti altri, tutti impegnati a disegnare la vita comune di un archivista di Cleveland. Nel 2002, anche Hollywood si accorge di Harvey Pekar, ovviamente non una major ma due documentaristi, Shari Berman e Robert Pulcini, che decidono di portare sullo schermo American Splendor affidando la parte di Harvey a uno splendido Paul Giamatti. Il film ottiene una nomination agli Oscar per la migliore sceneggiatura e vi consiglio di recuperarlo perché ne vale davvero la pena. Oppure, potete recuperare Our Movie Year, la splendida raccolta di American Splendor che racconta proprio di quella esperienza, con tanto di invito alla notte degli Oscar e di vip che salutano un Harvey convinto di essere stato scambiato per qualcuno più famoso: dopotutto lui è solo un archivista di Cleveland.
Dopo il film, Pekar approda alla Vertigo con le due miniserie Another Day e Another Dollar, nelle quali a illustrare la sua vita arriva gente come Richard Corben, Eddie Campbell, i fratelli Hernandez e tanti altri, perché adesso tutti vogliono partecipare ad American Splendor, tutti vogliono illustrare un pezzo della sua vita, anche se si tratta solo di una storia su Harvey che va a comprare il giornale o che va al mercatino a cercare vecchi dischi di jazz. Perché Harvey era unico ma era anche tutti noi, un perdente forse, ma mai un vinto, un Pinco Pallino che tira a campare cercando di non farsi schiacciare dalle avversità della vita reale, una vita nella quale non c'è la kriptonite o il "super villain" ma soltanto le bollette a fine mese e la rata del mutuo.
Con Harvey Pekar se ne va un pioniere del Fumetto. Senza di lui, infatti, forse non sarebbero mai esistite opere come Palestina e gli altri esempi di "graphic journalism" autobiografico di Joe Sacco, o alcuni lavori di Adrian Tomine, Seth, Chester Brown e tanti altri che, proprio dall'esempio di Harvey hanno capito come il fumetto non debba essere semplice intrattenimento, ma possa proporsi come medium in grado di raccontare qualsiasi cosa facendoci emozionare anche soltanto con la battaglia quotidiana di un archivista di Cleveland. Tra le tante dimostrazioni di cordoglio, mi piace segnalare quella di Neil Gaiman, che condivido in pieno: "Quando ero ragazzo, dopo essere cresciuto leggendo centinaia di storie di supereroi, mentre ero alla ricerca di letture diverse e forse più adulte fu automatico approcciare le storie di Robert Crumb. Ne divenni un grande fan, poi all'inizio degli anni Novanta recuperai le sue storie di American Splendor. Con American Splendor funzionava così: ci entravi alla ricerca di Crumb ma restavi lì, coinvolto dalle vicissitudini di Harvey Pekar, perché ti sembrava naturale leggere le storie di questo tipo, sicuramente una persona dal carattere non facile, che tutto sommato ti sembrava familiare finché non realizzavi che era così perché Harvey Pekar era il barbiere dietro l'angolo, oppure il macellaio in fondo alla strada o quel lontano cugino di tuo padre. Ha fatto capire a tutti noi che con il Fumetto potevamo fare qualunque cosa".
A metà anni Sessanta, guidati dal comune interesse per il jazz degli albori e la ricerca sfrenata di 78 giri degli anni Venti e Trenta, s'incontrano proprio a Cleveland Robert Crumb e Pekar. Il primo è sul punto di esplodere come genio del fumetto underground (Zap Comix verrà pubblicato due anni dopo), ma in quel momento sopravvive grazie a un lavoro come illustratore di cartoline di auguri; mentre il secondo si arrabatta tra alti e bassi col suo lavoro di archivista all'Ospedale dei Veterani di Guerra. Durante le serate a base di jazz e di trattative spietate per il possesso di dischi d'epoca, Crumb mostra a Pekar i suoi disegni e le sue storie, all'epoca inedite, sul mondo che li circonda e su quell'America in piena epoca della contestazione: queste folgorano Pekar, che intravede nel lavoro di Crumb il tassello mancante all'altra sua enorme passione, ovvero le decine e decine di storie autobiografiche che scrive su tutto ciò che gli accade nella vita quotidiana. Dopo aver mostrato a Crumb i suoi scritti, talvolta corredati da disegni stilizzati che ne rappresentano i momenti salienti, questi decide di illustrarne alcuni, ricavandone successivamente una maggior propensione a inserire elementi autobiografici nelle sue future storie.
Da questa collaborazione nasce American Splendor, l'autobiografia di un americano della "low middle class" americana. Se le storie autobiografiche di Crumb saranno principalmente incentrate sulle sue manie, idiosincrasie e con uno sguardo talvolta feroce sulla società americana, quelle di Pekar saranno sempre incentrate sulla vita di ogni giorno, sulle avventure di un semplice archivista nell'America di oggi. La testata non ha mai avuto una vita facile, passando dall'autoproduzione fino ad approdare al "mainstream" con Dark Horse prima e DC/Vertigo poi, ma questo solo in epoca recente: dopo tutto, a quante persone credete possa interessare la vita di un impiegato dell'Ohio? Insomma, se il fumetto underground è considerato un genere di nicchia, immaginate che in quella nicchia ce ne sia una ancora più piccola con dentro American Splendor. Questo, però, non gli ha impedito col tempo di trasformarsi in un caso editoriale. In fondo Harvey aveva praticamente inventato il genere autobiografico nei fumetti, trasformandosi in quello che gli americani definiscono "Average Joe", il Pinco Pallino qualunque che però ci rappresenta tutti, nella sua fiera battaglia contro le insidie del quotidiano.
Il segreto di Harvey Pekar era la sua onestà, prima con se stesso e poi con i suoi lettori; la sua vita non era filtrata dalla barriera del pubblicabile; American Splendor era realmente la vita di Harvey così com'era, compresa di critiche, bestemmie, odii viscerali e amore verso la sua famiglia, che accettava di apparire nelle storie con la consapevolezza che sarebbero stati ritratti come erano nella vita vera nei loro rapporti con Harvey, compresi liti, urla, incomprensioni e slanci di umanità. Per Harvey sono stati scomodati paragoni eccellenti, come quelli con Cechov o Bukowski, ma la realtà è che Harvey ha soltanto sfiorato la fama, senza mai beneficiarne pienamente: non s'è arricchito mai, nemmeno quando il suo essere Pinco Pallino l'ha portato a diventare ospite semi-fisso del David Letterman Show, per poi essere defenestrato per le troppe critiche alla General Electrics, proprietaria della NBC. Ma Harvey Pekar era così, senza filtri.
Nel frattempo, in American Splendor abbiamo continuato ad assistere alla sua vita. Come non citare, per esempio, Our Cancer Year (vincitore di un Harvey Award), nel quale ha raccontato della scoperta di avere un cancro e della lotta contro la malattia e un sistema sanitario ottuso, fino alla guarigione che lo ha lasciato comunque con una voce flebile e roca, dimostrando che grandi battaglie accadono anche nella vita quotidiana di ognuno di noi. American Splendor è finito per diventare, col tempo, sia una palestra per i nuovi autori dell'Underground americano che il passatempo anche di quelli definibili come "giganti del genere"; e mi riferisco, oltre a Crumb, a gente come Joe Sacco, Spain Rodriguez, Chester Brown e tanti altri, tutti impegnati a disegnare la vita comune di un archivista di Cleveland. Nel 2002, anche Hollywood si accorge di Harvey Pekar, ovviamente non una major ma due documentaristi, Shari Berman e Robert Pulcini, che decidono di portare sullo schermo American Splendor affidando la parte di Harvey a uno splendido Paul Giamatti. Il film ottiene una nomination agli Oscar per la migliore sceneggiatura e vi consiglio di recuperarlo perché ne vale davvero la pena. Oppure, potete recuperare Our Movie Year, la splendida raccolta di American Splendor che racconta proprio di quella esperienza, con tanto di invito alla notte degli Oscar e di vip che salutano un Harvey convinto di essere stato scambiato per qualcuno più famoso: dopotutto lui è solo un archivista di Cleveland.
Dopo il film, Pekar approda alla Vertigo con le due miniserie Another Day e Another Dollar, nelle quali a illustrare la sua vita arriva gente come Richard Corben, Eddie Campbell, i fratelli Hernandez e tanti altri, perché adesso tutti vogliono partecipare ad American Splendor, tutti vogliono illustrare un pezzo della sua vita, anche se si tratta solo di una storia su Harvey che va a comprare il giornale o che va al mercatino a cercare vecchi dischi di jazz. Perché Harvey era unico ma era anche tutti noi, un perdente forse, ma mai un vinto, un Pinco Pallino che tira a campare cercando di non farsi schiacciare dalle avversità della vita reale, una vita nella quale non c'è la kriptonite o il "super villain" ma soltanto le bollette a fine mese e la rata del mutuo.
