mercoledì 19 dicembre 2012

SPRINGSTEEN, VAN SANT E L'AMERICA DELLA CRISI GLOBALE

Di Diego Del Pozzo
(Rock Around the Screen - 19 dicembre 2012)

Dopo l'anteprima mondiale del 4 dicembre al Lincoln Square Cinema di Washington, uscirà il 28 dicembre in poche sale di New York e Los Angeles, per poter concorrere agli Oscar, il nuovo film di Gus Van Sant, "Promised Land", che sarà poi in distribuzione ufficiale negli Stati Uniti a partire dal 4 gennaio 2013 e in anteprima europea nel concorso della prossima Berlinale.
Matt Damon in "Promised Land" di Gus Van Sant
Protagonisti della pellicola sono Matt Damon e John Krasinski (anche produttori e sceneggiatori, a partire da un'idea dello scrittore Dave Eggers), assieme a Frances McDormand, Rosemarie DeWitt, Scoot McNairy, Titus Welliver e Hal Holbrook. Le loro storie sono inserite nello scenario di una piccola comunità americana che si oppone alle mire di una multinazionale e, dunque, deve fare i conti, in definitiva, con le conseguenze della crisi economica globale. "L'America è un Paese grande e a volte - racconta Gus Van Sant - è difficile definire quale sia la nostra identità. Ciò che ho amato della sceneggiatura di Matt e John è il modo nel quale hanno affrontato grandi temi, ma con umorismo e umiltà, raccontando storie di persone reali, con tutte le loro debolezze e la loro grandezza".
Come si comprende facilmente già dal titolo e dall'argomento affrontato (simile a quelli cantati nel recente album "Wrecking Ball"), "Promised Land" è un film intimamente springsteeniano, realizzato peraltro da un autore che ha numerosi punti di contatto con la poetica di Bruce. Il rapporto è stato reso esplicito dalla sequenza di un duello al karaoke. "Nel copione originale - spiega Matt Damon - avevo scritto che non avevo alcuna intenzione di cantare il karaoke. Però, ci serviva una scena nella quale il personaggio di John appare e persuade i cittadini. Ed è molto più facile farlo con una canzone. In particolare, che cosa c'è di meglio di una canzone di Bruce Springsteen?". Il brano in questione è "Dancing in the Dark", che l'autore ha concesso gratuitamente. "La cosa più divertente - aggiunge John Krasinski - è stata scrivere indicazioni di regia come "Questo personaggio è tremendo al karaoke". E l'aspetto più eccitante è stato proprio che, dopo tutto ciò, non c'era più bisogno di una particolare abilità nel canto. Poi, quando abbiamo tirato fuori "Dancing in the Dark" di Bruce Springsteen, abbiamo subito realizzato che era la canzone perfetta, davvero fenomenale".
C'è anche un'altro momento di "Promised Land" che pare fatto apposta per rendere evidente il debito d'ispirazione nei confronti dell'universo springsteeniano: a un certo punto, infatti, c'è una sequenza nella quale Bruce Springsteen viene menzionato durante un dialogo tra i protagonisti. A ulteriore conferma di quanto il rapporto tra Springsteen e il cinema continui a essere fecondo e produttivo e di quanto la settima arte, in particolar modo se deve raccontare l'America oggi, continui a prendere da Bruce e dalla sua poetica.

sabato 15 dicembre 2012

A NAPOLI, SECONDA GIORNATA DI "COME ERAVAMO"


Seconda giornata, oggi sabato 15 dicembre al PAN – Palazzo delle Arti di Napoli (via dei Mille, 60), per il corso di formazione della FICC, la Federazione Italiana dei Circoli del Cinema, intitolato “Come eravamo. Il documentario antropologico italiano”.
Il programma si apre alle 11 con la proiezione del documentario “Midnight Bingo” (2011, 27’) di Antonio Longo. A seguire, incontro col regista e con Corrado Morra, presidente della scuola di cinema Pigrecoemme, che produce il lavoro.
Nel pomeriggio, alle 15.30, si vedrà il documentario dedicato al cinema di Luigi Di Gianni – il decano del “cinema del reale” italiano, ospite d’onore della manifestazione – dal titolo “La malattia dell’arcobaleno” (2006, 48’) di Simone Del Grosso, prodotto dal Circolo FICC Cinemaedarte e da Logic Film. Alle 17.30, quindi, presentazione del libro “Rapporto confidenziale. Luigi Di Gianni: cinema e vita”, con interventi dell’autore Enzo Lavagnini, dello stesso Di Gianni e di Pasquale Iaccio, Marco Asunis, Vincenzo Esposito, Diego Del Pozzo. Alle 19, la giornata si concluderà con una selezione di documentari classici diretti da Luigi Di Gianni: “Magia lucana” (1958, 18’); “La punidura” (1959, 12’); “Il male di San Donato” (1965, 10’); “La potenza degli spiriti” (1968, 18’); “La Madonna del Pollino” (1971, 18’).
Di Gianni, uno tra i maestri del cinema documentario italiano, è autore di una serie di film, in particolar modo quelli realizzati tra il 1958 e il 1971, che rappresentano un corpus unico nella storia del cinema italiano e, al tempo stesso, uno straordinario esempio di ricerca antropologica – applicata soprattutto alle tradizioni e ai luoghi del Mezzogiorno d’Italia – filtrata attraverso la sensibilità poetica dell’autore. Basti pensare all’esordio “Magia lucana” del 1958, arricchito dalla consulenza scientifica del grande antropologo Ernesto De Martino e premiato a Venezia in quello stesso anno.
“Come eravamo” – organizzata dalla FICC, in collaborazione con la Cineteca sarda, Pigrecoemme e le associazioni culturali Blackout e Porte Invisibili Media – si concluderà domani mattina presso la sede della scuola di cinema Pigrecoemme (piazza Portanova, 11). L’ingresso a tutte le attività è gratuito fino a esaurimento dei posti.

venerdì 14 dicembre 2012

DA OGGI A DOMENICA, A NAPOLI, "COME ERAVAMO"


