sabato 30 ottobre 2010
venerdì 29 ottobre 2010
I CATTOLICI SCARICANO IL PREMIER "VIZIOSO"
Di Giorgio Vecchiato
(Famiglia Cristiana - 29 ottobre 2010)
(Famiglia Cristiana - 29 ottobre 2010)
L'ultima bufera su Berlusconi e la sua corte di ragazze sta provocando ondate di reazioni, una diversa dall'altra. C'è chi, con linguaggio sprezzante, lo esorta a dimettersi. Chi già apertamente lo insulta nelle rubriche tv, con termini da trivio. Chi vede solo l'aspetto etico e chi tenta analisi politiche a freddo, interrogandosi sulle conseguenze. Chi tende a ingigantire e chi tenta di arginare: però nel secondo caso, vedi stampa di destra, con titoloni su tutta la prima pagina. Per una vicenda che si voleva sopire, strana tecnica. E siamo solo all'inizio. Come sa chi ha un minimo di esperienza sul gossip e le sue diramazioni, aspettiamoci il peggio.
Fra tutte queste reazioni ne manca una che faticheremmo a definire, qualcosa che sta fra la tristezza civile e la pietà umana. Non assistiamo soltanto a una tegola sulla testa del Berlusconi politico, primo ministro in carica e aspirante al Quirinale. Né stavolta si può parlare di complotto giudiziario, o tanto meno poliziesco. Semmai, fino a ieri, prevaleva la circospezione. Il fatto è che esistono testimonianze, alcune opinabili ma altre, ahimè, documentate, che creano un duplice ordine di problemi. Uno, ovviamente, è politico: la credibilità, meglio ancora la dignità, dell'uomo che governa il Paese; i riflessi sulla vita nazionale e sui rapporti con l'estero; l'esempio che dall'alto viene trasmesso ai normali cittadini. I quali non si sognano né trasgressioni né festini, ma da oggi dovranno abituarsi alle variazioni pecorecce sul "bunga bunga".
L'altro problema, da valutare come se Berlusconi fosse un tizio qualunque, è la condizione che già la moglie, Veronica Lario, aveva pubblicamente segnalato. Uno stato di malattia, qualcosa di incontrollabile anche perché consentito, anzi incoraggiato, dal potere e da enormi disponibilità di denaro. Si sa che Berlusconi è un generoso, non lesina su aiuti e ricompense. Ma quale tipo di aiuti, e ricompense per che cosa? Incredibile che un uomo di simile livello e responsabilità non disponga del necessario autocontrollo. E che il suo entourage stia a guardare. E' vero che in passato abbiamo avuto personaggi di primo piano che, oggi, non l'avrebbero passata liscia. Altri tempi, però. Altro comportamento di giornali e tv. Altre cautele. O forse allora si taceva o si sminuiva un po' per prudenza, un po' per tristezza e un po', nessuno sghignazzi, per pietà.
Fra tutte queste reazioni ne manca una che faticheremmo a definire, qualcosa che sta fra la tristezza civile e la pietà umana. Non assistiamo soltanto a una tegola sulla testa del Berlusconi politico, primo ministro in carica e aspirante al Quirinale. Né stavolta si può parlare di complotto giudiziario, o tanto meno poliziesco. Semmai, fino a ieri, prevaleva la circospezione. Il fatto è che esistono testimonianze, alcune opinabili ma altre, ahimè, documentate, che creano un duplice ordine di problemi. Uno, ovviamente, è politico: la credibilità, meglio ancora la dignità, dell'uomo che governa il Paese; i riflessi sulla vita nazionale e sui rapporti con l'estero; l'esempio che dall'alto viene trasmesso ai normali cittadini. I quali non si sognano né trasgressioni né festini, ma da oggi dovranno abituarsi alle variazioni pecorecce sul "bunga bunga".
L'altro problema, da valutare come se Berlusconi fosse un tizio qualunque, è la condizione che già la moglie, Veronica Lario, aveva pubblicamente segnalato. Uno stato di malattia, qualcosa di incontrollabile anche perché consentito, anzi incoraggiato, dal potere e da enormi disponibilità di denaro. Si sa che Berlusconi è un generoso, non lesina su aiuti e ricompense. Ma quale tipo di aiuti, e ricompense per che cosa? Incredibile che un uomo di simile livello e responsabilità non disponga del necessario autocontrollo. E che il suo entourage stia a guardare. E' vero che in passato abbiamo avuto personaggi di primo piano che, oggi, non l'avrebbero passata liscia. Altri tempi, però. Altro comportamento di giornali e tv. Altre cautele. O forse allora si taceva o si sminuiva un po' per prudenza, un po' per tristezza e un po', nessuno sghignazzi, per pietà.
giovedì 28 ottobre 2010
FAUSTO BRIZZI E I SUOI "MASCHI CONTRO FEMMINE"
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 27 ottobre 2010)
(Il Mattino - 27 ottobre 2010)
Inseguirsi, incontrarsi, forse capirsi: col suo nuovo film, Maschi contro femmine, Fausto Brizzi s'interroga, con la gradevolezza tipica della commedia riuscita, sui punti di contatto e le tante differenze tra le due metà del cielo. Prodotto dalla IIF di Fulvio e Federica Lucisano e da ieri in sala distribuito in oltre seicento copie da 01 Distribution, il film è stato presentato dallo stesso Brizzi assieme ad alcuni tra gli interpreti di un cast davvero corale: Alessandro Preziosi, Fabio De Luigi, Giorgia Wurth, Nicolas Vaporidis, Sarah Felberbaum, Chiara Francini, Paolo Ruffini, presenti ieri sera all'Happy di Afragola e poi al The Space Med di Napoli.