Con Harvey Pekar se ne va un pioniere del Fumetto. Senza di lui, infatti, forse non sarebbero mai esistite opere come Palestina e gli altri esempi di "graphic journalism" autobiografico di Joe Sacco, o alcuni lavori di Adrian Tomine, Seth, Chester Brown e tanti altri che, proprio dall'esempio di Harvey hanno capito come il fumetto non debba essere semplice intrattenimento, ma possa proporsi come medium in grado di raccontare qualsiasi cosa facendoci emozionare anche soltanto con la battaglia quotidiana di un archivista di Cleveland. Tra le tante dimostrazioni di cordoglio, mi piace segnalare quella di Neil Gaiman, che condivido in pieno: "Quando ero ragazzo, dopo essere cresciuto leggendo centinaia di storie di supereroi, mentre ero alla ricerca di letture diverse e forse più adulte fu automatico approcciare le storie di Robert Crumb. Ne divenni un grande fan, poi all'inizio degli anni Novanta recuperai le sue storie di American Splendor. Con American Splendor funzionava così: ci entravi alla ricerca di Crumb ma restavi lì, coinvolto dalle vicissitudini di Harvey Pekar, perché ti sembrava naturale leggere le storie di questo tipo, sicuramente una persona dal carattere non facile, che tutto sommato ti sembrava familiare finché non realizzavi che era così perché Harvey Pekar era il barbiere dietro l'angolo, oppure il macellaio in fondo alla strada o quel lontano cugino di tuo padre. Ha fatto capire a tutti noi che con il Fumetto potevamo fare qualunque cosa".
martedì 21 settembre 2010
INTERVISTA AD ANDREA RENZI, TRA CINEMA E TEATRO
Di Diego Del Pozzo
Non potrà essere presente stasera ad Acciaroli per la proiezione speciale di Noi credevamo, perché nelle stesse ore Andrea Renzi sarà in Canada, impegnato nella tournée del fortunato allestimento diretto da Toni Servillo della Trilogia della villeggiatura di Goldoni. La vicinanza a Mario Martone e al suo film, però, è assoluta, in particolar modo dopo l'omicidio del sindaco di Pollica Angelo Vassallo, al quale è dedicata la serata odierna. "Sono molto dispiaciuto - spiega Andrea Renzi - perché avrei tanto voluto esserci alla proiezione di Acciaroli, ancor di più per il significato che assume dopo l'omicidio del sindaco Vassallo, che tanto aveva fatto per il film".
Ma cosa porterà con sé di un'esperienza così particolare come quella del film di Martone, nel quale lei interpreta il duca patriota Sigismondo di Castromediano?
"Si tratta di un progetto unico nel panorama cinematografico italiano: un film di tre ore e mezza sulla riscoperta del Risorgimento e di alcuni suoi episodi e personaggi meno conosciuti è qualcosa che resta a lungo dentro di te. Soprattutto, poi, se a realizzarlo è un autore sensibile e attento come Mario, che ha messo tutto se stesso in quest'opera. Una cosa estremamente positiva di Noi credevamo, capitata a noi attori prima che agli spettatori, è come ti fa venir voglia di conoscere meglio le nostre origini".
Come giudica la polemica esplosa tra Martone e il giurato Salvatores subito dopo la chiusura della Mostra di Venezia?
"Ho lavorato sia con Mario che con Gabriele e li stimo entrambi. A Venezia, però, credo che la giuria sia stata un po' schiacciata dalla personalità di un presidente come Quentin Tarantino, arrivato persino a cambiare le regole sull'attribuzione dei premi. Comunque, credo che sia da apprezzare il modo schietto e diretto col quale Martone si è esposto in prima persona, per difendere quasi sette anni di vita e di lavoro".
Lei continua a dividersi con grande profitto tra cinema e teatro. Cosa la aspetta nell'immediato futuro?
"Dopo il ritorno dal Canada, dove andremo in scena da domani a domenica al Théâtre Maisonneuve di Montreal, sarò ancora in tournée, stavolta in Italia, con Toni Servillo e il resto della compagnia per la Trilogia della villeggiatura: tra le altre date, saremo pure al Piccolo di Milano dal 16 novembre al 12 dicembre. Sempre a teatro, poi, sarò impegnato all'inizio del prossimo anno in due mie regie: dal 3 al 13 febbraio al Mercadante di Napoli, Diario di un pazzo con Roberto De Francesco; dall'8 al 13 febbraio al teatro Gobetti di Torino, Tradimenti di Harold Pinter, con Nicoletta Braschi, Tony Laudadio, Enrico Ianniello".
E al cinema?
"A parte gli impegni legati alla promozione di Noi credevamo, ai quali comunque mi dedicherò nelle prossime settimane, ho appena terminato le riprese di Mozzarella Stories una commedia agrodolce surreale e visionaria diretta dall'esordiente Edoardo De Angelis".
Tornando al teatro, invece, qualche sera fa lei è stato protagonista di un originale esperimento drammaturgico. Di che si tratta?
"Domenica sera, al Castello Ducale di Sessa Aurunca, nell'ambito di una bella rassegna intitolata I luoghi della memoria, ho messo in scena lo spettacolo Fuochi a mare per Vladimir Majakovskij, da me ideato, diretto e interpretato. Si tratta di una produzione di Teatri Uniti, con la quale ho proposto al pubblico una sorta di flusso di coscienza a partire dai versi del grande poeta russo, in particolare da quelli del poemetto La nuvola in calzoni, per approdare a un autentico corpo a corpo con i temi universali dell'amore, della religione, della rivoluzione".
La rassegna I luoghi della memoria, promossa da Teatro Aurunkatelier - Gruppo Ricerca '75, andrà avanti fino a sabato 2 ottobre. I prossimi appuntamenti in cartellone sono quelli di venerdì e domenica, rispettivamente con Francesco Sframeli e Spiro Scimone in Bar diretto da Valerio Rinasco e con la Compagnia Sutta Scupa di Palermo che presenterà Rintra 'u Cuòri, originale trasposizione scenica della tragedia di Sacco e Vanzetti.
Ma cosa porterà con sé di un'esperienza così particolare come quella del film di Martone, nel quale lei interpreta il duca patriota Sigismondo di Castromediano?
"Si tratta di un progetto unico nel panorama cinematografico italiano: un film di tre ore e mezza sulla riscoperta del Risorgimento e di alcuni suoi episodi e personaggi meno conosciuti è qualcosa che resta a lungo dentro di te. Soprattutto, poi, se a realizzarlo è un autore sensibile e attento come Mario, che ha messo tutto se stesso in quest'opera. Una cosa estremamente positiva di Noi credevamo, capitata a noi attori prima che agli spettatori, è come ti fa venir voglia di conoscere meglio le nostre origini".
Come giudica la polemica esplosa tra Martone e il giurato Salvatores subito dopo la chiusura della Mostra di Venezia?
"Ho lavorato sia con Mario che con Gabriele e li stimo entrambi. A Venezia, però, credo che la giuria sia stata un po' schiacciata dalla personalità di un presidente come Quentin Tarantino, arrivato persino a cambiare le regole sull'attribuzione dei premi. Comunque, credo che sia da apprezzare il modo schietto e diretto col quale Martone si è esposto in prima persona, per difendere quasi sette anni di vita e di lavoro".
Lei continua a dividersi con grande profitto tra cinema e teatro. Cosa la aspetta nell'immediato futuro?
"Dopo il ritorno dal Canada, dove andremo in scena da domani a domenica al Théâtre Maisonneuve di Montreal, sarò ancora in tournée, stavolta in Italia, con Toni Servillo e il resto della compagnia per la Trilogia della villeggiatura: tra le altre date, saremo pure al Piccolo di Milano dal 16 novembre al 12 dicembre. Sempre a teatro, poi, sarò impegnato all'inizio del prossimo anno in due mie regie: dal 3 al 13 febbraio al Mercadante di Napoli, Diario di un pazzo con Roberto De Francesco; dall'8 al 13 febbraio al teatro Gobetti di Torino, Tradimenti di Harold Pinter, con Nicoletta Braschi, Tony Laudadio, Enrico Ianniello".
E al cinema?