Da oggi, venerdì 14, a domenica 16 dicembre, Napoli ospita il corso di formazione annuale della FICC, la Federazione Italiana dei Circoli del Cinema, la più longeva associazione di cultura cinematografica in Italia, fondata nel 1947 con lo scopo di salvaguardare e promuovere il patrimonio culturale cinematografico con particolare riferimento a quello italiano. I partecipanti arrivano da tutta Italia per assistere alle proiezioni e agli incontri in programma e per confrontarsi sul tema scelto per l’edizione di quest’anno, intitolata “Come eravamo. Il documentario antropologico italiano”.
Ospite d’onore della rassegna è il regista Luigi Di Gianni, uno tra i maestri del cinema documentario italiano, autore di una serie di film, in particolar modo quelli realizzati tra il 1958 e il 1971, che rappresentano un corpus unico nella storia del cinema italiano e, al tempo stesso, uno straordinario esempio di ricerca antropologica – applicata soprattutto alle tradizioni e ai luoghi del Mezzogiorno d’Italia – filtrata attraverso la sensibilità poetica dell’autore. Basti pensare all’esordio “Magia lucana” del 1958 (nella foto), arricchito dalla consulenza scientifica del grande antropologo Ernesto De Martino e premiato a Venezia in quello stesso anno.
“Come eravamo” – organizzata dalla FICC, in collaborazione con la Cineteca sarda, Pigrecoemme e le associazioni culturali Blackout e Porte Invisibili Media – propone, oltre ai film di Di Gianni (la cui opera sarà approfondita anche da un convegno, dalla presentazione del libro “Rapporto confidenziale. Luigi Di Gianni: cinema e vita” di Enzo Lavagnini e dal documentario “La malattia dell’arcobaleno” di Simone Del Grosso), anche una ricca selezione dei documentari antropologici di Vittorio De Seta (a cura della Mediateca Santa Sofia) e di Florestano Vancini (a cura della Fedic) e le proiezioni del recente “Midnight Bingo” (2011) di Antonio Longo (prodotto da Pigrecoemme) e dello storico “La taranta” (1962) di Gianfranco Mingozzi.
Le giornate di venerdì 14 e sabato 15 si svolgeranno presso il PAN (via dei Mille, 60), mentre domenica mattina la manifestazione si concluderà nella sede della scuola di cinema Pigrecoemme (in piazza Portanova, 11). L’ingresso a tutte le attività è gratuito fino a esaurimento dei posti.
Ecco il programma completo di “Come eravamo. Il documentario antropologico italiano”.
• 14 dicembre, PAN Palazzo delle Arti di Napoli.
Ore 12.00: Iscrizione al corso di formazione FICC (partecipazione gratuita e aperta a tutti).
Ore 15.30: Presentazione del corso. Interventi di Marco Asunis, Vincenzo Esposito, Pasquale Iaccio. Modera Diego Del Pozzo.
Ore 16.30: Omaggio a Luigi Di Gianni. Proiezione del documentario “La Madonna in cielo la “Matre” in terra” (2006, 53’) di Luigi Di Gianni. Incontro con il regista e dibattito.
Ore 18.00: Proiezione dei documentari di Vittorio De Seta “Lu tempu de li pisci spata” (1954, 11’), “Isole di fuoco” (1954, 11’), “Sulfarara” (1956, 10’). Presenta Francesco Napolitano (Mediateca Santa Sofia del Comune di Napoli).
Ore 19.00: “Florestano Vancini e autori Fedic alla ricerca della realtà umana anni ’50 e ’60”, a cura di Paolo Micalizzi. Proiezioni: “Tre canne un soldo” (1954, 10’) di Florestano Vancini; “Uomini soli” (1959, 17’) di Florestano Vancini; “Uomini del Delta” (1964, 12’) di Medini, Bonetti, Ferretti, Micalizzi (Cineclub Fedic Ferrara); “Roccadoria” (1961, 15’) di Scanu, Fara, Bredo (Cineclub Fedic Sassari).
• 15 dicembre, PAN Palazzo delle Arti di Napoli.
Ore 11.00: Proiezione del documentario “Midnight Bingo” (2011, 27’) di Antonio Longo. Incontro con il regista. Presenta Corrado Morra, presidente della Scuola di cinema Pigrecoemme di Napoli.
Ore 15.30: Proiezione del documentario sul cinema di Luigi Di Gianni “La malattia dell’arcobaleno” (2006, 48’) di Simone Del Grosso, prodotto dal Circolo FICC Cinemaedarte e da Logic Film.
Ore 17.30: Presentazione del libro “Rapporto confidenziale. Luigi Di Gianni: cinema e vita”. Intervengono l’autore Enzo Lavagnini, Luigi Di Gianni, Pasquale Iaccio, Marco Asunis, Vincenzo Esposito. Modera Diego Del Pozzo.
Ore 19.00: Proiezione dei documentari di Luigi Di Gianni: “Magia lucana” (1958, 18’); “La punidura” (1959, 12’); “Il male di San Donato” (1965, 10’); “La potenza degli spiriti” (1968, 18’); “La Madonna del Pollino” (1971, 18’). Incontro con il regista e dibattito.
• 16 dicembre, Scuola di cinema Pigrecoemme.
Ore 11.00: Proiezione del documentario “La taranta” (1962, 18’) di Gianfranco Mingozzi. Presenta Paolo Micalizzi.
Ore 11.30: Un bilancio sui tre anni di corsi di formazione della FICC dedicati al documentario. Intervento conclusivo di Vincenzo Esposito.
Ore 13.30: Chiusura dei lavori.

venerdì 7 settembre 2012

INTERVISTA (AGOSTANA) A LEONARDO DI COSTANZO

Questa che gli ho fatto a inizio agosto è la prima intervista rilasciata da Leonardo Di Costanzo sul suo film "L'intervallo", che in questi giorni ha riscosso grande successo alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Buona lettura. (d.d.p.)
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Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 6 agosto 2012)

Dopo una carriera da documentarista capace di consacrarlo tra gli autori più rilevanti del “cinema del reale” europeo, il regista napoletano Leonardo Di Costanzo esordisce nel cinema di finzione alla prossima Mostra di Venezia, dove sarà presentato in anteprima, nella sezione Orizzonti, il suo L’intervallo, che verrà poi distribuito nelle sale il 5 settembre da Cinecittà Luce. Scritto assieme a Maurizio Braucci e Mariangela Barbanente, "è un racconto di amore spezzato e poesia calpestata, attraverso il quale – spiega Di Costanzo – ho voluto narrare le difficoltà di essere adolescenti nella periferia violenta di una metropoli contemporanea. L’ambientazione è napoletana, ma potrebbe essere ovunque vi sia una situazione di coercizione, in Iran come in un collegio svizzero, poiché in realtà la storia è universale".
Leonardo Di Costanzo sul set con i suoi attori
Di che parla, dunque, L’intervallo?
"Di un ragazzo e una ragazza, Salvatore e Veronica, rinchiusi all’interno di un enorme edificio abbandonato di un quartiere popolare, dove l’uno deve sorvegliare l’altra: lei è la prigioniera, mentre lui è obbligato dal capoclan di zona a fare da carceriere. Malgrado la giovane età, entrambi sono troppo cresciuti, ma in realtà restano vittime di una situazione più grande di loro. Col trascorrere delle ore, l’ostilità reciproca si trasforma in inevitabile intimità, fatta di scoperte e confessioni. Così, tra le mura di quel luogo isolato e spaventoso, Veronica e Salvatore trovano un loro modo di riaccendere sogni e suggestioni di un’adolescenza messa troppo in fretta da parte".
Quasi tutto il film si regge sulle spalle di due giovani interpreti non professionisti, Alessio Gallo e Francesca Riso, che lei ha selezionato al termine di un processo lungo e articolato. Com’è andata?
"Quando abbiamo iniziato a scrivere, ci è apparso subito chiaro che avremmo dovuto pensare la sceneggiatura in modo da lasciare poi spazio agli attori, affinché la adattassero a sé, arricchendo i caratteri e le vicende col loro vissuto e la loro lingua. Perciò, fin dall’inizio, ho deciso che i due protagonisti sarebbero stati non professionisti. Grazie alla collaborazione del Teatro Stabile di Napoli e attraverso scuole e associazioni di educatori, ho incontrato circa 200 adolescenti di quartieri popolari napoletani e, con l’aiuto di Antonio Calone e Alessandra Cutolo, ne ho selezionati una dozzina, più o meno sei coppie di possibili protagonisti. Abbiamo lavorato con questi ragazzi per oltre tre mesi, senza mai mettere mano alla sceneggiatura. E, soltanto quando le scelte si erano ristrette a due coppie, abbiamo iniziato a lavorare sul testo, traducendo in napoletano i dialoghi e raccogliendo le suggestioni degli attori, che li hanno arricchiti e resi più aderenti al loro mondo".
Qual è stato l’elemento più complesso di questo metodo di lavoro?
"La cosa più difficile del lungo laboratorio di coaching per la recitazione improvvisata non è stata soltanto individuare i più bravi, ma anche quelli con la chimica migliore tra di loro, poiché sulla loro relazione si regge l’intero film. E poi, essendo adolescenti non professionisti, dovevamo assicurarci che fossero in grado di assumersi questo impegno gravoso fino in fondo con impegno e disponibilità, proprio come poi hanno fatto Francesca e Alessio".
Lei oggi vive tra Parigi e Napoli, ma ha deciso di girare l’intero film nella sua città d’origine.
"Che, però, si percepisce da lontano, poiché L’intervallo è girato quasi integralmente all’interno dell’ex ospedale psichiatrico “Leonardo Bianchi”, un insediamento di 200mila metri quadrati, realizzato nel Diciannovesimo secolo e ormai abbandonato da anni. Anche la presenza della camorra è intesa come elemento di coercizione sul territorio, ma la storia avrei potuto ambientarla tranquillamente ovunque nel mondo".
Com’è maturato il passaggio dal documentario alla finzione e quali differenze ha riscontrato tra queste due modalità di cinema?
"Mi sembrava che fosse il momento giusto per affidarmi a personaggi “esterni”. Rispetto al documentario è tutto più difficile: devi coinvolgere subito tante altre persone e, soprattutto, devi essere a conoscenza di ogni minimo dettaglio, col rischio di perdere la capacità di farti sorprendere dalla realtà circostante. Anche stavolta, comunque, ho lasciato intatta la mia curiosità nei confronti di quella dimensione inesauribile di ispirazione che è il reale, con enorme fiducia nelle sue infinite possibilità narrative".