A febbraio, in tempo per San Valentino, uscirà la pellicola gemella, Femmine contro maschi, che capovolgerà il punto di vista sul conflitto maschi-femmine. "Ho girato i due film contemporaneamente - racconta il regista e sceneggiatore già campione d'incassi con Notte prima degli esami ed Ex - con i vari personaggi che s'intrecciano e si danno il cambio, unendo i due capitoli. Per questo motivo, la lavorazione è stata molto complicata ed è durata sei mesi. Dopo la scrittura delle due sceneggiature, ho trasferito tutti gli attori in un residence a Torino, dove abbiamo provato per mesi, prima di iniziare le riprese. Sul set, poi, in molti casi abbiamo girato sequenze di questo film e, subito dopo, altre che si vedranno nel secondo".
Maschi contro femmine si apre con una frase pronunciata da Massimo Troisi alla fine della sua commedia sentimentale Pensavo fosse amore invece era un calesse: "Un uomo e una donna sono le persone meno adatte a sposarsi tra di loro". E Brizzi scherza: "Grazie a questa citazione posso dire di aver scritto un pezzettino di film nel quale è presente Troisi". Tra l'altro, sottolinea il protagonista Fabio De Luigi, "nel corso dell'anteprima romana di qualche giorno fa, quando è apparsa sullo schermo questa frase è scattato un applauso fragoroso e coinvolto, a conferma di quanto Massimo sia ancora amato". "A me - aggiunge il napoletano Alessandro Preziosi - la citazione di Troisi ha dato un'emozione fortissima. Tra l'altro, proprio lui è stato tra coloro che hanno saputo interrogarsi in maniera più profonda sul rapporto tra uomini e donne, senza mai giudicare ma cercando soltanto di capire. Da parte mia, invece, credo proprio di non essere ancora riuscito a comprendere fino in fondo le donne". Ma com'è andata, sul set, l'esperienza con la partner nel film, Paola Cortellesi? "E' stato magnifico, perché Paola sul lavoro è perfetta: addirittura aritmetica, senza mai esser fredda. Perciò, le scene tra noi due hanno funzionato tanto bene". Oltre che dalla Cortellesi e dal gruppo di attori presenti ieri sera a Napoli, Maschi contro femmine è interpretato anche da Lucia Ocone, Francesco Pannofino, Carla Signoris; con partecipazioni di Claudio Bisio, Nancy Brilli, Giuseppe Cederna, Luciana Littizzetto ed Emilio Solfrizzi, che assieme a Ficarra e Picone sono destinati ad avere maggior spazio nel sequel in uscita a febbraio.
Questo primo capitolo è imperniato, in particolare, su quattro trame intrecciate tra loro: il perenne conflitto tra un misogino latin lover interpretato da Preziosi e la sua vicina di casa progressista e ambientalista (Cortellesi); un allenatore di serie A di pallavolo femminile (De Luigi) che tradisce la moglie (Ocone) con la bella schiacciatrice della sua squadra (Wurth); la sfida tra uno studente (Vaporidis) e la sua coinquilina lesbica (Francini) per conquistare la stessa ragazza sessualmente indecisa (Felberbaum); infine, la crisi di una signora di mezza età (Signoris), tradita dal marito (Pannofino) e tentata dal ringiovanimento tramite chirurgia plastica. "Abbiamo prestato molta attenzione - conclude Fausto Brizzi - al punto di vista femminile. Perciò, assieme ai miei soliti co-sceneggiatori Marco Martani e Massimiliano Bruno, ho coinvolto una scrittrice come Pulsatilla, che mi piace molto e con la quale, ovviamente, ho litigato per tutti i nove mesi di lavorazione". Con la stessa Pulsatilla, Brizzi ha scritto il libro in uscita contemporaneamente al film (Maschi contro Femmine. L'eterna lotta del pene contro il male, Mondadori), mentre assieme a Riccardo Secchi ha sceneggiato la storia a fumetti Topolino e Minni in Muro contro Muro, disegnata da Corrado Mastantuono e pubblicata sul settimanale Topolino attualmente in edicola.
