domenica 29 marzo 2009

BREVI CENNI SU PHILIP DICK E IL REALE

Di Diego Del Pozzo

Col senno di poi - cioè dopo aver conosciuto il "Cyberpunk", la "Reality Tv", quasi trent'anni di cinema hollywoodiano (e non solo), i territori immateriali di Internet e della Realtà Virtuale, le campagne mediatiche tipiche del nostro tempo - è possibile considerare Philip K. Dick come lo scrittore che, a partire dalla sua originalissima e provocatoria visione della fantascienza, ha segnato indelebilmente l'immaginario a cavallo tra secondo e terzo millennio.
L'ossessione tematica che fa da filo conduttore dell'intera sua opera, infatti, può essere sintetizzata in un'unica, basilare domanda: "Cos'è reale?". E nel suo inevitabile, spaventoso corollario: "Cos'è umano?". Il "problema del reale" viene declinato da Dick attraverso la presenza, nei suoi romanzi e racconti, di realtà mutevoli sempre pronte a disgregarsi da un momento all'altro, non appena emerge ciò che si cela "dietro il velo".
Appare ovvio - spostando l'attenzione sulla seconda domanda – che anche la realtà psichica dei personaggi di Dick è soggetta a repentini mutamenti, magari dovuti a semplici e minimi spostamenti del loro punto di vista o allo smascheramento di un impianto mnemonico artificiale.
L'esempio perfetto arriva da quella che lo stesso scrittore definisce "[...] una delle poche idee originali con cui ho contribuito alla fantascienza. […] Ossia che un tizio possa essere un androide senza saperlo". Questa innovazione al concetto asimoviano di androide appare, per la prima volta, in un racconto del 1953, "Impostore", tradotto in italiano da Fanucci nell'antologia Rapporto di minoranza e altri racconti; in seguito, essa sarà ripresa tante altre volte dall'autore, come nel celebre romanzo del 1968 Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, che ispirerà il film di Ridley Scott Blade Runner (1982) e, più o meno indirettamente, una infinità di successive pellicole hollywoodiane su/con inconsapevoli robot umanissimi e umani robotizzati.
Insomma, per Dick l'androide non imita l'uomo perché, da più di un punto di vista, è già (più che) umano. E attraverso i "suoi" simulacri Dick "pre-sente", negli anni Cinquanta e Sessanta, la crisi epocale delle nozioni di individuo e di soggetto tipica dei giorni nostri.