martedì 28 agosto 2012

INTERVISTA AL REGISTA LEE SANG-WOO

Di Diego Del Pozzo 
(Il Mattino - 15 agosto 2012)
 
Lee Sang-woo
La cinematografia sudcoreana s’è imposta, a cavallo tra secondo e terzo millennio, come una tra le più vivaci e vitali dell’intero panorama internazionale. Sulla scia del clamore suscitato dai film di un maestro scomodo come Kim Ki-duk – il controverso autore di pellicole “di culto”, distribuite anche in Italia, come “L’isola”, “Ferro 3 – La casa vuota” o “Time” – il cinema della Corea del Sud ha saputo fare incetta di riconoscimenti nei festival più prestigiosi, trovando anche spazio sul mercato globale, grazie allo stile originale dei suoi molti cineasti di talento ma, soprattutto, alla schiettezza e alla rabbia con la quale sanno affrontare temi estremamente scomodi, troppo spesso rimossi nei film occidentali. E tra gli autori di punta della “nuova onda” sudcoreana c’è il quarantunenne Lee Sang-woo, detto “l’orco del cinema indipendente”, autore in passato di titoli maledetti come “Mother is a Whore” (2010) e “Father is a Dog” (2011) e vincitore, qualche settimana fa, della sezione più prestigiosa del Giffoni Experience – quella, cioè, dedicata ai ragazzi di età superiore ai 18 anni – col duro e poetico “Barbie”, possibile caso cinematografico della seconda metà del 2012, già opzionato da numerosi altri festival europei.
Apologo amarissimo sulla forza inarrestabile del “sogno americano” e denuncia della tragedia del traffico di bambini dalle nazioni più povere dell’Estremo Oriente all’Occidente per utilizzarne gli organi vitali in chirurgia, “Barbie” racconta di un medico americano che arriva in Corea con la figlia tredicenne (la Barbie del titolo) per comprare sul mercato nero, da uno zio senza scrupoli, l’inconsapevole Soon-young, la cui sorella minore innamorata degli Stati Uniti prova a prenderne il posto per andare a vivere nel Paese dei suoi sogni. Purtroppo, però, le due ragazzine coreane ignorano il terribile motivo dell’accordo tra lo zio e il medico statunitense. “Ma “Barbie” – spiega Lee Sang-woo – è un film non tanto sulla realtà profondamente infelice delle adozioni illegali, quanto sulla maniera giusta di vivere e sulla dignità umana. Ancora non so come si deve vivere, ma so quanto è difficile vivere degnamente”.
Una scena di "Barbie" (2011)
Ma come mai ha deciso di affrontare un argomento così scomodo?
“Si tratta di una storia vera accaduta in Corea nel 1989. All’epoca ero poco più che un ragazzino e mi colpì molto, così oggi ho deciso di affrontarla e trasformarla in film. E poi, anche se nel mio Paese certe cose non avvengono più, purtroppo sono ancora molto comuni in altre nazioni più povere del Sud-Est asiatico. Dunque, ritengo che parlarne possa essere importante”.
Lei è noto per la crudezza tematica e il rigore stilistico dei suoi film. Come riesce a realizzarli senza censure?
“Io giro con budget bassissimi, riesco a finanziarmi da solo e posso mantenere totale autonomia su temi e stile. Di solito, procedo così: per 7-8 mesi all’anno ho un impiego regolare col quale guadagno ciò che poi utilizzerò per il film, di solito tra i 5.000 e i 6.000 dollari; quindi, chiedo un permesso dal lavoro e giro in poche settimane, senza fermarmi quasi mai, con ritmi intensissimi che un paio di volte mi hanno persino fatto collassare sul set. Paradossalmente, proprio per “Barbie” ho trovato per la prima volta un finanziamento esterno, circa 10.000 dollari, ma sono riuscito a mantenere piena libertà”.
Com’è il momento attuale dell’industria cinematografica sudcoreana, mentre in Occidente la crisi è sempre più forte?
“In Corea e, più in generale, in Asia il cinema è ancora il principale passatempo per una larga fascia della società. Dunque, l’industria è forte, con finanziamenti pubblici, anche se io non ne usufruisco, sostegno per la distribuzione all’estero e per la partecipazione ai festival internazionali. Dopo la vittoria a Giffoni, per esempio, “Barbie” uscirà in Corea e Giappone a metà settembre, ma il distributore internazionale sta lavorando anche per una possibile uscita in Italia e nel resto d’Europa, dopo ulteriori passaggi nei festival”.
Lei è prolifico come il suo celebre collega Kim Ki-duk, capofila del “nuovo cinema coreano”, col quale ha collaborato per “Time” e “Breathe”. Sta già lavorando a un nuovo progetto?
“Dopo “Barbie” ho già girato un altro film, intitolato “Fire in Hell”, passato a giugno in concorso al festival di Mosca: è una storia di karma su un monaco buddista scomunicato e il suo incontro con la gemella della donna che ha assassinato. E tra qualche mese inizierò le riprese di un dramma sulla felicità: sarà il mio film più commerciale”.