"A parte gli impegni legati alla promozione di Noi credevamo, ai quali comunque mi dedicherò nelle prossime settimane, ho appena terminato le riprese di Mozzarella Stories una commedia agrodolce surreale e visionaria diretta dall'esordiente Edoardo De Angelis".
Tornando al teatro, invece, qualche sera fa lei è stato protagonista di un originale esperimento drammaturgico. Di che si tratta?
"Domenica sera, al Castello Ducale di Sessa Aurunca, nell'ambito di una bella rassegna intitolata I luoghi della memoria, ho messo in scena lo spettacolo Fuochi a mare per Vladimir Majakovskij, da me ideato, diretto e interpretato. Si tratta di una produzione di Teatri Uniti, con la quale ho proposto al pubblico una sorta di flusso di coscienza a partire dai versi del grande poeta russo, in particolare da quelli del poemetto La nuvola in calzoni, per approdare a un autentico corpo a corpo con i temi universali dell'amore, della religione, della rivoluzione".
La rassegna I luoghi della memoria, promossa da Teatro Aurunkatelier - Gruppo Ricerca '75, andrà avanti fino a sabato 2 ottobre. I prossimi appuntamenti in cartellone sono quelli di venerdì e domenica, rispettivamente con Francesco Sframeli e Spiro Scimone in Bar diretto da Valerio Rinasco e con la Compagnia Sutta Scupa di Palermo che presenterà Rintra 'u Cuòri, originale trasposizione scenica della tragedia di Sacco e Vanzetti.
domenica 19 settembre 2010
venerdì 17 settembre 2010
CINEMA & ROCK DOMANI SERA A BARI...
Domani sera, alle ore 21.30, Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito saranno all'Arena Airiciclotteri di Bari per presentare il loro libro Rock Around the Screen. Storie di cinema e musica pop (Liguori, 2010). L'incontro è in programma prima della proiezione della seconda parte di Woodstock, nel corso della serata conclusiva della programmazione estiva dell'arena barese di strada Massimi - Losacco 4. Il biglietto d'ingresso costa 5 euro (con ridotti a 4, 2 e 1 euro). Per chi fosse già a Bari, stasera l'Arena Airiciclotteri propone la prima parte del classico rockumentary di Michael Wadleigh.
mercoledì 15 settembre 2010
martedì 14 settembre 2010
A NAPOLI, DA GIOVEDI', "CINEMA AL CASTELLO"
Di Diego Del Pozzo
Mentre tutto intorno si scava tra le macerie alla ricerca dei cadaveri - leggasi: le tante occasioni di cultura e spettacolo azzerate sul territorio in seguito al dissesto finanziario della Regione Campania - nasce a Napoli una nuova, piccola rassegna cinematografica: s'intitola Cinema al Castello 2010: Schermo Napoli e propone una serie di incontri con gli autori, recuperi di pellicole poco viste e meritevoli di una seconda chance, proiezioni di cortometraggi e documentari già premiati nelle edizioni più recenti del Napoli Film Festival. Sì, perché questa nuova manifestazione - curata dall'associazione Napolicinema e organizzata dalla Soprintendenza speciale per il Patrimonio storico, artistico, etnoantropologico e per il Polo museale della città di Napoli, con i fondi del Por Campania 2007-2013 - è legata a filo doppio proprio cinefestival partenopeo di giugno.
Comunque sia, Cinema al Castello: Schermo Napoli s'inaugurerà giovedì pomeriggio nell'auditorium di Castel Sant'Elmo (nel quartiere collinare del Vomero), dove andrà avanti fino a martedì 21 con appuntamenti quotidiani tutti a ingresso libero: ogni giorno, infatti, s'inizia alle 18 con i corti doc e i lungometraggi inediti di giovani autori campani (l'appuntamento inaugurale di giovedì sarà con i trent'anni dal terremoto del 1980, ricordati dal documentario Terre in moto di Michele Citoni), mentre gli incontri serali con i cineasti più noti sono previsti alle 21.30.
Giovedì sera, dunque, il regista Antonio Capuano (nella foto in alto) incontrerà il pubblico in occasione della proiezione del suo misconosciuto film del 2008 Giallo?, rimasto ancora senza distribuzione ufficiale. Venerdì, poi, toccherà a Eduardo Tartaglia presentare il suo recente La valigia sul letto, mentre sabato Vincenzo Terracciano introdurrà Tris di donne e abiti nuziali. Gli ultimi due incontri, quindi, sono in programma domenica e lunedì, rispettivamente con Pappi Corsicato (che presenterà Il seme della discordia e il suo corto Questione di gusti prodotto da Pasta Garofalo) e Stefano Incerti (qui nella foto), che parlerà di Complici del silenzio e mostrerà in anteprima anche alcune sequenze del nuovo Gorbaciòf – Il cassiere col vizio del gioco, reduce dalla proiezione in anteprima alla Mostra di Venezia.
Prima degli incontri serali, come detto, ci sarà spazio per i cortometraggi e i documentari premiati dal 2006 al 2010 al Napoli Film Festival (alle ore 18) e, a seguire (alle ore 19.30), per la competizione tra lungometraggi realizzati da giovani autori campani o con al centro la Campania, inediti o che abbiano avuto poco spazio nelle sale. Le opere saranno giudicate da una giuria di studenti universitari di cinema e scienze della comunicazione. La chiusura di martedì, infine, sarà dedicata alla Film Commission Regione Campania e ai film girati sul territorio regionale in questi mesi: per illustrarli si vedranno video-interviste, trailer, backstage e speciali clip in anteprima.
Comunque sia, Cinema al Castello: Schermo Napoli s'inaugurerà giovedì pomeriggio nell'auditorium di Castel Sant'Elmo (nel quartiere collinare del Vomero), dove andrà avanti fino a martedì 21 con appuntamenti quotidiani tutti a ingresso libero: ogni giorno, infatti, s'inizia alle 18 con i corti doc e i lungometraggi inediti di giovani autori campani (l'appuntamento inaugurale di giovedì sarà con i trent'anni dal terremoto del 1980, ricordati dal documentario Terre in moto di Michele Citoni), mentre gli incontri serali con i cineasti più noti sono previsti alle 21.30.
Giovedì sera, dunque, il regista Antonio Capuano (nella foto in alto) incontrerà il pubblico in occasione della proiezione del suo misconosciuto film del 2008 Giallo?, rimasto ancora senza distribuzione ufficiale. Venerdì, poi, toccherà a Eduardo Tartaglia presentare il suo recente La valigia sul letto, mentre sabato Vincenzo Terracciano introdurrà Tris di donne e abiti nuziali. Gli ultimi due incontri, quindi, sono in programma domenica e lunedì, rispettivamente con Pappi Corsicato (che presenterà Il seme della discordia e il suo corto Questione di gusti prodotto da Pasta Garofalo) e Stefano Incerti (qui nella foto), che parlerà di Complici del silenzio e mostrerà in anteprima anche alcune sequenze del nuovo Gorbaciòf – Il cassiere col vizio del gioco, reduce dalla proiezione in anteprima alla Mostra di Venezia.
Prima degli incontri serali, come detto, ci sarà spazio per i cortometraggi e i documentari premiati dal 2006 al 2010 al Napoli Film Festival (alle ore 18) e, a seguire (alle ore 19.30), per la competizione tra lungometraggi realizzati da giovani autori campani o con al centro la Campania, inediti o che abbiano avuto poco spazio nelle sale. Le opere saranno giudicate da una giuria di studenti universitari di cinema e scienze della comunicazione. La chiusura di martedì, infine, sarà dedicata alla Film Commission Regione Campania e ai film girati sul territorio regionale in questi mesi: per illustrarli si vedranno video-interviste, trailer, backstage e speciali clip in anteprima.
lunedì 13 settembre 2010
sabato 11 settembre 2010
giovedì 9 settembre 2010
SPIDERMAN ALLA CONQUISTA DI BROADWAY!