A febbraio, in tempo per San Valentino, uscirà la pellicola gemella, Femmine contro maschi, che capovolgerà il punto di vista sul conflitto maschi-femmine. "Ho girato i due film contemporaneamente - racconta il regista e sceneggiatore già campione d'incassi con Notte prima degli esami ed Ex - con i vari personaggi che s'intrecciano e si danno il cambio, unendo i due capitoli. Per questo motivo, la lavorazione è stata molto complicata ed è durata sei mesi. Dopo la scrittura delle due sceneggiature, ho trasferito tutti gli attori in un residence a Torino, dove abbiamo provato per mesi, prima di iniziare le riprese. Sul set, poi, in molti casi abbiamo girato sequenze di questo film e, subito dopo, altre che si vedranno nel secondo".
Maschi contro femmine si apre con una frase pronunciata da Massimo Troisi alla fine della sua commedia sentimentale Pensavo fosse amore invece era un calesse: "Un uomo e una donna sono le persone meno adatte a sposarsi tra di loro". E Brizzi scherza: "Grazie a questa citazione posso dire di aver scritto un pezzettino di film nel quale è presente Troisi". Tra l'altro, sottolinea il protagonista Fabio De Luigi, "nel corso dell'anteprima romana di qualche giorno fa, quando è apparsa sullo schermo questa frase è scattato un applauso fragoroso e coinvolto, a conferma di quanto Massimo sia ancora amato". "A me - aggiunge il napoletano Alessandro Preziosi - la citazione di Troisi ha dato un'emozione fortissima. Tra l'altro, proprio lui è stato tra coloro che hanno saputo interrogarsi in maniera più profonda sul rapporto tra uomini e donne, senza mai giudicare ma cercando soltanto di capire. Da parte mia, invece, credo proprio di non essere ancora riuscito a comprendere fino in fondo le donne". Ma com'è andata, sul set, l'esperienza con la partner nel film, Paola Cortellesi? "E' stato magnifico, perché Paola sul lavoro è perfetta: addirittura aritmetica, senza mai esser fredda. Perciò, le scene tra noi due hanno funzionato tanto bene". Oltre che dalla Cortellesi e dal gruppo di attori presenti ieri sera a Napoli, Maschi contro femmine è interpretato anche da Lucia Ocone, Francesco Pannofino, Carla Signoris; con partecipazioni di Claudio Bisio, Nancy Brilli, Giuseppe Cederna, Luciana Littizzetto ed Emilio Solfrizzi, che assieme a Ficarra e Picone sono destinati ad avere maggior spazio nel sequel in uscita a febbraio.
Questo primo capitolo è imperniato, in particolare, su quattro trame intrecciate tra loro: il perenne conflitto tra un misogino latin lover interpretato da Preziosi e la sua vicina di casa progressista e ambientalista (Cortellesi); un allenatore di serie A di pallavolo femminile (De Luigi) che tradisce la moglie (Ocone) con la bella schiacciatrice della sua squadra (Wurth); la sfida tra uno studente (Vaporidis) e la sua coinquilina lesbica (Francini) per conquistare la stessa ragazza sessualmente indecisa (Felberbaum); infine, la crisi di una signora di mezza età (Signoris), tradita dal marito (Pannofino) e tentata dal ringiovanimento tramite chirurgia plastica. "Abbiamo prestato molta attenzione - conclude Fausto Brizzi - al punto di vista femminile. Perciò, assieme ai miei soliti co-sceneggiatori Marco Martani e Massimiliano Bruno, ho coinvolto una scrittrice come Pulsatilla, che mi piace molto e con la quale, ovviamente, ho litigato per tutti i nove mesi di lavorazione". Con la stessa Pulsatilla, Brizzi ha scritto il libro in uscita contemporaneamente al film (Maschi contro Femmine. L'eterna lotta del pene contro il male, Mondadori), mentre assieme a Riccardo Secchi ha sceneggiato la storia a fumetti Topolino e Minni in Muro contro Muro, disegnata da Corrado Mastantuono e pubblicata sul settimanale Topolino attualmente in edicola.
martedì 26 ottobre 2010
UN DOCUMENTARIO RABBIOSO E POETICO: "IL LORO NATALE"
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 26 ottobre 2010)
(Il Mattino - 26 ottobre 2010)
Il Natale non è uguale per tutti: certamente è più amaro per chi deve fare i conti con la reclusione in carcere di un proprio caro. Le quotidianità dolenti e sfilacciate delle mogli e dei figli dei detenuti nelle carceri napoletane, con particolare riferimento proprio al periodo delle festività natalizie, sono portate alla luce nel potente documentario Il loro Natale, diretto e prodotto da Gaetano Di Vaio con la sua associazione Figli del Bronx.
