Così, dopo il successo di "Sacro GRA" di Gianfranco Rosi alla Mostra di Venezia, ieri sera la giuria del Festival di Roma presieduta da James Gray ha deciso di premiare come miglior film "Tir", affascinante mix di finzione e realtà realizzato dal documentarista Alberto Fasulo, che ha coinvolto l'attore Branko Zavrsan, facendogli interpretare (ma, forse, il termine è improprio) un autista di tir in giro per l'Europa per tre mesi, dopo averlo fatto assumere a tempo determinato da una ditta di trasporti italiana.
Un panorama del Parco Saraceno da "Ritratti abusivi" |
Fu proprio allora che i costruttori Coppola decisero di murare porte e finestre dei vari edifici, per impedirne un’occupazione abusiva che, invece, si realizzò a tempo di record e che dura ancora oggi, nel disinteresse delle Istituzioni locali e nazionali. “Da questo punto di vista - mi racconta Montesarchio pochi giorni prima del festival capitolino - il mio film è anche la storia del fallimento di uno Stato che ha permesso la cementificazione selvaggia di decine di chilometri di costa campana e che, in più, ha fatto sì che le architetture geometriche e rigorose di quei luoghi generassero un caos umano fatto di persone che occupano abusivamente un parco a sua volta abusivo”.
Quella di Romano Montesarchio, in una sorta di enclave quasi extraterritoriale, è stata un’autentica full immersion, durata oltre un anno, “proprio per entrare in modo delicato nelle quotidianità di coloro che poi avrei ripreso, per conquistare la loro fiducia e, al tempo stesso, per fargli comprendere bene quali erano i miei intenti. Poi, tra riprese e postproduzione, ho lavorato a questo progetto per un totale di due anni e mezzo. Ho trascorso mesi - aggiunge il regista - a spostarmi tra una casa e l’altra, tra intonaci ammuffiti, finestre improvvisate e arredamenti surreali: elementi di un mondo a parte che, nonostante tutto, esprime una vitalità quasi da paese dei balocchi, con luci sempre accese, le porte delle case sempre aperte come antri, balconi spesso privi di ringhiere e somiglianti a trampolini sospesi sul mare. Insomma, quella del Parco Saraceno è una realtà che reclama di essere vista da dentro, proprio per dare la possibilità di meravigliarsi per l’inverosimile felicità dei suoi abitanti”.
Tra gli elementi più sorprendenti del film, infatti, vi è proprio l’inattesa felicità di tanti residenti in un luogo così degradato. “Ed è un elemento assolutamente naturale - spiega Montesarchio - e non provocato dalla mia presenza: molti di loro sono davvero felici, anche se non godono di servizi essenziali come la corrente elettrica o l’acqua corrente, che da abusivi si sono procurati in modo abusivo. D’altra parte, come spiega bene un vulcanico personaggio soprannominato ‘o ‘mericano, di fronte a loro c’è il mare, a poche centinaia di metri il centro sportivo del Napoli, ognuno vive in famiglie solidissime e, cosa molto importante per chi si trova in stato d’indigenza, non esistendo per lo Stato nessuno di loro paga le tasse”.
"Ritratti abusivi" rende le vite degli abitanti del Parco Saraceno materia narrativa incandescente, arricchita da una visionarietà di sguardo capace di caricare quelle quotidianità ai margini di ulteriore senso puramente cinematografico, senza mai andare a discapito di un'autenticità "bigger than life" proprio perché assolutamente realistica. Se non fosse un documentario, il film di Montesarchio sarebbe un apologo fantascientifico sulle transmutazioni della società occidentale all'epoca di una globalizzazione che continua a rimasticare e vomitare se stessa abbandonando al loro destino intere parti di mondo "abusive" e, dunque, di fatto non esistenti. Guardando "Ritratti abusivi" si piange, si ride, si resta sbigottiti, si prova rabbia, ci s'innamora. Insomma, ci si sente vivi, come sempre dovrebbe essere di fronte alla potenza immaginifica del buon cinema.
Il film si apre e si chiude con un raro filmato pubblicitario anni Sessanta di Villaggio Coppola, reso poi inquietante e quasi orwelliano (a proposito di science fiction...) dal futuro destino di degrado e abbandono dell’area e, dunque, dal concreto "farsi" del documentario. “Di quel filmato - conclude il regista - esiste un’unica copia in pellicola, conservata dall’esercente del locale cinema Bristol. Quando ho deciso di usarlo lui ne è stato felice, perché mi ha detto che così avrei salvato la memoria di quelle immagini che, altrimenti, sarebbe andata perduta. Lo stesso si può dire per l’umanità che vive in questa terra di frontiera sconosciuta ai più, che ho provato a restituire attraverso autentici ritratti di ciascuno, dichiarati fin dal titolo, facendoli parlare direttamente allo spettatore per raccontare le loro verità senza filtri né sovrastrutture. E spero che, dopo il successo veneziano di “Sacro Gra”, il documentario possa conquistare sempre più spazio anche nei cinema, perché sono sicuro che, pure in Italia, esistono tanti spettatori desiderosi di confrontarsi con film capaci di raccontare il reale”.
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