Di Diego Del Pozzo
(Rock Around the Screen - 8 settembre 2010)
(Rock Around the Screen - 8 settembre 2010)
L'occasione per parlare del bizzarro legame tra comics e musical mi viene offerta dall'approssimarsi, dopo i tanti ritardi accumulati a causa delle difficoltà economiche incontrate dalla produzione, dell'evento destinato a cambiare per sempre la storia di queste due forme d'arte. Da qualche settimana, infatti, ha preso una sua forma definitiva quello che, con i suoi cinquanta milioni di dollari di budget, sarà il musical più ambizioso e costoso della storia di Broadway: Spider-man: Turn Off the Dark. Dopo le conferme definitive riguardanti il cast artistico, infatti, sono iniziate il 16 agosto le prove ufficiali con la compagnia al completo dell'attesissimo spettacolo musicale che sarà diretto da Julie Taymor e si avvarrà delle musiche di Bono e The Edge degli U2. Ispirato alle avventure del celebre supereroe Marvel creato da Stan Lee all'inizio degli anni Sessanta, il musical arricchisce ulteriormente il curriculum multimediale del personaggio, finora già protagonista di migliaia di storie a fumetti, ma anche di cartoni animati, serie televisive, film e videogiochi di successo. L'anteprima del kolossal teatrale andrà in scena il 14 novembre al Foxwoods Theatre di Broadway, dove il 21 dicembre è poi previsto il debutto ufficiale, giusto in tempo per le festività natalizie. Ma gli appassionati, anche italiani, si affrettino, perché i biglietti sono in vendita già da questo mese, attraverso il circuito telematico del colosso Ticketmaster. E intanto domani, sul palco dell'Hudson Theatre di New York, sarà presentata, in diretta all'interno del popolare show Good Morning America in onda sul network ABC, una prima canzone inclusa nel musical.
Per il ruolo di Peter Parker/Spider-man è stato scelto l'attore e cantante Reeve Carney (leader della rockband che porta il suo cognome), tra i protagonisti anche di The Tempest, il nuovo film shakespeariano col quale la Taymor chiuderà la Mostra del cinema di Venezia. Accanto a lui, reciteranno, negli altri ruoli principali, Jennifer Damiano (già vista nella serie tv Gossip Girl) nei panni dell'affascinante Mary Jane Watson e il veterano di Broadway Patrick Page nel ruolo dell'arcinemico Norman Osborn/Goblin. Ma a lasciare a bocca aperta è il cast tecnico di Spider-man: Turn Off the Dark, composto da autentiche superstar dello spettacolo planetario: detto del fondamentale coinvolgimento di Bono e The Edge degli U2 come autori dell'intera colonna sonora, infatti, spiccano i contributi di Daniel Ezralow alle coreografie, Eiko Ishioka (Premio Oscar per il Bram Stoker's Dracula cinematografico di Francis Ford Coppola) ai costumi, George Tsypin alle scenografie, Donald Holder alle luci, Jonathan Deans al suono e Teese Gohl alla supervisione musicale (già con Julie Taymor e Bono nel beatlesiano Across the Universe).
"Non vedo l'ora che il mondo assista a questo spettacolo - ha scritto qualche settimana fa il protagonista Reeve Carney sul suo account Twitter - perché finalmente ce l'abbiamo fatta". E proprio Carney è stato sottoposto, già a partire dal 19 luglio, a speciali lezioni di acrobazie volanti, necessarie per consentirgli di entrare in maniera più convincente nei panni dell'Arrampicamuri più famoso del fumetto mondiale. "Abbiamo provato ad andare in una direzione nuova - hanno sottolineato i produttori Michael Cohl e Jeremiah J. Harris - per rendere più freschi gli oltre quarant'anni di avventure del personaggio. Comunque, al centro di tutto ci sarà, come sempre, la vita quotidiana di un normale teenager del Queens, sconvolta dal morso di un ragno geneticamente modificato. Anche a teatro, in ogni caso, Peter capirà ben presto che "da un grande potere derivano grandi responsabilità", secondo quello che è lo storico motto coniato da Stan Lee per il personaggio".
Le date fissate dalla produzione per l'inizio delle prove ufficiali di agosto sembravano fatte apposta per favorire anche un blitz newyorkese di Bono e The Edge, poiché tra i concerti danesi e quelli finlandesi del tour europeo degli U2, cioè tra il 17 e il 21 agosto, c'era qualche giorno di pausa. Il cantante e il chitarrista della band di Dublino, però, hanno preferito non sottoporsi a un vero e proprio "tour de force" intercontinentale, anche perché, nei mesi scorsi, avevano già avuto modo di provare molte volte i misteriosissimi brani scritti appositamente per il musical. In ogni caso, dopo la data romana dell'8 ottobre (che concluderà la tournée autunnale degli U2, prima della ripresa prevista a maggio negli Stati Uniti), Bono e The Edge potranno dedicarsi con maggiore calma e tranquillità alle rifiniture nonché alla registrazione dell'album inedito che, poi, accompagnerà la messa in scena teatrale del musical. Il disco, tra l'altro, costituirà un nuovo capitolo del rapporto tra gli U2 e il mondo dei supereroi, dopo la hit di qualche anno fa Hold Me, Thrill Me, Kiss Me, Kill Me, inclusa da Joel Schumacher nella soundtrack del suo film, peraltro deludente, Batman Forever.
In attesa di ascoltare i nuovi brani, comunque, il jingle introduttivo presente sul sito ufficiale di Spider-man: Turn Off the Dark e la sontuosità dell'allestimento teatrale fanno presagire una partitura decisamente elettrica e "nervosa", che oscillerà tra il sound tipico degli U2 e sonorità più "prog" e persino rock sinfoniche. Del progetto s'è detto entusiasta, qualche settimana fa, anche lo storico manager della band irlandese, Paul McGuinness: "Ormai, siamo sui binari giusti - ha spiegato - ed è tutto molto elettrizzante. La regista Julie Taymor, d'altronde, ha già mostrato ciò di cui è capace con quell'altro straordinario musical che è stato Il re leone e, secondo me, è un autentico genio".
Insomma, agli appassionati di supereroi e musical non resta che prenotare un bel biglietto aereo per trascorrere le vacanze natalizie a New York in compagnia del nostro amabile Arrampicamuri di quartiere.
Per il ruolo di Peter Parker/Spider-man è stato scelto l'attore e cantante Reeve Carney (leader della rockband che porta il suo cognome), tra i protagonisti anche di The Tempest, il nuovo film shakespeariano col quale la Taymor chiuderà la Mostra del cinema di Venezia. Accanto a lui, reciteranno, negli altri ruoli principali, Jennifer Damiano (già vista nella serie tv Gossip Girl) nei panni dell'affascinante Mary Jane Watson e il veterano di Broadway Patrick Page nel ruolo dell'arcinemico Norman Osborn/Goblin. Ma a lasciare a bocca aperta è il cast tecnico di Spider-man: Turn Off the Dark, composto da autentiche superstar dello spettacolo planetario: detto del fondamentale coinvolgimento di Bono e The Edge degli U2 come autori dell'intera colonna sonora, infatti, spiccano i contributi di Daniel Ezralow alle coreografie, Eiko Ishioka (Premio Oscar per il Bram Stoker's Dracula cinematografico di Francis Ford Coppola) ai costumi, George Tsypin alle scenografie, Donald Holder alle luci, Jonathan Deans al suono e Teese Gohl alla supervisione musicale (già con Julie Taymor e Bono nel beatlesiano Across the Universe).
"Non vedo l'ora che il mondo assista a questo spettacolo - ha scritto qualche settimana fa il protagonista Reeve Carney sul suo account Twitter - perché finalmente ce l'abbiamo fatta". E proprio Carney è stato sottoposto, già a partire dal 19 luglio, a speciali lezioni di acrobazie volanti, necessarie per consentirgli di entrare in maniera più convincente nei panni dell'Arrampicamuri più famoso del fumetto mondiale. "Abbiamo provato ad andare in una direzione nuova - hanno sottolineato i produttori Michael Cohl e Jeremiah J. Harris - per rendere più freschi gli oltre quarant'anni di avventure del personaggio. Comunque, al centro di tutto ci sarà, come sempre, la vita quotidiana di un normale teenager del Queens, sconvolta dal morso di un ragno geneticamente modificato. Anche a teatro, in ogni caso, Peter capirà ben presto che "da un grande potere derivano grandi responsabilità", secondo quello che è lo storico motto coniato da Stan Lee per il personaggio".
Le date fissate dalla produzione per l'inizio delle prove ufficiali di agosto sembravano fatte apposta per favorire anche un blitz newyorkese di Bono e The Edge, poiché tra i concerti danesi e quelli finlandesi del tour europeo degli U2, cioè tra il 17 e il 21 agosto, c'era qualche giorno di pausa. Il cantante e il chitarrista della band di Dublino, però, hanno preferito non sottoporsi a un vero e proprio "tour de force" intercontinentale, anche perché, nei mesi scorsi, avevano già avuto modo di provare molte volte i misteriosissimi brani scritti appositamente per il musical. In ogni caso, dopo la data romana dell'8 ottobre (che concluderà la tournée autunnale degli U2, prima della ripresa prevista a maggio negli Stati Uniti), Bono e The Edge potranno dedicarsi con maggiore calma e tranquillità alle rifiniture nonché alla registrazione dell'album inedito che, poi, accompagnerà la messa in scena teatrale del musical. Il disco, tra l'altro, costituirà un nuovo capitolo del rapporto tra gli U2 e il mondo dei supereroi, dopo la hit di qualche anno fa Hold Me, Thrill Me, Kiss Me, Kill Me, inclusa da Joel Schumacher nella soundtrack del suo film, peraltro deludente, Batman Forever.