Il film, accolto con successo alla Mostra di Venezia di quest'anno nella sezione Controcampo Italiano, è stato presentato presso la Fnac di Napoli dallo stesso Di Vaio assieme all'altro produttore Pietro Pizzimento, al direttore generale della Film Commission Regione Campania Maurizio Gemma, all'avvocato Domenico Ciruzzi, a Barbara Pierro del gruppo Chi Rom e Chi No, allo scrittore e attore Peppe Lanzetta e all'autore delle musiche Fabio Gargano. Prima del dibattito è stato mostrato, in anteprima, un lungo trailer del documentario. "Il film nasce - racconta Di Vaio - da una mia esigenza personale: quella di restituire alle donne della mia famiglia, mia mamma e la mia ex moglie, quello che mi hanno dato quando ho commesso i miei errori e, purtroppo, ho conosciuto personalmente il mondo del carcere. Inoltre, poiché continuavo, a distanza di anni, a imbattermi quasi tutti i giorni in storie di persone che conosco, dalle quali capivo come nulla fosse realmente migliorato nell'istituzione carceraria, ho deciso di provare a raccontare queste vicende con gli occhi di qualcuno che era riuscito a sopravvivere".
Il loro Natale propone un percorso doloroso, poetico e rabbioso attraverso storie vere di dignità e solitudini quotidiane; come quelle di Maddalena e Mariarca, Titina e Stefania, fatte di giornate trascorse a prendersi cura di casa e figli, ma scandite anche dai "riti" preparatori che portano al colloquio con i mariti reclusi, come la preparazione del "pacco" o la lunga fila per avere accesso a un momento che, poi, si esaurisce sempre troppo velocemente. "In istituti come Poggioreale o San Vittore - conclude il regista-produttore - ci sono tremila persone dove dovrebbero essercene mille. Così, nessuno può essere seguito come meriterebbe. In un simile contesto, quindi, il carcere diventa un luogo dove la dignità dell'individuo viene sistematicamente violata, dove la speranza muore e dove ci si incattivisce ancora di più. Fin quando la gente crederà che i problemi della società si risolvono con questo tipo di detenzione avremo soltanto nuovi criminali, perché se tieni la gente in cattività produci soggetti ancora più aggressivi".
Dopo l'anteprima di dicembre al teatro Mercadante di Napoli (in data ancora da definire), Il loro Natale uscirà in dvd a febbraio, distribuito da Minerva Pictures.
Il film, accolto con successo alla Mostra di Venezia di quest'anno nella sezione Controcampo Italiano, è stato presentato presso la Fnac di Napoli dallo stesso Di Vaio assieme all'altro produttore Pietro Pizzimento, al direttore generale della Film Commission Regione Campania Maurizio Gemma, all'avvocato Domenico Ciruzzi, a Barbara Pierro del gruppo Chi Rom e Chi No, allo scrittore e attore Peppe Lanzetta e all'autore delle musiche Fabio Gargano. Prima del dibattito è stato mostrato, in anteprima, un lungo trailer del documentario. "Il film nasce - racconta Di Vaio - da una mia esigenza personale: quella di restituire alle donne della mia famiglia, mia mamma e la mia ex moglie, quello che mi hanno dato quando ho commesso i miei errori e, purtroppo, ho conosciuto personalmente il mondo del carcere. Inoltre, poiché continuavo, a distanza di anni, a imbattermi quasi tutti i giorni in storie di persone che conosco, dalle quali capivo come nulla fosse realmente migliorato nell'istituzione carceraria, ho deciso di provare a raccontare queste vicende con gli occhi di qualcuno che era riuscito a sopravvivere".
Il loro Natale propone un percorso doloroso, poetico e rabbioso attraverso storie vere di dignità e solitudini quotidiane; come quelle di Maddalena e Mariarca, Titina e Stefania, fatte di giornate trascorse a prendersi cura di casa e figli, ma scandite anche dai "riti" preparatori che portano al colloquio con i mariti reclusi, come la preparazione del "pacco" o la lunga fila per avere accesso a un momento che, poi, si esaurisce sempre troppo velocemente. "In istituti come Poggioreale o San Vittore - conclude il regista-produttore - ci sono tremila persone dove dovrebbero essercene mille. Così, nessuno può essere seguito come meriterebbe. In un simile contesto, quindi, il carcere diventa un luogo dove la dignità dell'individuo viene sistematicamente violata, dove la speranza muore e dove ci si incattivisce ancora di più. Fin quando la gente crederà che i problemi della società si risolvono con questo tipo di detenzione avremo soltanto nuovi criminali, perché se tieni la gente in cattività produci soggetti ancora più aggressivi".
Dopo l'anteprima di dicembre al teatro Mercadante di Napoli (in data ancora da definire), Il loro Natale uscirà in dvd a febbraio, distribuito da Minerva Pictures.
sabato 23 ottobre 2010
UN PREMIO "AL FEMMINILE" PER UN BEL FILM GRECO
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 23 ottobre 2010)
(Il Mattino - 23 ottobre 2010)
Col suo secondo film da regista, dopo l'esordio del 2000 The Slow Business of Going, la regista greca Athina Rachel Tsangari s'è particolarmente distinta quest'anno alla Mostra del Cinema di Venezia, dove il suo Attenberg ha portato a casa la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile, attribuito alla protagonista, l'attrice francese Ariane Labed, per il ruolo di Marina. E proprio questo personaggio complesso e sfaccettato, costantemente oscillante tra repulsione e fascinazione nei confronti del genere umano, è valso al film anche il Premio Lina Mangiacapre, storico riconoscimento "di genere" ideato e animato per anni dalla compianta artista napoletana, prima come Premio Elvira Notari e poi, dal 2003, col suo stesso nome.