mercoledì 25 luglio 2012

SUCCESSO ANCHE A GIFFONI PER "IL CINEMA SECONDO SPRINGSTEEN"


In un’edizione contrassegnata dal connubio tra cinema e rock, bel successo al Giffoni Experience per la presentazione del libro “Il cinema secondo Springsteen” curato dal giornalista e saggista Diego Del Pozzo e dallo storico del cinema Vincenzo Esposito. Assieme ai due curatori, è intervenuto all’incontro anche il direttore del festival internazionale di cinema per ragazzi, Claudio Gubitosi, che ha sottolineato come il volume, edito da Quaderni di Cinemasud nella nuova collana “visionirock” (240 pagine, 12 euro), sia “il primo al mondo che analizza in maniera organica ed esaustiva tutte le sfaccettature del rapporto tra un rocker straordinario come Bruce Springsteen e l’universo del cinema”.
Arriva il momento della conferenza stampa giffonese
In tal senso, Springsteen si conferma come un caso unico, per il rapporto profondo e originale che lo lega alla settima arte: sia per l’influenza che il patrimonio culturale del cinema americano ha esercitato sulla sua scrittura estremamente “visiva”, sia anche per come egli stesso ha saputo ispirare tanti film e cineasti con autentici “pezzi di immaginario” derivanti dalla sua produzione (basti pensare, tra le tante, a pellicole come “Lupo solitario” di Sean Penn o “The Wrestler” di Darren Aronofski con Mickey Rourke). “Quella tra Bruce e il cinema – hanno spiegato Del Pozzo ed Esposito – è una relazione fortemente empatica e assolutamente paritaria, fatta di un “prendere” dal cinema ma anche di un generoso “dare” all’immaginario popolare americano”.
Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito al Giffoni Experience dopo la presentazione del libro
“Il cinema secondo Springsteen”, dopo la prefazione del critico cinematografico Valerio Caprara, propone i lunghi saggi dei due curatori seguiti da altri tre contributi di Antonio Tricomi, Fabio Maiello e Corrado Morra. Tra le pagine del volume, scorrono uno dopo l’altro titoli di film che hanno segnato in profondità l’immaginario springsteeniano e la sua scrittura, come “Furore” e “Sentieri selvaggi” di John Ford, il noir “Thunder Road” o “Badlands” di Terrence Malick, il poliziesco “Cop Land” o il neo-western “Le tre sepolture”.
Diego Del Pozzo e Patti Smith mentre sfogliano assieme una copia del libro "Il cinema secondo Springsteen"
E sempre al Giffoni Experience una copia del volume, con tanto di dedica, è stata regalata anche a una storica amica e sodale di Springsteen, che anni fa le regalò il classico “Because the Night”: Patti Smith, headliner del Neapolis Festival – da quest’anno in partnership con la kermesse giffonese – e protagonista di un'intensissima masterclass con i giovani giurati.

giovedì 12 luglio 2012

ESCLUSIVA "IL MATTINO": E SE I TAVIANI E DE SIMONE...

Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 12 luglio 2012)

Roberto De Simone e Vittorio Taviani a Ischia
L’incontro all’Ischia Global 2012 tra due eccellenze della cultura italiana come Vittorio Taviani e Roberto De Simone fa riemergere dalle nebbie del tempo il progetto mancato di un film tratto da “La gatta cenerentola”. Mentre si abbracciano sulla terrazza del Regina Isabella, infatti, l’autore di “Cesare deve morire” apostrofa il musicologo napoletano: “Come stai? Non ci vediamo da più di vent’anni. Da quella volta che hai dato buca a me e a mio fratello Paolo”. Di fronte alla perplessità di De Simone (“Quale buca? Non ricordo”), Taviani svela l’arcano: “Ci eravamo incontrati perché volevamo fare un film dalla tua bellissima opera. Ne parlammo e tu ci dicesti di sì. Dopo un po’, però, cambiasti idea e ci spiegasti anche il perché: avevi paura che, se avessimo fatto il film, “La gatta cenerentola” sarebbe diventata nostra e non più tua. Così, purtroppo, non se ne fece più nulla”.
Vittorio Taviani e De Simone sono tra i premiati di ieri sera, assieme a Monica Bellucci. Prima, grande successo per “Cesare deve morire” sul maxischermo a picco sul mare della baia antistante il Regina Isabella. “Mi dispiace – dice commosso Taviani, rivolto al pubblico – che non possano essere qui con noi stasera anche gli interpreti del film, perché detenuti nel carcere di Rebibbia. Con loro, io a Paolo abbiamo vissuto una straordinaria esperienza, artistica e umana”.
In quanto a Roberto De Simone, nemmeno l’atmosfera rilassata della kermesse prodotta da Pascal Vicedomini riesce a fargli dimenticare le polemiche di questi giorni, dopo che il Comune di Portici ha anticipato quello di Napoli, trovandogli finalmente una sede per la casa-museo-laboratorio che la sua città natale non è mai riuscita a dargli. Sull’argomento, il compositore taglia corto e ribadisce: “Non voglio più avere niente a che fare con l’amministrazione comunale di Napoli”.

martedì 10 luglio 2012

ISCHIA GLOBAL 2012: INTERVISTA A VIRGINIA MADSEN

Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 10 luglio 2012)