In attesa di ascoltare i nuovi brani, comunque, il jingle introduttivo presente sul sito ufficiale di Spider-man: Turn Off the Dark e la sontuosità dell'allestimento teatrale fanno presagire una partitura decisamente elettrica e "nervosa", che oscillerà tra il sound tipico degli U2 e sonorità più "prog" e persino rock sinfoniche. Del progetto s'è detto entusiasta, qualche settimana fa, anche lo storico manager della band irlandese, Paul McGuinness: "Ormai, siamo sui binari giusti - ha spiegato - ed è tutto molto elettrizzante. La regista Julie Taymor, d'altronde, ha già mostrato ciò di cui è capace con quell'altro straordinario musical che è stato Il re leone e, secondo me, è un autentico genio".
Insomma, agli appassionati di supereroi e musical non resta che prenotare un bel biglietto aereo per trascorrere le vacanze natalizie a New York in compagnia del nostro amabile Arrampicamuri di quartiere.
mercoledì 8 settembre 2010
WOODY ALLEN "TAGLIA" CARLA BRUNI DAL SUO NUOVO FILM?
Di Diego Del Pozzo
Continuano i misteri intorno al nuovo film di Woody Allen, il chiacchieratissimo Midnight in Paris, che è fin d'ora uno tra i titoli più attesi della prossima stagione cinematografica. Buona parte dell'attesa e dei misteri è certamente provocata dalla presenza nel cast della première dame francese Carla Bruni, già top model e chanteuse di successo, adesso all'esordio come attrice. Presenza, però, che potrebbe saltare all'ultimo momento, in fase di montaggio, contribuendo a far crescere ancora di più la curiosità dei fan per l'arrivo del film nelle sale. Dopo le burrascose riprese concluse il 20 agosto, infatti, voci di corridoio darebbero per cancellate al montaggio le scene interpretate da Carlà, con Allen che le avrebbe addirittura già rigirate avvalendosi di un'altra attrice, la giovane Lea Seydoux, lanciata da Quentin Tarantino in Bastardi senza gloria e premiata nel 2009 con un César, l'equivalente francese del Premio Oscar. Il regista avrebbe aspettato la conclusione ufficiale del piano di lavorazione e, una volta accertatosi della partenza per le vacanze in Costa Azzurra di Carla Bruni col marito Nicolas Sarkozy, avrebbe realizzato una nuova versione delle stesse sequenze, pronto a far scattare il "piano b" al momento del "final cut".
La clamorosa indiscrezione arriva dal sito specializzato Bakchich.info, che nel commentare le ultime novità riguardanti Midnight in Paris si chiede: "Quanto resterà di Carla Bruni nel prossimo film di Woody Allen?". Secondo il sito, dietro le dichiarazioni di facciata del regista newyorkese, che aveva rassicurato tutti sulla buona qualità dei contributi artistici di Carla Bruni, ci sarebbe una profonda insoddisfazione. Se da una parte, infatti, Allen ha dichiarato che la première dame - che nella pellicola interpreta una conservatrice del museo Rodin - "ha recitato così bene che tutto ciò che abbiamo girato sarà nel film e niente sarà tagliato"; dall'altra parte, tanti testimoni oculari delle riprese - perlopiù maestranze impegnate sul set - sottolineano, invece, le evidenti difficoltà della neo-attrice, che avrebbero notevolmente rallentato la lavorazione: un anonimo membro della troupe parla, addirittura, di "alcuni problemi" sorti con la Bruni sul set e racconta di come lei fissasse la telecamera e guardasse "i segni per terra durante i suoi spostamenti"; inoltre, c'è chi ricorda come tante scene siano state girate decine di volte, fino a un massimo di trentacinque ciak per una sequenza "banale come quella dell'uscita da un negozio con una baguette sotto il braccio".
Tra i motivi che potrebbero aver spinto Woody Allen alla clamorosa decisione, però, potrebbe esserci anche la "paparazzatissima" irruzione sul set fatta ad agosto dal presidente transalpino Nicolas Sarkozy, arrivato a sorpresa alle due di notte davanti al Pantheon, in piena Rive Gauche, dove la moglie stava girando una scena assieme al partner maschile Owen Wilson. I tanti fotografi presenti sul luogo avevano immortalato la rabbia di Sarkozy che, sudato e con gli abiti in disordine, aveva persino tentato di portare via la moglie dal set, tra l'imbarazzo dei presenti. E proprio questo episodio avrebbe irritato notevolmente il regista.
Nel riportare l’indiscrezione del "taglio" di Carla Bruni in fase di montaggio, Bakchich.info sottolinea come dalla produzione nessuno abbia né confermato né smentito la notizia, così come dall'Eliseo. Ciò che è certo è che attorno a Midnight in Paris si continuerà a discutere fino al momento dell'uscita. "Se tutto ciò fosse vero - attacca, per esempio, il sito del settimanale popolare francese Voici - la notizia sarebbe da considerarsi una vera e propria vergogna internazionale". Per ora, le uniche certezze arrivano dalla trama del film - una famiglia americana in viaggio d'affari a Parigi, la cui vita cambia sensibilmente dopo l'incontro con una giovane ed eccentrica coppia di fidanzati - e dal livello eccelso del resto del cast, composto da Adrien Brody, Kathy Bates, Michael Sheen, Owen Wilson, Marion Cotillard, Rachel McAdams, Elsa Patacky. Se con loro ci sarà anche Carlà, però, è ancora tutto da vedere.
La clamorosa indiscrezione arriva dal sito specializzato Bakchich.info, che nel commentare le ultime novità riguardanti Midnight in Paris si chiede: "Quanto resterà di Carla Bruni nel prossimo film di Woody Allen?". Secondo il sito, dietro le dichiarazioni di facciata del regista newyorkese, che aveva rassicurato tutti sulla buona qualità dei contributi artistici di Carla Bruni, ci sarebbe una profonda insoddisfazione. Se da una parte, infatti, Allen ha dichiarato che la première dame - che nella pellicola interpreta una conservatrice del museo Rodin - "ha recitato così bene che tutto ciò che abbiamo girato sarà nel film e niente sarà tagliato"; dall'altra parte, tanti testimoni oculari delle riprese - perlopiù maestranze impegnate sul set - sottolineano, invece, le evidenti difficoltà della neo-attrice, che avrebbero notevolmente rallentato la lavorazione: un anonimo membro della troupe parla, addirittura, di "alcuni problemi" sorti con la Bruni sul set e racconta di come lei fissasse la telecamera e guardasse "i segni per terra durante i suoi spostamenti"; inoltre, c'è chi ricorda come tante scene siano state girate decine di volte, fino a un massimo di trentacinque ciak per una sequenza "banale come quella dell'uscita da un negozio con una baguette sotto il braccio".
Tra i motivi che potrebbero aver spinto Woody Allen alla clamorosa decisione, però, potrebbe esserci anche la "paparazzatissima" irruzione sul set fatta ad agosto dal presidente transalpino Nicolas Sarkozy, arrivato a sorpresa alle due di notte davanti al Pantheon, in piena Rive Gauche, dove la moglie stava girando una scena assieme al partner maschile Owen Wilson. I tanti fotografi presenti sul luogo avevano immortalato la rabbia di Sarkozy che, sudato e con gli abiti in disordine, aveva persino tentato di portare via la moglie dal set, tra l'imbarazzo dei presenti. E proprio questo episodio avrebbe irritato notevolmente il regista.