Ieri sera, Athina Rachel Tsangari, accompagnata da Teresa Mangiacapre, la sorella di Lina, ha ritirato il premio a Napoli, nel corso della cerimonia organizzata dall'associazione Le tre ghinee/Nemesiache presso il Blu di Prussia. "Sono particolarmente soddisfatta - sottolinea la regista - perché ho ricevuto questo premio per il personaggio del mio film e non, come avviene di solito in casi simili, per il fatto di essere una regista donna. Poi, stavolta la soddisfazione è doppia, perché il personaggio di Marina presenta forti tratti autobiografici e, infatti, l'ho sviluppato passo dopo passo assieme ad Ariane che l'ha interpretato".
Attenberg è un algido spaccato della vita di Marina, ragazza ventitreenne un po' infantile e solitaria, alle prese con la scoperta di una sessualità che non riesce proprio a vivere in modo spontaneo, tanto da non sapere se le piacciono gli uomini, le donne o nessuno dei due. Le sole persone con le quali riesce a vivere un rapporto autentico sono l'amica Bella e il padre, malato terminale, col quale ha un legame saldissimo e assieme al quale trascorre parecchio tempo a guardare i documentari di sir David Attemborough, dal cui cognome storpiato deriva il titolo della pellicola. "Proprio il rapporto padre-figlia - aggiunge la regista - è al centro del film, poiché a me interessava soprattutto mostrare come l'influenza patriarcale potesse determinare lo sviluppo dell'esistenza di una giovane donna. I tratti autobiografici della storia, tra l'altro, sono rafforzati dalla scelta di girare nei luoghi dove ho vissuto i miei primi sette anni di vita".
Il film di Athina Rachel Tsangari, che sulla scia della Coppa Volpi conquistata a Venezia uscirà in diverse nazioni europee, non ha ancora un distributore italiano. "Ma nei prossimi giorni - conclude l'autrice greca - lo mostreremo nella sezione mercato del Festival di Roma e lì la situazione potrebbe sbloccarsi".
Attenberg è un algido spaccato della vita di Marina, ragazza ventitreenne un po' infantile e solitaria, alle prese con la scoperta di una sessualità che non riesce proprio a vivere in modo spontaneo, tanto da non sapere se le piacciono gli uomini, le donne o nessuno dei due. Le sole persone con le quali riesce a vivere un rapporto autentico sono l'amica Bella e il padre, malato terminale, col quale ha un legame saldissimo e assieme al quale trascorre parecchio tempo a guardare i documentari di sir David Attemborough, dal cui cognome storpiato deriva il titolo della pellicola. "Proprio il rapporto padre-figlia - aggiunge la regista - è al centro del film, poiché a me interessava soprattutto mostrare come l'influenza patriarcale potesse determinare lo sviluppo dell'esistenza di una giovane donna. I tratti autobiografici della storia, tra l'altro, sono rafforzati dalla scelta di girare nei luoghi dove ho vissuto i miei primi sette anni di vita".
Il film di Athina Rachel Tsangari, che sulla scia della Coppa Volpi conquistata a Venezia uscirà in diverse nazioni europee, non ha ancora un distributore italiano. "Ma nei prossimi giorni - conclude l'autrice greca - lo mostreremo nella sezione mercato del Festival di Roma e lì la situazione potrebbe sbloccarsi".
mercoledì 20 ottobre 2010
COMICS: LA DC CHIUDE L'ETICHETTA WILDSTORM
Di Raffaele De Fazio
La DC Comics ha iniziato una ristrutturazione societaria tesa a svecchiare l'ottuagenario colosso editoriale per meglio competere con i principali concorrenti.
La prima conseguenza è lo spostamento di tutte le divisioni cine-televisive e video-ludiche a Los Angeles, dove il trend del momento, il cine-fumetto, la fa da padrone e dove, soprattutto, la concorrente Marvel continua a inanellare successi cinematografici. Praticamente, la Warner ha deciso che è arrivato il momento di sfruttare al meglio l'enorme bagaglio di personaggi a propria disposizione, prima che la Disney metta in campo tutta la sua potenza per fare altrettanto con gli eroi Marvel che, in questo momento, sono ancora "appaltati" un po' a tutte le grandi case cinematografiche e non ancora distribuiti direttamente dal colosso di Burbank.
La seconda conseguenza della nuova politica di casa DC riguarda, poi, la divisione fumetti, confermata nella sede di Broadway a New York, ma interessata da una seria e profonda ristrutturazione, della quale fanno le spese l'etichetta online Zuda e, soprattutto, la Wildstorm, l'etichetta fondata da Jim Lee in seno all'Image nel 1992 e successivamente venduta proprio alla DC nel 1999. Spiace dirlo, ma da alcuni mesi era abbastanza inguardabile la sezione di anteprime a loro dedicata dal catalogo Previews: ormai, infatti, vi spiccavano soltanto le licenze tratte dai videogiochi e dai telefilm, mentre la sezione dedicata all'universo supereroistico creato da Jim Lee e dai suoi collaboratori andava avanti per inerzia, dimentica dei fasti del passato.