Virginia Madsen occupa un posto speciale nei cuori dei cinefili, grazie al personaggio della sensuale e diabolica Dolly Harshaw interpretata nel 1990 nel torbido thriller erotico “The Hot Spot – Il posto caldo”, diretto da Dennis Hopper. Negli anni, però, la bionda attrice originaria di Chicago, da ieri ospite dell’Ischia Global Film & Music Fest (che la premierà sabato sera), ha saputo ritagliarsi un proprio spazio nella galassia hollywoodiana, resistendo al mutare delle stagioni e delle mode, alternando ruoli per il piccolo e il grande schermo, spesso affidandosi ad autori come Francis Ford Coppola (“L’uomo della pioggia”), Alexander Payne (“Sideways”, che le vale la candidatura all’Oscar nel 2005), Robert Altman (“Radio America”), Rob Reiner, che l’ha diretta nel recente “The Magic of Belle Isle”, in anteprima italiana sabato sera nella baia del Regina Isabella di Lacco Ameno alla presenza del regista e della protagonista.
"The Hot Spot - Il posto caldo" (1990)
Di che parla, Virginia, questo suo nuovo film?
Racconta una originale storia d’amore tra il mio personaggio e quello di Morgan Freeman: lui è un uomo che ha deciso di lasciarsi morire affogando nell’alcool; io sono una donna divorziata che ha rinunciato a vivere e si è chiusa in se stessa. Il nostro incontro provocherà la rinascita di entrambi e, soprattutto, bloccherà la spirale autodistruttiva nella quale ci stavamo calando. Sul set l’esperienza è stata davvero magnifica, in un clima da vera famiglia, con i nostri figli presenti alle riprese e con Rob e Morgan che cantavano in continuazione, in particolare brani del mio amato Frank Sinatra”.
Lei sarà premiata sabato sera a Ischia, ma nel suo futuro c’è anche un film da girare poco distante, a Capri. Di che si tratta?
E’ un progetto della mia amica Maria Grazia Cucinotta, che conosco da sette anni e con la quale, finalmente, avrò l’occasione di lavorare insieme. Il titolo è “Road to Capri” e noi saremo due mamme, io tipicamente americana e lei italiana, amiche tra loro e che hanno avuto due figli da uno stesso uomo, interpretato da Giancarlo Giannini. Gireremo a Capri e in altre parti d’Italia, con la regia di Boris Damast, ma la produzione deve chiudere ancora il resto dei finanziamenti e, dunque, tutto è rinviato al 2013”.
A cosa altro sta lavorando, invece, in questo periodo?
Ho appena terminato “The Hot Flashes” di Susan Seidelman, una storia ambientata nell’universo del basket femminile che interpreto accanto a Brooke Shields, Daryl Hannah, Camryn Manheim. Sarà in anteprima a Toronto a settembre. Nell’immediato futuro, poi, mi piacerebbe lavorare con qualche regista europeo, in particolare francese o italiano, anche se il mio sogno sarebbe recitare per un maestro del passato come Vittorio De Sica. Ne parlo spesso con mio fratello Michael, che è buon amico del regista americano che preferisco attualmente, cioè Quentin Tarantino”.
In effetti, suo fratello Michael Madsen è uno tra gli attori-feticcio di Tarantino. Non avete mai pensato di recitare assieme, magari proprio in un film diretto dall’autore di “Pulp Fiction” e “Kill Bill”?
Ci pensiamo continuamente, ma finora non è ancora capitata la sceneggiatura giusta. Una sola volta ci aveva quasi convinto una storia nella quale avremmo dovuto essere marito e moglie. Ma poi ci siamo resi conto che non avremmo proprio potuto farcela senza metterci a ridere”.
"The Hot Spot - Il posto caldo" (1990)
Ripensa mai al film-svolta della sua carriera, il torbido “The Hot Spot – Il posto caldo” di Dennis Hopper?
Considero un privilegio aver partecipato a quel film e, soprattutto, aver potuto lavorare con un grande come Dennis. All’epoca ci fu molto scandalo per le scene di nudo e per l’erotismo che ne permeava l’atmosfera; e io stessa sono stata criticata molte volte per avervi recitato, mentre per me è sempre stato un onore e, anzi, sono fiera di essere ricordata ancora oggi per quel ruolo così coraggioso. Purtroppo, questi giudizi bigotti sono indicativi del clima che si respira a Hollywood da un po’ di tempo a questa parte”.
Com’è, dunque, la situazione del cinema hollywoodiano, negli anni della “nuova grande depressione”?
La crisi colpisce soprattutto il cinema indipendente e i progetti più coraggiosi e personali, che diventano sempre più difficilmente realizzabili. Non è un caso, allora, che sempre più cineasti e interpreti si cimentino con le serie televisive, soprattutto quelle più sperimentali prodotte dai canali via cavo come Hbo: lì, infatti, ci sono più libertà creativa, più voglia di osare e, cosa fondamentale dal mio punto di vista, più ruoli da protagoniste per le donne, a differenza di quanto avviene oggi a Hollywood”.

martedì 12 giugno 2012

PER SPRINGSTEEN, CANTANDO SOTTO LA PIOGGIA

Di Roberto Alajmo
(Il Mattino - 12 giugno 2012)

Just Singin' in the Rain...
Come ci sei arrivato in mezzo al diluvio? Tu sei una persona di mezza età, che ascolta Mozart e soffre a stare in mezzo alla folla. Eppure in questo momento sei solo uno dei quarantamila bagnati fradici che ascoltano l’ironia di «Who’ll stop the rain», canto che sale fino al cielo di Firenze e rimane inascoltato.
È una lunga storia, che comincia trentacinque anni fa, quando qualcuno ti fece sentire il disco di quello che definivano l’erede di Bob Dylan. Da allora vi siete un po’ persi di vista, ma Bruce Springsteen è rimasto uno di quei compagni di scuola che incontrare è una festa. Uno di quelli che la vita ha mandato su un altro binario, e pazienza. O forse sei tu quello che è finito su un binario diverso, perché a vederlo strizzato in quella maglietta dalle maniche troppo corte - lui, Springsteen - pare sempre uguale a se stesso. Il motivo per cui sei al concerto di Firenze si trova accanto a te, si chiama Arturo e idealmente si colloca a metà strada sulla linea di tempo dei trentacinque che ti separano da quel primo ascolto: è nato diciassette anni fa ed è tuo figlio.
Arturo si trova nel pieno di quell’età in cui per convincerlo a partire con un genitore bisogna ricorrere a trucchi anche un po’ meschini. Allettarlo con due biglietti per il concerto di Springsteen, ammettilo, è stato un trucco. In ogni caso, ha funzionato, perché Springsteen è un classico moderno che piace a entrambi. Ora che siete lì, ti rendi conto di non essere nemmeno tanto originale, visto che sei circondato di coppie formate da padri e figli. Facile immaginare che molte di queste strane coppie hanno una storia simile alla vostra.
Non dovete sembrare tanto eccentrici o patetici, se il vicino, poco prima che il concerto cominci, vi ha offerto una canna. Arturo ti guarda, e nella sua esitazione di un attimo tu ti rendi conto che quell’oggetto non gli è sconosciuto: ciò che normalmente ti avrebbe scandalizzato e che invece, in questa serata extratemporale ti sembra un po’ meno preoccupante di quanto dovrebbe.
Tutta colpa di questo signore sessantatreenne che corre e salta come un grillo canterino, si butta a corpo morto in mezzo alla folla, esce in continuazione da sotto la copertura del palco a prendere la stessa pioggia del suo popolo. E quando alla fine di «Born in the Usa» allarga le braccia e solleva il volto sfidando la pioggia ad occhi chiusi, tu finisci di capire che Springsteen non è soltanto musica. È proprio una questione fisica, legata al suo corpo eroico, che dal vivo si offre sprigionando un portento che è difficile immaginare se non lo si vede coi propri occhi, oltre che sentire con le orecchie. Questo è Springsteen, in questo consiste la miscela di furore e leggerezza che lo rendono leggendario: musica che assume consistenza carnale.

Certo, c’entra anche la pioggia, che è cominciata proprio sulle prime note della E Street Band ed è andata rinforzando progressivamente fino a rendere inutili ombrelli e impemeabili, convincendo tutto il pubblico a scaldarsi solo a forza di adrenalina. Dopo due ore di concerto scatta il chissenefrega della pioggia. Dopo tre, l’eroe sul palco chiede al popolo se per caso ne ha abbastanza, e la risposta è un tuono di quarantamila no. Arriva allora il pezzo che aspettavi dall’inizio, il primo che hai conosciuto di Springsteen: «Born to run». E tu a quel punto dimentichi te stesso e sei solo un attimo in mezzo al susseguirsi delle generazioni, ma accanto a te c’è Arturo e questo basta a renderti felice. Lo abbracci, e anche lui ti abbraccia: il miracolo dell’abbraccio da parte di tuo figlio diciassettenne. A quel punto il diluvio è una risorsa, perché ti consente di nascondere una lacrimuccia. Fa bene piangere, di tanto in tanto. E almeno per i prossimi diciassette anni, tu puoi dire di essere a posto.