Nel riportare l’indiscrezione del "taglio" di Carla Bruni in fase di montaggio, Bakchich.info sottolinea come dalla produzione nessuno abbia né confermato né smentito la notizia, così come dall'Eliseo. Ciò che è certo è che attorno a Midnight in Paris si continuerà a discutere fino al momento dell'uscita. "Se tutto ciò fosse vero - attacca, per esempio, il sito del settimanale popolare francese Voici - la notizia sarebbe da considerarsi una vera e propria vergogna internazionale". Per ora, le uniche certezze arrivano dalla trama del film - una famiglia americana in viaggio d'affari a Parigi, la cui vita cambia sensibilmente dopo l'incontro con una giovane ed eccentrica coppia di fidanzati - e dal livello eccelso del resto del cast, composto da Adrien Brody, Kathy Bates, Michael Sheen, Owen Wilson, Marion Cotillard, Rachel McAdams, Elsa Patacky. Se con loro ci sarà anche Carlà, però, è ancora tutto da vedere.
martedì 7 settembre 2010
QUELL'AMORE BUIO TRA LE DUE NAPOLI DI CAPUANO
Di Diego Del Pozzo
Un film diseguale, persino squilibrato, ma con alcuni momenti di accesa visionarietà e lancinanti squarci di poesia ad attraversarlo trasversalmente: mi sto riferendo a L'amore buio, il nuovo lavoro del regista napoletano Antonio Capuano, ennesimo capitolo della sua utopica ricerca dell'incontro, storicamente mancato, tra la Napoli borghese e quella proletaria. L'amore buio è stato presentato in anteprima alla Mostra del cinema di Venezia, nella sezione delle Giornate degli autori. Capuano ne ha parlato ieri pomeriggio alla Feltrinelli Libri e Musica di Napoli, nel corso di un incontro moderato dal critico cinematografico Alberto Castellano e arricchito dall'intervento dello scrittore Silvio Perrella. Durante il dibattito, il regista s'è soffermato, naturalmente, sul tema centrale di questa e di molte altre sue pellicole, fin dall'esordio Vito e gli altri, datato 1991. "Da allora a oggi - ha spiegato con la consueta schiettezza - non è cambiato nulla nel rapporto tra le due Napoli: continuano a ignorarsi. Anzi, da una parte, i sottoproletari hanno acquisito nuova forza, anche brutale, e "invaso" i quartieri borghesi, per mostrare di esser vivi; dall'altra parte, la borghesia cittadina continua a vivere con arroganza e scarsa curiosità, sempre più rinchiusa nelle proprie case, da dove, invece di cercare il confronto con un'umanità tanto diversa, poi fugge via, abbandonando una città che, in questo modo, negli ultimi vent'anni è diventata sempre più povera".
Un'efficace metafora del rapporto conflittuale e irrisolto tra quelle che a volte sembrano due città distinte è, per Antonio Capuano, lo stupro col quale si apre il film e attorno al quale, poi, si sviluppa seguendo in parallelo le intimità della ragazzina alto-borghese violata nel corpo e nello spirito e dello scugnizzo sottoproletario adolescente (recluso nel carcere minorile di Nisida) che, con ingenuità quasi animalesca, scambia quell'atto brutale per amore. "Chi vive in zone come il Vomero o Posillipo - ha sottolineato il regista - non conosce praticamente nulla del "corpo" più vivo della città, del suo "ventre". Nel film, infatti, un primo momento di avvicinamento tra i personaggi di Irene e Ciro si ha proprio quando lei decide di attraversare la barriera tra la sua realtà un po' asettica e "l'altra" Napoli: quella dei Decumani, dei vicoli, del brulicare di umanità, dei tesori dell'arte e della storia. Da quel momento, Irene inizia a guardare a Ciro con altri occhi". Peccato che ieri pomeriggio non fossero presenti alla Feltrinelli i due giovani protagonisti, Irene De Angelis e Gabriele Agrio, ai quali il regista ha dedicato buona parte dell'incontro: "Ho impiegato quasi due anni - ha raccontato - per sceglierli, girando tra tante scuole del centro e della periferia. Alla fine, Irene l'ho scelta un mese prima dell'inizio delle riprese e Gabriele poco dopo, quando mi mancavano le ultime tre-quattro scuole. In particolare, il ragazzo mi ha conquistato con il suo sguardo bellissimo e infinitamente tenero, tanto che mi sono anche chiesto se non fosse troppo bello per interpretare un ruolo negativo come quello di un giovane stupratore". Inevitabilmente, tra i due giovani protagonisti si è sviluppato un rapporto di complicità: "Però, tutto è nato pochi giorni fa, mentre eravamo all'aeroporto dopo la proiezione a Venezia. A causa di un ritardo dell'aereo, siamo rimasti bloccati per alcune ore e, in quell'occasione, Irene e Gabriele hanno iniziato a conoscersi e a familiarizzare. Anche perché sul set hanno recitato quasi sempre separati. E' stato allora che ho provato la tenerezza più grande, per loro e per come i loro due universi stavano entrando davvero in comunicazione. Sarebbe bello se anche le Napoli alle quali appartengono potessero conoscersi con la stessa tenerezza e sincerità".
Oltre che dai due esordienti, L'amore buio è interpretato anche da attori professionisti come Corso Salani (al suo ultimo film prima della scomparsa prematura), Luisa Ranieri, Valeria Golino, Anna Ammirati e Fabrizio Gifuni.
Un'efficace metafora del rapporto conflittuale e irrisolto tra quelle che a volte sembrano due città distinte è, per Antonio Capuano, lo stupro col quale si apre il film e attorno al quale, poi, si sviluppa seguendo in parallelo le intimità della ragazzina alto-borghese violata nel corpo e nello spirito e dello scugnizzo sottoproletario adolescente (recluso nel carcere minorile di Nisida) che, con ingenuità quasi animalesca, scambia quell'atto brutale per amore. "Chi vive in zone come il Vomero o Posillipo - ha sottolineato il regista - non conosce praticamente nulla del "corpo" più vivo della città, del suo "ventre". Nel film, infatti, un primo momento di avvicinamento tra i personaggi di Irene e Ciro si ha proprio quando lei decide di attraversare la barriera tra la sua realtà un po' asettica e "l'altra" Napoli: quella dei Decumani, dei vicoli, del brulicare di umanità, dei tesori dell'arte e della storia. Da quel momento, Irene inizia a guardare a Ciro con altri occhi". Peccato che ieri pomeriggio non fossero presenti alla Feltrinelli i due giovani protagonisti, Irene De Angelis e Gabriele Agrio, ai quali il regista ha dedicato buona parte dell'incontro: "Ho impiegato quasi due anni - ha raccontato - per sceglierli, girando tra tante scuole del centro e della periferia. Alla fine, Irene l'ho scelta un mese prima dell'inizio delle riprese e Gabriele poco dopo, quando mi mancavano le ultime tre-quattro scuole. In particolare, il ragazzo mi ha conquistato con il suo sguardo bellissimo e infinitamente tenero, tanto che mi sono anche chiesto se non fosse troppo bello per interpretare un ruolo negativo come quello di un giovane stupratore". Inevitabilmente, tra i due giovani protagonisti si è sviluppato un rapporto di complicità: "Però, tutto è nato pochi giorni fa, mentre eravamo all'aeroporto dopo la proiezione a Venezia. A causa di un ritardo dell'aereo, siamo rimasti bloccati per alcune ore e, in quell'occasione, Irene e Gabriele hanno iniziato a conoscersi e a familiarizzare. Anche perché sul set hanno recitato quasi sempre separati. E' stato allora che ho provato la tenerezza più grande, per loro e per come i loro due universi stavano entrando davvero in comunicazione. Sarebbe bello se anche le Napoli alle quali appartengono potessero conoscersi con la stessa tenerezza e sincerità".
Oltre che dai due esordienti, L'amore buio è interpretato anche da attori professionisti come Corso Salani (al suo ultimo film prima della scomparsa prematura), Luisa Ranieri, Valeria Golino, Anna Ammirati e Fabrizio Gifuni.
sabato 4 settembre 2010
CINEDOC: IL "BOSS" A TORONTO PER "THE PROMISE"
Di Diego Del Pozzo
Giunto alla trentacinquesima edizione, in programma dal 9 al 19 settembre, il Toronto International Film Festival si conferma come la kermesse cinematografica in maggiore crescita nel sempre più affollato panorama festivaliero globale. Ormai, infatti, la rassegna canadese insidia seriamente la posizione della Mostra di Venezia alle spalle di Cannes, puntando soprattutto sulla predilezione sempre più evidente da parte degli Studios hollywoodiani, che considerano Toronto il trampolino di lancio ideale per i film da candidare agli Oscar. Anche l'edizione 2010 si presenta ricchissima, con oltre cinquanta titoli (esclusi i documentari) nelle selezioni ufficiali, dei quali più di metà in anteprima mondiale. Tra i tanti big attesi nell'Ontario, spiccano Clint Eastwood (col nuovo Hereafter), Robert Redford (The Conspirator), Danny Boyle (127 Hours), star come Nicole Kidman (protagonista di Rabbit Hole di John Cameron Mitchell) e Hilary Swank (in Conviction di Tony Goldwin). Folta e qualificata sarà anche la pattuglia italiana, forte di sette film. In anteprima mondiale, si vedrà Il richiamo di Stefano Pasetto, nella sezione Discovery dedicata ai giovani talenti. Direttamente dal Lido - perché Toronto si riserva la possibilità di "pescare" anche tra i migliori titoli di Venezia, Cannes e Sundance - ci saranno, poi, Malavoglia di Pasquale Scimeca, Gorbacióf - Il cassiere col vizio del gioco di Stefano Incerti, Passione di John Turturro e La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo; mentre, da Cannes, Le quattro volte di Michelangelo Frammartino e, nella sezione Wavelengths dedicata al cinema sperimentale, Il finish delle figure dell’artista veneto Paolo Gioli.