Sì, perché in passato, tra le varie sotto-etichette create dai fondatori dell'Image, proprio la Wildstorm era sempre stata la più attiva, sfornando vere e proprie pietre miliari che hanno portato il fumetto supereroistico verso nuovi orizzonti. Sarebbe impossibile, per esempio, non citare Authority tra i principali fattori di cambiamento nell'approccio degli sceneggiatori ai supereroi, ma sarebbe altresì impossibile non nominare serie straordinarie come Planetary, Astro City, Sleeper, Global Frequency, ExMachina, l'intera linea ABC che riportò Alan Moore al fumetto mainstream consentendogli di sfornare quel piccolo capolavoro che è Promethea o quell'idea semplice ma in definitiva geniale che è League of Extraordinary Gentlemen. Ma non voglio dimenticare nemmeno i successi considerati oggi minori, ma che all'epoca rappresentarono una vera tempesta per il mercato a stelle e strisce, come la linea Cliffhanger o testate come Gen13 di Campbell che ridefinì il genere "super-giovanilistico". E non voglio dimenticare nemmeno la linea Homage, che fu per alcuni anni la casa di quei progetti creator-owned che poco si integravano con le realtà pre-esistenti quali Vertigo e Dark Horse, ma che seppero proporre un nuovo approccio a un fumetto che fosse di alta vendibilità, con creatori di ottimo livello e, al tempo stesso, ampiamente entertaining, facendo emergere anche serie già esistenti ma considerate di nicchia come Strangers in Paradise e The Maxx.
"E quei personaggi ora che fine faranno?", vi starete chiedendo. Non temete. Come preannunciato sulla maxiserie 52, l'universo Wildstorm è diventato Terra 50 del nuovo Multiverso DC e, quindi, prima o poi i personaggi che lo abitano ritorneranno anche loro, appena i vertici DC troveranno un'idea che valga la pena di essere raccontata con quegli stessi personaggi. I tre guru della DC, Dan DiDio, Geoff Johns e lo stesso Jim Lee, lo danno per certo: questi personaggi avranno ancora una lunga vita editoriale.
Ma, in ongi caso, non posso non rimpiangere un po' di quella verve che la Wildstorm portò al mercato Usa nel decennio che va concludendosi.
La prima conseguenza è lo spostamento di tutte le divisioni cine-televisive e video-ludiche a Los Angeles, dove il trend del momento, il cine-fumetto, la fa da padrone e dove, soprattutto, la concorrente Marvel continua a inanellare successi cinematografici. Praticamente, la Warner ha deciso che è arrivato il momento di sfruttare al meglio l'enorme bagaglio di personaggi a propria disposizione, prima che la Disney metta in campo tutta la sua potenza per fare altrettanto con gli eroi Marvel che, in questo momento, sono ancora "appaltati" un po' a tutte le grandi case cinematografiche e non ancora distribuiti direttamente dal colosso di Burbank.
La seconda conseguenza della nuova politica di casa DC riguarda, poi, la divisione fumetti, confermata nella sede di Broadway a New York, ma interessata da una seria e profonda ristrutturazione, della quale fanno le spese l'etichetta online Zuda e, soprattutto, la Wildstorm, l'etichetta fondata da Jim Lee in seno all'Image nel 1992 e successivamente venduta proprio alla DC nel 1999. Spiace dirlo, ma da alcuni mesi era abbastanza inguardabile la sezione di anteprime a loro dedicata dal catalogo Previews: ormai, infatti, vi spiccavano soltanto le licenze tratte dai videogiochi e dai telefilm, mentre la sezione dedicata all'universo supereroistico creato da Jim Lee e dai suoi collaboratori andava avanti per inerzia, dimentica dei fasti del passato.
Sì, perché in passato, tra le varie sotto-etichette create dai fondatori dell'Image, proprio la Wildstorm era sempre stata la più attiva, sfornando vere e proprie pietre miliari che hanno portato il fumetto supereroistico verso nuovi orizzonti. Sarebbe impossibile, per esempio, non citare Authority tra i principali fattori di cambiamento nell'approccio degli sceneggiatori ai supereroi, ma sarebbe altresì impossibile non nominare serie straordinarie come Planetary, Astro City, Sleeper, Global Frequency, ExMachina, l'intera linea ABC che riportò Alan Moore al fumetto mainstream consentendogli di sfornare quel piccolo capolavoro che è Promethea o quell'idea semplice ma in definitiva geniale che è League of Extraordinary Gentlemen. Ma non voglio dimenticare nemmeno i successi considerati oggi minori, ma che all'epoca rappresentarono una vera tempesta per il mercato a stelle e strisce, come la linea Cliffhanger o testate come Gen13 di Campbell che ridefinì il genere "super-giovanilistico". E non voglio dimenticare nemmeno la linea Homage, che fu per alcuni anni la casa di quei progetti creator-owned che poco si integravano con le realtà pre-esistenti quali Vertigo e Dark Horse, ma che seppero proporre un nuovo approccio a un fumetto che fosse di alta vendibilità, con creatori di ottimo livello e, al tempo stesso, ampiamente entertaining, facendo emergere anche serie già esistenti ma considerate di nicchia come Strangers in Paradise e The Maxx.
