Una sua serie tv, per esempio, l'ha avuta pure Wonder Woman, la principale icona femminile del DC Universe, eroina creata nel 1941 da Charles Moulton sulle pagine della testata All-Star Comics. Le origini del personaggio si rifanno, piuttosto liberamente, alla mitologia greca, con l'immortale amazzone Diana che abbandona l'Isola del Paradiso per vivere nel mondo moderno (gli Stati Uniti), accanto all'amato tenente dell'aviazione americana Steve Trevor. La principessa delle amazzoni, dunque, assume l'identità di Diana Prince per combattere il male grazie alla sua forza e agilità e con l'ausilio di "simpatici gadget" come un aereo invisibile, un braccialetto antiproiettile e un lazo magico.
Dopo un disastroso TV movie del 1973 - con il ruolo della protagonista affidato a una Cathy Lee Crosby in tenuta sportiva - il personaggio di Wonder Woman conosce la definitiva consacrazione catodica grazie alla serie che va in onda a partire dal 21 aprile 1976 sulla CBS (ma già il 7 novembre dell'anno precedente il network aveva trasmesso il convincente film pilota). Il telefilm andrà avanti per cinquantanove episodi, fino al 1979, conquistandosi un consistente zoccolo duro di appassionati, nonostante una qualità poco più che sufficiente. Buona parte del merito va, senz'altro, all'attrice che dà volto alla principessa Diana: la statuaria e affascinante Linda Carter, già famosa come Miss Usa e Miss Mondo al momento dell'inizio dello show. Praticamente identica all'iconografia classica del personaggio cartaceo, infatti, la Carter riesce a sembrare autentica perfino nel ridicolo costume di scena che è costretta a indossare. Le molte sequenze d'azione, invece, sono affidate alla collaudata "stunt-woman" Jeannie Epper.
L'elemento più interessante e a suo modo addirittura rivoluzionario della serie Wonder Woman (Id., 1976) può essere rintracciato sicuramente nell'evidente rovesciamento di ruoli tra eroe e "bella" da salvare: qui, infatti, è quasi sempre Diana a correre in aiuto dell'amato Steve Trevor (interpretato dall'attore Lyle Waggoner), bravissimo a mettersi nei guai e perennemente bisognoso di interventi salvifici.
All'inizio degli anni Novanta, poi, un altro importante supereroe, ancora appartenente alla "scuderia" della DC Comics, approda in televisione con una serie tutta sua: si tratta del "Fulmine scarlatto" (dal colore del suo costume), l'uomo più veloce del mondo, protagonista del breve ma decisamente riuscito telefilm Flash (The Flash, 1990), prodotto dalla Warner Bros. sulla scia del grande successo incontrato dal Batman cinematografico di Tim Burton. La serie, ideata da Danny Bilson e Paul De Meo, si giova - non per caso - di atmosfere oscure simili a quelle del film burtoniano e, soprattutto, delle musiche affidate al musicista preferito dal grande regista di Beetlejuice e Ed Wood, cioè il riconoscibilissimo Danny Elfman.
Questa ottima serie, dunque, viene trasmessa sulle frequenze della CBS dal settembre 1990 al maggio 1991, preceduta da un notevole episodio pilota costato ben sei milioni di dollari. Purtroppo, però, a causa di una scelta di programmazione davvero demenziale - viene messa in concorrenza diretta con I Simpson - non ottiene il successo auspicato e viene cancellata dopo i ventidue episodi della prima e unica stagione. Peccato, perché Flash resta certamente una tra le migliori trasposizioni televisive da un fumetto supereroistico, grazie al design complessivo, alle sceneggiature interessanti (spesso scritte anche da importanti fumettisti come Gardner Fox e Howard Chaykin), ai riusciti effetti speciali (che si difendono ancora oggi) e al buon livello degli interpreti. A indossare il costume di Flash e i più comuni abiti del suo alter ego Barry Allen, infatti, c'è un attore di primo livello come John Wesley Shipp, mentre Amanda Pays ricopre il ruolo della dottoressa Tina McGee, una scienziata che conosce l'identità segreta di Allen e che cerca di aiutarlo a controllare il suo superpotere. La serie - che segue, come detto, gli stilemi del "fanta-action" di qualità medio-alta - è ambientata a Central City, dove il velocissimo supereroe aiuta la polizia locale a fronteggiare il crimine e, per conto proprio, si oppone alle mire di potere di alcuni supercriminali, come l'arcinemico Trickster (che ha il volto di Mark Hamill).
Tra gli episodi più riusciti, va segnalato quello, raffinatamente metalinguistico, che propone il ritorno in scena di colui che fungeva da "superprotettore" di Central City prima di Flash, durante gli anni Cinquanta: un eroe afroamericano che si fa chiamare L'ombra della notte (e questo è anche il titolo italiano dell'episodio, mentre quello originale è Ghost in the Machine). A un certo punto, l'uomo, ormai piuttosto avanti con l'età, spiega al giovane Barry Allen il bello del loro "lavoro": "L'emozione della notte, la paura della maschera dipinta sul volto dei criminali. Scusa, devo aver letto - si affretta, però, ad aggiungere, con amara ironia - troppi fumetti di supereroi. Ma tu sai cosa voglio dire". E, in chiusura dell'episodio, cerca di far capire a un Flash sempre più sfiduciato quale possa essere il modo più sano per gestire la sua doppia esistenza: "La maschera che indossi - gli dice - è solo un costume. Non ti rende un uomo migliore di quello che sei". Conta, insomma, chi si cela sotto quella maschera. La breve serie può essere ancora recuperata in videoteca, grazie al cofanetto Warner di quattro dvd, contenenti tutti i ventidue episodi andati in onda.