Quest'anno, però, al Toronto International Film Festival hanno fatto le cose davvero in grande, anche per quel che riguarda i documentari. Tra i ventiquattro titoli in programma, infatti, spiccano le anteprime mondiali dei nuovi lavori di autori del calibro di Werner Herzog, Erroll Morris e Frederick Wiseman ma, soprattutto, l'apertura della sezione affidata all'inusuale presenza - per un festival del cinema - del "Boss" del rock 'n' roll in persona, ovvero mister Bruce Springsteen da Freehold, New Jersey.
Il più grande rocker vivente inaugurerà la rassegna canadese presentando il documentario di Thom Zimny The Promise: the Making of Darkness on the Edge of Town, un lavoro che farà tornare gli appassionati al periodo della creazione del capolavoro del 1978, che a dicembre sarà ridistribuito come strenna natalizia in una nuova versione de-luxe rimasterizzata, nel cui cofanetto verrà incluso anche il dvd del documentario diretto da Zimny. Lo stesso regista aveva già realizzato, nel 2005, un documentario dedicato alla lavorazione di un altro celebre album springsteeniano, Born to Run, a sua volta allegato alla versione del trentennale. L'anteprima mondiale a Toronto, però, assicura al nuovo making of dedicato a Darkness on the Edge of Town un respiro ben diverso rispetto all'analoga operazione di cinque anni fa.
In The Promise, dunque, lo specialista Thom Zimny - vincitore di Grammy ed Emmy per i suoi documentari musicali - ricostruisce l'atmosfera delle sessioni durante le quali Bruce Springsteen e la sua E-Street Band registrarono il loro quarto album. La collaborazione diretta con Springsteen e col suo manager Jon Landau ha permesso a Zimny di avere accesso a tanti materiali video e audio inediti, risalenti al biennio 1976-1978. In questo modo, dal documentario emergeranno alcune caratteristiche peculiari del processo creativo del Boss con la sua storica band, colti in un momento cruciale della loro parabola artistica. Darkness on the Edge of Town, infatti, è un album-chiave nella carriera springsteeniana, collocato tra Born to Run del 1975 e The River del 1980. Le dieci tracce in scaletta, non a caso, sono ancora oggi tra le più amate dello sterminato repertorio del Boss e hanno costituito l'ossatura dei suoi concerti per almeno dieci-quindici anni. I soli titoli dei brani (Badlands, Adam Raised a Cain, Something in the Night, Candy's Room, Racing in the Street, The Promised Land, Factory, Streets of Fire, Prove It All Night, Darkness on the Edge of Town) danno l'esatta idea dell'importanza storica dell'album e della conseguente attesa che circonda l'anteprima di Toronto e la successiva uscita natalizia del cofanetto de-luxe. A proposito del quale, mi piace rimandare alla sentita e dotta analisi - con sorpresa finale da brividi - di Vincenzo Esposito pubblicata sul suo blog Due Lune: per leggerla, basta cliccare qui.
Tra gli altri documentari che si vedranno al Toronto International Film Festival spicca, come accennato all'inizio, anche quello di Werner Herzog, Cave of Forgotten Dreams, girato in 3D e dedicato agli scavi di Chauvet, nel sud della Francia, dove sono situate le più antiche testimonianze pittoriche attribuite agli esseri umani. E, proprio con l'ausilio del 3D, Herzog porterà gli spettatori trentamila anni indietro nel tempo.
Quest'anno, però, al Toronto International Film Festival hanno fatto le cose davvero in grande, anche per quel che riguarda i documentari. Tra i ventiquattro titoli in programma, infatti, spiccano le anteprime mondiali dei nuovi lavori di autori del calibro di Werner Herzog, Erroll Morris e Frederick Wiseman ma, soprattutto, l'apertura della sezione affidata all'inusuale presenza - per un festival del cinema - del "Boss" del rock 'n' roll in persona, ovvero mister Bruce Springsteen da Freehold, New Jersey.
Il più grande rocker vivente inaugurerà la rassegna canadese presentando il documentario di Thom Zimny The Promise: the Making of Darkness on the Edge of Town, un lavoro che farà tornare gli appassionati al periodo della creazione del capolavoro del 1978, che a dicembre sarà ridistribuito come strenna natalizia in una nuova versione de-luxe rimasterizzata, nel cui cofanetto verrà incluso anche il dvd del documentario diretto da Zimny. Lo stesso regista aveva già realizzato, nel 2005, un documentario dedicato alla lavorazione di un altro celebre album springsteeniano, Born to Run, a sua volta allegato alla versione del trentennale. L'anteprima mondiale a Toronto, però, assicura al nuovo making of dedicato a Darkness on the Edge of Town un respiro ben diverso rispetto all'analoga operazione di cinque anni fa.
In The Promise, dunque, lo specialista Thom Zimny - vincitore di Grammy ed Emmy per i suoi documentari musicali - ricostruisce l'atmosfera delle sessioni durante le quali Bruce Springsteen e la sua E-Street Band registrarono il loro quarto album. La collaborazione diretta con Springsteen e col suo manager Jon Landau ha permesso a Zimny di avere accesso a tanti materiali video e audio inediti, risalenti al biennio 1976-1978. In questo modo, dal documentario emergeranno alcune caratteristiche peculiari del processo creativo del Boss con la sua storica band, colti in un momento cruciale della loro parabola artistica. Darkness on the Edge of Town, infatti, è un album-chiave nella carriera springsteeniana, collocato tra Born to Run del 1975 e The River del 1980. Le dieci tracce in scaletta, non a caso, sono ancora oggi tra le più amate dello sterminato repertorio del Boss e hanno costituito l'ossatura dei suoi concerti per almeno dieci-quindici anni. I soli titoli dei brani (Badlands, Adam Raised a Cain, Something in the Night, Candy's Room, Racing in the Street, The Promised Land, Factory, Streets of Fire, Prove It All Night, Darkness on the Edge of Town) danno l'esatta idea dell'importanza storica dell'album e della conseguente attesa che circonda l'anteprima di Toronto e la successiva uscita natalizia del cofanetto de-luxe. A proposito del quale, mi piace rimandare alla sentita e dotta analisi - con sorpresa finale da brividi - di Vincenzo Esposito pubblicata sul suo blog Due Lune: per leggerla, basta cliccare qui.
Tra gli altri documentari che si vedranno al Toronto International Film Festival spicca, come accennato all'inizio, anche quello di Werner Herzog, Cave of Forgotten Dreams, girato in 3D e dedicato agli scavi di Chauvet, nel sud della Francia, dove sono situate le più antiche testimonianze pittoriche attribuite agli esseri umani. E, proprio con l'ausilio del 3D, Herzog porterà gli spettatori trentamila anni indietro nel tempo.
mercoledì 1 settembre 2010
INTERVISTA INTEGRALE AL REGISTA JOHN MADDEN
Di Diego Del Pozzo
Tra i protagonisti del Toronto International Film Festival, la cui trentacinquesima edizione si svolgerà dal 9 al 19 settembre, ci sarà anche il regista John Madden (qui sotto, nella foto), già vincitore, qualche anno fa, del Premio Oscar per Shakespeare in Love e tra gli ospiti, in luglio, dell'Ischia Global Film & Music Fest, dove l'ho incontrato e intervistato. Quella che segue è la versione integrale dell'intervista uscita qualche giorno fa sul quotidiano Il Mattino.