"E quei personaggi ora che fine faranno?", vi starete chiedendo. Non temete. Come preannunciato sulla maxiserie 52, l'universo Wildstorm è diventato Terra 50 del nuovo Multiverso DC e, quindi, prima o poi i personaggi che lo abitano ritorneranno anche loro, appena i vertici DC troveranno un'idea che valga la pena di essere raccontata con quegli stessi personaggi. I tre guru della DC, Dan DiDio, Geoff Johns e lo stesso Jim Lee, lo danno per certo: questi personaggi avranno ancora una lunga vita editoriale.
Ma, in ongi caso, non posso non rimpiangere un po' di quella verve che la Wildstorm portò al mercato Usa nel decennio che va concludendosi.
lunedì 18 ottobre 2010
PIERA DEGLI ESPOSTI PARLA DEL DELITTO DI AVETRANA
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 17 ottobre 2010)
(Il Mattino - 17 ottobre 2010)
Attrice teatrale e cinematografica, regista e scrittrice, Piera Degli Esposti (qui sotto nella foto) è un'attenta indagatrice degli angoli più oscuri dell'animo umano. Tra l'altro, nel 2003 ha scritto un libro per Rizzoli, con Dacia Maraini, intitolato Piera e gli assassini e incentrato su sue personali ricognizioni attraverso alcuni omicidi reali di questi anni. I recenti sviluppi delle indagini sulla morte di Sarah Scazzi, dunque, la hanno particolarmente colpita. "Fin dall'inizio, c'erano troppi elementi - spiega - che non mi convincevano. E poi, in televisione, i volti dei componenti di quella famiglia mi hanno sempre trasmesso un qualcosa di teatrale e poco decifrabile, quasi da tragedia greca".
Le cronache di queste ore vedono coinvolta nell'omicidio anche la cugina di Sarah, Sabrina Misseri, che per gli inquirenti ha concretamente aiutato il padre. Cosa le trasmette la figura di questa ragazza, che per più di un mese è stata onnipresente sui teleschermi italiani, in un ruolo poi smentito in modo clamoroso dalle indagini?
"Innanzitutto, mi aveva sempre colpito l'aria che Sabrina aveva in tutti i programmi televisivi che m'è capitato di seguire: quasi sorniona. Tant'è che ho pensato che assumesse calmanti prima di entrare in studio. Inoltre, anche lei ha fatto molti dietrofront, in particolare nei confronti del padre, verso il quale nutre, evidentemente, un affetto ossessivo che potrebbe aver scatenato in lei una gelosia inconscia nei confronti della cugina".
In che senso?
"Nel senso che questo padre da lei così adorato preferiva rivolgere le proprie attenzioni, anche se malate, verso Sarah, che peraltro appariva più rispondente ai canoni di bellezza e avvenenza che i mass media trasmettono continuamente alle adolescenti. E anche questo aspetto, sempre inconsciamente, potrebbe aver influito sulla psicologia di Sabrina: la cuginetta snella, bionda, carina; lei un po' grassa, pesante. Così, quando le voci sullo strano rapporto tra suo padre e la cugina si sono fatte più insistenti, non ha esitato a farsi coinvolgere per mettere a tacere la cosa e, contemporaneamente, consumare la propria vendetta inconscia".
Ma, anche da attrice e regista, come spiega la capacità di questa ragazza di recitare un ruolo, per tanto tempo, davanti alle telecamere dei talk show?
"Probabilmente, nella mente di Sabrina, le apparizioni in televisione sono state vissute con una sorta di gioia nera, per la fama pienamente vissuta rubandola alla cugina uccisa. E mi spiego meglio. Il sogno di quasi tutti i ragazzi di oggi è di andare in tv. E anche Sarah, infatti, diceva di voler lasciare il suo paesino per tornarvi qualora fosse diventata famosa. Rispetto alla cugina assassinata, dunque, Sabrina è riuscita a ottenere tutto ciò restando viva, mentre la povera Sarah ha raggiunto sì la notorietà agognata, ma soltanto da morta: è proprio questa, secondo me, la vera vendetta di Sabrina su quella cugina tanto più carina di lei e così ammirata anche dall'adorato padre. E, anzi, credo che questa brama narcisistica della ragazza proseguirà pure nei prossimi giorni, tra controaccuse, ritrattazioni e quant'altro le permetterà di restare sotto la luce dei riflettori".
Ma come crede che si possa sentire, adesso, questa ragazza?