lunedì 4 giugno 2012

IL CINEMA SECONDO SPRINGSTEEN: IL SERVIZIO DELL'ANSA

Mentre Bruce Springsteen sta per arrivare in Italia col suo Wrecking Ball Tour per le tre attesissime date di Milano (giovedì), Firenze (domenica) e Trieste (lunedì), un nuovo libro approfondisce, per la prima volta al mondo in maniera così organica e strutturata, il rapporto tra il "Boss" e il cinema: rapporto saldissimo e al di sopra di ogni sospetto, se si pensa semplicemente alla scelta di aprire anche i concerti del nuovo tour sulle note di tanti celebri western cinematografici, a partire da quelli, da lui amatissimi, musicati da Ennio Morricone per Sergio Leone.
Il libro s'intitola "Il cinema secondo Springsteen" (240 pagine, 12 euro) - con chiaro riferimento allo storico saggio cinefilo di Francois Truffaut "Il cinema secondo Hitchcock" - e lo hanno curato il giornalista e saggista Diego Del Pozzo e lo storico del cinema Vincenzo Esposito per il marchio Quaderni di Cinemasud delle edizioni irpine Mephite come primo titolo della collana editoriale "visionirock". Ed è interessante che lo studio arrivi proprio dalla Campania (dov'è stato presentato in anteprima nei giorni scorsi, al Palazzo delle Arti di Napoli, durante l'omonima manifestazione culturale), a conferma del saldo legame di Springsteen con una regione nella quale si trova parte delle proprie origini familiari (la mamma, Adele Zirilli, è figlia di due emigranti di Vico Equense, in Costiera sorrentina).
Nel loro libro, Del Pozzo ed Esposito esplorano la relazione affascinante e complessa tra il rocker del New Jersey e la Settima Arte, non riducibile alla sola presenza dell'artista nei film, in veste di attore o autore di brani da colonna sonora, come nei casi di Elvis Presley, Beatles, Rolling Stones, Bob Dylan o David Bowie. "No, il suo caso - spiegano i due curatori del volume - è diverso. Diremmo, addirittura unico. Innanzitutto, perché unica nel panorama della popular music contemporanea è la profondità della traccia più immediatamente individuabile: cioè, quella riguardante la "musica ispirata dal cinema", che nel suo caso non si limita a una specifica relazione diretta tra le canzoni e alcuni film di riferimento, ma investe, più in generale, una buona parte del patrimonio culturale del cinema americano, inteso in tutte le sue declinazioni. Poi, però, a rendere ancora più sfuggente e complessa la materia, c'è la consapevolezza di quanto Springsteen stesso abbia, nel corso dei decenni, influenzato tanto cinema americano con "pezzi di immaginario" direttamente riconducibili alla sua produzione artistica". Il rapporto tra il rocker e il cinema, dunque, è fortemente empatico e si sviluppa, in particolar modo nella seconda parte della carriera, in maniera quantomeno paritaria, tra un continuare a "prendere" dal cinema e un "dare" all'immaginario popolare americano.
"Il cinema secondo Springsteen", dopo la prefazione del critico cinematografico Valerio Caprara, si apre con i lunghi saggi di Vincenzo Esposito ("Bruce Springsteen e l'immaginario cinematografico americano (1973-1990)") e Diego Del Pozzo ("Di diavoli e di polvere. Springsteen e il cinema americano della Nuova Grande Depressione"), dedicati alle due fasi della carriera del "Boss": il primo dagli esordi alla fine degli anni Ottanta (con approfondimento dei meccanismi di ricezione della "emotion machine" cinematografica), il secondo dall'album "Tunnel of Love" al recente "Wrecking Ball", con particolare enfasi posta sulle dinamiche socio-culturali che consentono a Springsteen, dalla metà degli anni Novanta in poi, di diventare un punto di riferimento per il cinema e, più in generale, per l'intera cultura e società americane. Nelle dense analisi dei due curatori, scorrono l'uno dopo l'altro titoli di film che hanno segnato in profondità l'immaginario springsteeniano e la sua scrittura (per esempio, "Furore" e "Sentieri selvaggi" di John Ford, il noir "Thunder Road" o "Badlands" di Terrence Malick), ma anche altri più o meno direttamente ispirati dall'arte del musicista (da "Lupo solitario" di Sean Penn al poliziesco "Cop Land", dal neo-western "Le tre sepolture" al dolente "The Wrestler" con Mickey Rourke). Ma c'è ampio spazio, naturalmente, pure per l'Oscar vinto nel 1994 per la canzone "Streets of Philadelphia" inclusa in "Philadelphia" di Jonathan Demme e per gli altri brani originali composti per il cinema.
Nella sua parte centrale, il libro presenta due contributi di Antonio Tricomi (sui videoclip, spesso "d'autore", che hanno contribuito a dare ulteriore forza visiva alle canzoni) e Fabio Maiello (sulla centralità delle liriche nell'universo della "Springsteen Soundtrack"), mentre la sezione conclusiva (un lungo saggio di Corrado Morra, presidente della Scuola di cinema Pigrecoemme di Napoli) indaga, con approccio critico innovativo, sull'evoluzione dell'Icona Springsteen nel corso dei decenni a partire dalle immagini delle copertine dei suoi album. Completano il libro filmografie e videografie finali, oltre alla dettagliata bibliografia.
Fonte: Ansa.

domenica 3 giugno 2012

IL CINEMA SECONDO SPRINGSTEEN: IL LIBRO



IL CINEMA SECONDO SPRINGSTEEN

A cura di Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito

240 pagine, 12 euro

Pubblicato da Quaderni di Cinemasud per Mephite Edizioni


Con contributi di Fabio Maiello, Corrado Morra, Antonio Tricomi
Prefazione di Valerio Caprara

Primo titolo della nuova collana editoriale “visionirock”, diretta da Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito

Quarta di copertina
Il rapporto tra Bruce Springsteen e il cinema è affascinante e complesso. E non può essere ridotto alla presenza del rocker del New Jersey nei film, in veste di attore o autore di brani da colonna sonora, come accade per Elvis, Beatles, Rolling Stones, Dylan o Bowie. Il caso di Springsteen è diverso, persino unico, per la profonda influenza che il patrimonio culturale del cinema americano ha esercitato sulla sua scrittura estremamente “visiva”; ma anche per come egli stesso ha ispirato tanti film e cineasti con “pezzi di immaginario” derivanti dalla sua produzione. Si è di fronte, dunque, a un rapporto fortemente empatico e assolutamente paritario, fatto di un “prendere” dal cinema ma anche di un generoso “dare” all’immaginario popolare americano. Il libro curato da Del Pozzo ed Esposito ne ripercorre le tappe e, con ulteriori approfondimenti (Tricomi e Maiello) e un’ampia analisi iconologica (Morra), ne restituisce la ricchezza e l’assoluta originalità.