Alla prestigiosa rassegna canadese, il cineasta inglese presenterà in anteprima mondiale l'atteso thriller fanta-spionistico The Debt, remake dell'omonima pellicola israeliana diretta da Assaf Bernstein. "Si tratta di un film d'azione ma anche d'atmosfera - racconta Madden - che abbiamo girato tra Londra, Budapest e Tel Aviv. E' sceneggiato da Matthew Vaughn e Jane Goldman assieme agli autori dello script originale, Ido Rosenblum e lo stesso regista Bernstein. La storia mi è piaciuta subito e ho provato a interpretarla mettendoci anche qualcosa di personale".
Di che parla il film?
"La trama oscilla tra passato e presente. Nel 1965, tre giovani agenti israeliani del Mossad catturano e uccidono, nel corso di una missione segreta, un feroce criminale di guerra nazista, ricercato da diversi anni. Almeno questo è ciò che i tre fanno credere. Trent'anni dopo, infatti, un uomo che pretende di essere quel nazista riappare in Ucraina, costringendo gli ex agenti a insabbiare nuovamente il caso, mentre uno di loro, sotto copertura, proverà a far emergere la verità".
Lei è noto per aver lavorato spesso con grandi attori. Chi ha scelto stavolta per i ruoli principali?
"I tre agenti israeliani sono interpretati da Jessica Chastain, il Sam Worthington di Avatar e Marton Csokas, mentre le loro versioni più mature hanno i volti di tre attori che amo molto: Helen Mirren, Tom Wilkinson e Ciaràn Hinds. Nel cast ci sono anche Jesper Christensen e Romi Aboulafia. Credo che proprio il livello degli interpreti sarà uno tra i punti di forza della pellicola".
Dopo l'anteprima a Toronto, quando è prevista l’uscita del film?
"La Miramax lo distribuirà negli Stati Uniti il 29 dicembre, in tempo per poter concorrere ai prossimi Oscar. Poi, nei primi mesi del prossimo anno, uscirà nel resto del mondo, Italia compresa" (qui, nella foto, una scena del film).
Nel frattempo, però, lei non resterà certo con le mani in mano, no?
"Assolutamente no. Già dopo l'estate, infatti, inizierò a girare in India un nuovo film che s’intitolerà The Best Exotic Marigold Hotel. E, anche in questo caso, mi avvarrò di un cast di grandi interpreti, composto tra gli altri da Julie Christie, Judi Dench, ancora Tom Wilkinson, Maggie Smith e Dev Patel. La pellicola racconterà di un gruppo di anziani inglesi che andrà in un particolarissimo "buen retiro" indiano per trascorrere assieme gli ultimi momenti di vita. Nessuno di loro, però, si abbandonerà allo sconforto ma, anzi, tutti cercheranno di vivere alla grande il tempo che gli resta".
C'è qualche altro progetto cinematografico nel suo immediato futuro?
"Ce ne sono altri due, entrambi di un certo interesse. Il primo è un adattamento del romanzo di Sadie Jones The Outcast, che è stato vendutissimo bestseller in Gran Bretagna e racconta una storia ambientata nella provincia inglese del Dopoguerra. Il secondo, invece, è un originale lavoro imperniato su un personaggio letteralmente ossessionato da Sylvia Plath e da altri celebri poeti morti suicidi. Inizierò a lavorare ai due film subito dopo il progetto in India".
Nonostante le sue origini inglesi, lei è considerato, ormai, a tutti gli effetti un regista hollywoodiano. Com'è il suo rapporto con l'industria cinematografica a stelle e strisce?
"Naturalmente, tutto è iniziato col clamoroso successo di Shakespeare in Love. E, in tutta onestà, non avrei mai immaginato che quel film mi avrebbe catapultato nel caos hollywoodiano in modo così improvviso. Comunque, anche con tutti i suoi eccessi, Hollywood continua a divertirmi molto".
Il suo sguardo nei confronti della Gran Bretagna, però, è sempre molto attento. Come giudica i mutamenti politici degli ultimi mesi?
"Mi sembra che, da questo punto di vista, in Inghilterra si stiano seguendo le orme dell'Italia, sia per quanto riguarda gli scandali politici sempre più frequenti, sia per il generale spostamento della scena politica nazionale verso il centro, col superamento dei tradizionali partiti inglesi. E proprio questo passaggio mi fa pensare a una vera e propria rivoluzione politica alle porte".
Alla prestigiosa rassegna canadese, il cineasta inglese presenterà in anteprima mondiale l'atteso thriller fanta-spionistico The Debt, remake dell'omonima pellicola israeliana diretta da Assaf Bernstein. "Si tratta di un film d'azione ma anche d'atmosfera - racconta Madden - che abbiamo girato tra Londra, Budapest e Tel Aviv. E' sceneggiato da Matthew Vaughn e Jane Goldman assieme agli autori dello script originale, Ido Rosenblum e lo stesso regista Bernstein. La storia mi è piaciuta subito e ho provato a interpretarla mettendoci anche qualcosa di personale".
Di che parla il film?
"La trama oscilla tra passato e presente. Nel 1965, tre giovani agenti israeliani del Mossad catturano e uccidono, nel corso di una missione segreta, un feroce criminale di guerra nazista, ricercato da diversi anni. Almeno questo è ciò che i tre fanno credere. Trent'anni dopo, infatti, un uomo che pretende di essere quel nazista riappare in Ucraina, costringendo gli ex agenti a insabbiare nuovamente il caso, mentre uno di loro, sotto copertura, proverà a far emergere la verità".
Lei è noto per aver lavorato spesso con grandi attori. Chi ha scelto stavolta per i ruoli principali?
"I tre agenti israeliani sono interpretati da Jessica Chastain, il Sam Worthington di Avatar e Marton Csokas, mentre le loro versioni più mature hanno i volti di tre attori che amo molto: Helen Mirren, Tom Wilkinson e Ciaràn Hinds. Nel cast ci sono anche Jesper Christensen e Romi Aboulafia. Credo che proprio il livello degli interpreti sarà uno tra i punti di forza della pellicola".
Dopo l'anteprima a Toronto, quando è prevista l’uscita del film?
"La Miramax lo distribuirà negli Stati Uniti il 29 dicembre, in tempo per poter concorrere ai prossimi Oscar. Poi, nei primi mesi del prossimo anno, uscirà nel resto del mondo, Italia compresa" (qui, nella foto, una scena del film).
Nel frattempo, però, lei non resterà certo con le mani in mano, no?
"Assolutamente no. Già dopo l'estate, infatti, inizierò a girare in India un nuovo film che s’intitolerà The Best Exotic Marigold Hotel. E, anche in questo caso, mi avvarrò di un cast di grandi interpreti, composto tra gli altri da Julie Christie, Judi Dench, ancora Tom Wilkinson, Maggie Smith e Dev Patel. La pellicola racconterà di un gruppo di anziani inglesi che andrà in un particolarissimo "buen retiro" indiano per trascorrere assieme gli ultimi momenti di vita. Nessuno di loro, però, si abbandonerà allo sconforto ma, anzi, tutti cercheranno di vivere alla grande il tempo che gli resta".
C'è qualche altro progetto cinematografico nel suo immediato futuro?
"Ce ne sono altri due, entrambi di un certo interesse. Il primo è un adattamento del romanzo di Sadie Jones The Outcast, che è stato vendutissimo bestseller in Gran Bretagna e racconta una storia ambientata nella provincia inglese del Dopoguerra. Il secondo, invece, è un originale lavoro imperniato su un personaggio letteralmente ossessionato da Sylvia Plath e da altri celebri poeti morti suicidi. Inizierò a lavorare ai due film subito dopo il progetto in India".
Nonostante le sue origini inglesi, lei è considerato, ormai, a tutti gli effetti un regista hollywoodiano. Com'è il suo rapporto con l'industria cinematografica a stelle e strisce?
"Naturalmente, tutto è iniziato col clamoroso successo di Shakespeare in Love. E, in tutta onestà, non avrei mai immaginato che quel film mi avrebbe catapultato nel caos hollywoodiano in modo così improvviso. Comunque, anche con tutti i suoi eccessi, Hollywood continua a divertirmi molto".
Il suo sguardo nei confronti della Gran Bretagna, però, è sempre molto attento. Come giudica i mutamenti politici degli ultimi mesi?
"Mi sembra che, da questo punto di vista, in Inghilterra si stiano seguendo le orme dell'Italia, sia per quanto riguarda gli scandali politici sempre più frequenti, sia per il generale spostamento della scena politica nazionale verso il centro, col superamento dei tradizionali partiti inglesi. E proprio questo passaggio mi fa pensare a una vera e propria rivoluzione politica alle porte".
Iscriviti a:
Post (Atom)