I curatori
Diego Del Pozzo, giornalista e critico, è autore del libro Ai confini della realtà. Cinquant’anni di telefilm americani (Torino, 2002) e dei testi del volume fotografico di Gianni Fiorito Scenari. Dieci anni di cinema in Campania (Napoli, 2006). Ha curato con Vincenzo Esposito Rock Around the Screen (Napoli, 2009). Ha pubblicato numerosi saggi in volumi collettivi, enciclopedie, cataloghi di festival, riviste specializzate. Collabora col quotidiano Il Mattino e fa parte del comitato editoriale della rivista Quaderni di Cinemasud.
Vincenzo Esposito, storico del cinema, è autore di una monografia su Alf Sjöberg (Roma, 1998) e di un libro sul cinema svedese, La luce e il silenzio (Napoli, 2001). Ha curato con Diego Del Pozzo il volume Rock Around the Screen (Napoli, 2009). Ha pubblicato molti saggi in volumi collettivi e riviste specializzate. Dirige l’Italian Film Festival di Stoccolma. Insegna Teoria e Analisi del Cinema all’Accademia di Belle Arti di Napoli.

Sommario
  • Prefazione di Valerio Caprara
  • Introduzione
  • Vincenzo Esposito, Bruce Springsteen e l’immaginario cinematografico americano (1973-1990)
  • Diego Del Pozzo, Di diavoli e di polvere. Springsteen e il cinema americano della “Nuova Grande Depressione”
  • Antonio Tricomi, Video, Family and Friends
  • Fabio Maiello, Soundtrack Springsteen: musica e liriche per lo schermo
  • Corrado Morra, Darkness on the Edge of Tune. Per un’iconologia di Bruce Springsteen
  • Filmografie e videografie
  • Bibliografia
  • Schede degli autori

venerdì 1 giugno 2012

IL CINEMA SECONDO SPRINGSTEEN: ULTIMI FILM, MA LA MOSTRA VA AVANTI...

Si conclude oggi, venerdì 1 giugno, nella FilmZone del Pan - Palazzo delle Arti di Napoli, il programma di proiezioni della rassegna "Il cinema secondo Springsteen", curata da Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito e dedicata al rapporto, profondo e originalissimo, tra il Boss e la Settima Arte.
La giornata conclusiva propone alle 16, il capolavoro western di John Ford, "The Searchers" ("Sentieri selvaggi", 1956), film amatissimo da Bruce Springsteen. E alle 18 chiusura affidata a "The Indian Runner" ("Lupo solitario", 1991), esordio alla regia di Sean Penn, che riprende la trama del brano "Highway Patrolman" inserito nell'album "Nebraska". L'ingresso è gratuito.
La parte espositiva de "Il cinema secondo Springsteen", però, prosegue. In considerazione del notevole successo, infatti, è stata prorogata fino a domenica alle ore 14 la mostra intitolata "Like a Vision", prodotta dall'associazione culturale Pink Cadillac Music. L'esposizione, per la prima volta in Italia, illustra la natura e la complessità della relazione "a doppio senso" tra Springsteen e il cinema attraverso riproduzioni di poster e locandine. La prima sezione è intitolata "Il cinema e Springsteen" ed è dedicata a quei film che, per esplicita dichiarazione dell'artista, ne hanno alimentato l'immaginario, a partire dai classici degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta - noir, western, i capolavori di Capra, Ford, Kazan - fino a opere degli anni Settanta come "L'ultimo spettacolo" di Bogdanovich, "Badlands" di Malick e i lavori di Scorsese. La seconda sezione, "Springsteen per il cinema", presenta i film per i quali il rocker del New Jersey ha scritto espressamente brani originali, da "Philadelphia" di Jonathan Demme a "Dead Man Walking" di Tim Robbins fino al più recente "The Wrestler" vincitore a Venezia nel 2008. Menzione particolare merita "The Indian Runner" ("Lupo Solitario") di Sean Penn, ispirato al testo di "Highway Patrolman", caso forse unico di lungometraggio tratto integralmente da una canzone.
La terza sezione, "Springsteen nel cinema", è una selezione di film, (tra quasi una settantina di pellicole) particolarmente significativi, nei quali i registi (da Kenneth Branagh a Spike Lee, tra i tanti) hanno voluto canzoni di Springsteen nei titoli di testa o di coda, per sottolineare passaggi cruciali o ancora per delineare personaggi e ambientazioni. Un caso a parte è costituito da "Alta Fedeltà", col celebre cameo di Bruce che interpreta se stesso, apparendo in sogno al protagonista. La quarta sezione è quella dei rockumentaries sulla produzione discografica o live di Springsteen e su quella di altri artisti nei quali vi è la sua partecipazione: documentazione quanto mai vasta, per la quale si é resa necessaria una drastica selezione, fino a includere lo storico "No Nukes" del 1980, ma anche i recenti "Wings for Wheels" (2005) e "The Promise" (2011), i due "making of" di Thom Zimny dedicati ai due capolavori springsteeniani degli anni Settanta: "Born to Run" e "Darkness on the Edge of Town".
"Il cinema secondo Springsteen" prende titolo e taglio dall'omonimo libro, a cura sempre di Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito, presentato in anteprima al Pan durante la giornata inaugurale della rassegna, organizzata dalla Scuola di cinema, televisione e fotografia Pigrecoemme, in collaborazione con l'associazione culturale Blackout, il Centro regionale Ficc Campania e l'associazione culturale Pink Cadillac Music, col patrocinio dell'Assessorato alla Cultura e al turismo del Comune di Napoli.
Fonte: Ansa.

giovedì 31 maggio 2012

PROSEGUE AL PAN DI NAPOLI "IL CINEMA SECONDO SPRINGSTEEN"

Prosegue domani, giovedì 31 maggio, nella FilmZone del Pan - Palazzo delle Arti di Napoli, la rassegna "Il cinema secondo Springsteen", curata da Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito e dedicata al rapporto, profondo e originalissimo, tra il Boss e la Settima Arte.
Il programma della seconda giornata propone, alle 16, la proiezione del classico di John Ford "The Grapes of Wrath" ("Furore", 1940), tratto dal romanzo di John Steinbeck e ripreso più volte da Springsteen nel corso della carriera, fino a quell'autentico sequel che è "The Ghost of Tom Joad". Alle 18, quindi, tocca a "Badlands" ("La rabbia giovane", 1973) di Terrence Malick, fonte d'ispirazione per il titolo del brano omonimo incluso nell'album "Darkness on the Edge of Town" e per la title track di "Nebraska". Nei giorni e negli orari della manifestazione, è possibile visitare anche la mostra di locandine e manifesti springsteeniani "Like a Vision", curata dall'associazione culturale Pink Cadillac. L'ingresso è gratuito.
"Il cinema secondo Springsteen" è anche un libro, a cura sempre di Del Pozzo ed Esposito, presentato in anteprima al Pan durante la giornata inaugurale della rassegna, organizzata dalla Scuola di cinema, televisione e fotografia Pigrecoemme, in collaborazione con l'associazione Blackout, il Centro regionale Ficc Campania e l'associazione Pink Cadillac, col patrocinio dell'Assessorato alla Cultura e al turismo del Comune di Napoli.

Fonte: Ansa.

giovedì 24 maggio 2012

IL CINEMA SECONDO SPRINGSTEEN (NAPOLI, 30/5 - 1/6)


In attesa di vederlo esibirsi dal vivo durante le tre tappe italiane del “Wrecking Ball Tour” (Milano, 7 giugno; Firenze, 10 giugno; Trieste, 11 giugno), gli appassionati di Bruce Springsteen e degli affascinanti intrecci tra cinema e rock avranno pane per i loro denti già a fine mese. Al Pan – Palazzo delle Arti di Napoli, infatti, è in programma, da mercoledì 30 maggio a venerdì 1 giugno, “Il cinema secondo Springsteen”, manifestazione dedicata al rapporto, profondo e originalissimo, tra il Boss e la Settima Arte, analizzato attraverso una serie di proiezioni, incontri tematici, l’anteprima del libro omonimo e una mostra. Il tutto a ingresso gratuito.
Organizzato dalla Scuola di cinema, televisione e fotografia Pigrecoemme, in collaborazione con l’associazione Blackout, il Centro regionale Ficc Campania e l’associazione Pink Cadillac, col patrocinio dell’Assessorato alla Cultura e al turismo del Comune di Napoli, l’evento ha la direzione artistica di Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito, curatori di un volume omonimo che sarà presentato in apertura di rassegna e sarà poi in libreria da inizio giugno, come titolo inaugurale della nuova collana “visionirock” (curata sempre da Del Pozzo ed Esposito), pubblicata sotto il marchio “Quaderni di Cinemasud” per le edizioni Mephite.
“Il rapporto tra Bruce Springsteen e il cinema – spiegano i due curatori – è affascinante e complesso. E non può essere ridotto alla presenza nei film, in veste di attore o autore di brani da colonna sonora, come accade per Elvis, Beatles, Rolling Stones, Dylan o Bowie. Il caso di Springsteen è diverso, persino unico, per la profonda influenza che il patrimonio culturale del cinema americano ha esercitato sulla sua scrittura estremamente “visiva”; ma anche per come egli stesso ha ispirato tanti film e cineasti con “pezzi di immaginario” derivanti dalla sua produzione: si è di fronte, dunque, a una relazione fortemente empatica e assolutamente paritaria, fatta di un “prendere” dal cinema ma anche di un generoso “dare” all’immaginario popolare americano”.
La rassegna si aprirà mercoledì 30, alle ore 16, con la presentazione del volume “Il cinema secondo Springsteen”, a cura di Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito. Alle 18, sarà proiettato il film “Thunder Road” (“Il contrabbandiere”), diretto da Arthur Ripley nel 1958 e interpretato da Robert Mitchum: si tratta del road movie noir che ha ispirato direttamente il titolo di una tra le canzoni più famose del rocker del New Jersey.
Giovedì 31, alle ore 16, proiezione del classico di John Ford “The Grapes of Wrath” (“Furore”, 1940), tratto dal romanzo di John Steinbeck e ripreso più volte da Springsteen nel corso della carriera, fino a quell’autentico sequel che è “The Ghost of Tom Joad”. Alle ore 18, quindi, toccherà a “Badlands” (“La rabbia giovane”, 1973) di Terrence Malick, fonte d’ispirazione per il titolo del brano omonimo incluso nell’album “Darkness on the Edge of Town” e per la title track di “Nebraska”.
La giornata conclusiva di venerdì 1 giugno proporrà, alle ore 16, un altro capolavoro (stavolta western) di John Ford, “The Searchers” (“Sentieri selvaggi”, 1956), film amatissimo da Springsteen. Alle 18, infine, chiusura affidata a “The Indian Runner” (“Lupo solitario”, 1991), esordio alla regia di Sean Penn, che riprende la trama del brano “Highway Patrolman” inserito nell’album “Nebraska”.
Nei giorni e negli orari della manifestazione, infine, sarà possibile visitare la mostra di locandine e manifesti springsteeniani “Like a Vision”, curata dall’associazione Pink Cadillac.


PROGRAMMA

Mercoledì 30 maggio
Ore 16.00: Presentazione del libro Il cinema secondo Springsteen, a cura di Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito, Quaderni di Cinemasud.
Ore 18.00: Proiezione del film Thunder Road (Il contrabbandiere); regia di Arthur Ripley (Usa, 1958), con Robert Mitchum, Keely Smith, James Mitchum, Sandra Knight (durata: 92 min.).
Giovedì 31 maggio
Ore 16.00: Proiezione del film The Grapes of Wrath (Furore); regia di John Ford (Usa, 1940), con Henry Fonda, Jane Darwell, John Carradine, Charley Grapewin (durata: 119 min.).
Ore 18.00: Proiezione del film Badlands (La rabbia giovane); regia di Terrence Malick (Usa, 1973), con Martin Sheen, Sissy Spacek, Warren Oates, Ramon Bieri (durata: 93 min.).
Venerdì 1 giugno
Ore 16.00: Proiezione del film The Searchers (Sentieri selvaggi); regia di John Ford (Usa, 1956), con John Wayne, Jeffrey Hunter, Vera Miles, Ward Bond (durata: 119 min.).
Ore 18.00: Proiezione del film The Indian Runner (Lupo solitario); regia di Sean Penn (Usa, 1991), con Viggo Mortensen, Dave Morse, Valeria Golino, Patricia Arquette (durata: 127 min.).
Nei giorni e negli orari della manifestazione è possibile visitare, nelle sale antistanti la FilmZone del PAN, la mostra di locandine e manifesti springsteeniani Like a Vision, curata dall’associazione Pink Cadillac.


Info: Pigrecoemme – www.pigrecoemme.com, 081/5635188
Facebook: www.facebook.com/cinespringsteen
Blog: http://rockaroundthescreen.blogspot.it

mercoledì 28 marzo 2012

SECONDO APPUNTAMENTO CON "ROCK AROUND THE SCREEN"

Dopo una settimana di pausa, riprende domani, giovedì 29 marzo, nella rinnovata sala proiezioni del Pan - Palazzo delle arti di Napoli (via dei Mille, 60), la programmazione di Rock Around the Screen. Storie di cinema e musica pop, la rassegna cinematografica a cura di Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito dedicata agli affascinanti intrecci tra gli universi del cinema e del rock.
Il ciclo di rock movies, inserito nell'ambito della manifestazione Filmzone - Storia permanente del cinema, si ricollega idealmente ai temi analizzati all'interno dell'omonimo volume curato da Del Pozzo ed Esposito e pubblicato l'anno scorso da Liguori.Per il suo secondo appuntamento, Rock Around the Screen. Storie di cinema e musica pop propone i seguenti film: Ore 15 - il travolgente Chuck Berry - Hail! Hail! Rock n' Roll! (1987) di Taylor Hackford (120 min.); Ore 17 - il nostalgico e divertente ritratto d'epoca Quasi famosi - Almost Famous (2000) di Cameron Crowe (119 min.); Ore 19 - il capolavoro del genere rockumentary Gimme Shelter (1970) di Albert e David Maysles e Charlotte Zweryn, con i Rolling Stones al loro meglio (nella foto), immortalati durante il tragico concerto dello Altamont Speedway (91 min.).
Tutti i film sono proiettati in lingua originale con sottotitoli in italiano. L'ingresso è gratuito.
Rock Around the Screen. Storie di cinema e musica pop proseguirà giovedì 5 e giovedì 12 aprile, sempre dalle ore 15 e sempre con tre film alla volta.
Filmzone - Storia permanente del cinema è promossa dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli e organizzata dalla Mediateca Santa Sofia, dalla Scuola di cinema Pigrecoemme e da Marcello Sannino.
Fonte: Ansa.