"A volte provo a interrogarmi sulla vita degli assassini in carcere e mi dico che, probabilmente, dal loro punto di vista non stanno poi tanto male. Attraverso la potenza assoluta della morte, infatti, sono riusciti a far sparire fisicamente le persone che li ossessionavano. E, in una vita senza arte e cultura ma soltanto bassezza, questa soddisfazione è impagabile".
Le cronache di queste ore vedono coinvolta nell'omicidio anche la cugina di Sarah, Sabrina Misseri, che per gli inquirenti ha concretamente aiutato il padre. Cosa le trasmette la figura di questa ragazza, che per più di un mese è stata onnipresente sui teleschermi italiani, in un ruolo poi smentito in modo clamoroso dalle indagini?
"Innanzitutto, mi aveva sempre colpito l'aria che Sabrina aveva in tutti i programmi televisivi che m'è capitato di seguire: quasi sorniona. Tant'è che ho pensato che assumesse calmanti prima di entrare in studio. Inoltre, anche lei ha fatto molti dietrofront, in particolare nei confronti del padre, verso il quale nutre, evidentemente, un affetto ossessivo che potrebbe aver scatenato in lei una gelosia inconscia nei confronti della cugina".
In che senso?
"Nel senso che questo padre da lei così adorato preferiva rivolgere le proprie attenzioni, anche se malate, verso Sarah, che peraltro appariva più rispondente ai canoni di bellezza e avvenenza che i mass media trasmettono continuamente alle adolescenti. E anche questo aspetto, sempre inconsciamente, potrebbe aver influito sulla psicologia di Sabrina: la cuginetta snella, bionda, carina; lei un po' grassa, pesante. Così, quando le voci sullo strano rapporto tra suo padre e la cugina si sono fatte più insistenti, non ha esitato a farsi coinvolgere per mettere a tacere la cosa e, contemporaneamente, consumare la propria vendetta inconscia".
Ma, anche da attrice e regista, come spiega la capacità di questa ragazza di recitare un ruolo, per tanto tempo, davanti alle telecamere dei talk show?
"Probabilmente, nella mente di Sabrina, le apparizioni in televisione sono state vissute con una sorta di gioia nera, per la fama pienamente vissuta rubandola alla cugina uccisa. E mi spiego meglio. Il sogno di quasi tutti i ragazzi di oggi è di andare in tv. E anche Sarah, infatti, diceva di voler lasciare il suo paesino per tornarvi qualora fosse diventata famosa. Rispetto alla cugina assassinata, dunque, Sabrina è riuscita a ottenere tutto ciò restando viva, mentre la povera Sarah ha raggiunto sì la notorietà agognata, ma soltanto da morta: è proprio questa, secondo me, la vera vendetta di Sabrina su quella cugina tanto più carina di lei e così ammirata anche dall'adorato padre. E, anzi, credo che questa brama narcisistica della ragazza proseguirà pure nei prossimi giorni, tra controaccuse, ritrattazioni e quant'altro le permetterà di restare sotto la luce dei riflettori".
Ma come crede che si possa sentire, adesso, questa ragazza?
"A volte provo a interrogarmi sulla vita degli assassini in carcere e mi dico che, probabilmente, dal loro punto di vista non stanno poi tanto male. Attraverso la potenza assoluta della morte, infatti, sono riusciti a far sparire fisicamente le persone che li ossessionavano. E, in una vita senza arte e cultura ma soltanto bassezza, questa soddisfazione è impagabile".
sabato 16 ottobre 2010
L'ORIGINALE INTRECCIO TRA COMICS E FILOSOFIA
Di Diego Del Pozzo
Nel 1908, il filosofo Georges Sorel scriveva quanto segue: "Credo che se Nietzsche non fosse stato così preso dalle sue reminiscenze di professore di filologia, si sarebbe accorto che il superuomo esiste per davvero, e che attualmente è incarnato dalla potenza degli Stati Uniti". Ben settantasette anni più tardi, nel 1985, Alan Moore scrive il suo capolavoro Watchmen, nel quale crea il personaggio del Dottor Manhattan - in pratica, un essere onnipotente al servizio della politica imperialista degli Stati Uniti d'America immersi in piena "Guerra Fredda" con l'Unione Sovietica - che, nelle tavole del fumetto, viene presentato dallo speaker di un telegiornale con le seguenti parole "Il superuomo esiste, ed è americano!".
Basterebbe questo accostamento per far capire quanto possano essere profondi e fecondi i legami tra una disciplina apparentemente seriosa come la filosofia e un mezzo espressivo decisamente pop (nel senso di popular) come i comics di supereroi. Un'ottima dimostrazione di tutto ciò arriva da una bella collana di libri edita negli Stati Uniti e intitolata And Philosophy. Si tratta di una raccolta di saggi decisamente interessante edita da Blackwell e curata da William Irwin, che è anche docente di filosofia presso il Black's College in Pennsylvania e che ne sottolinea il senso: "La filosofia - spiega Irwin - comincia con Socrate nelle strade di Atene, quando si sforzava di parlare nella lingua del popolo, adoperando analogie con l'agricoltura e citando la mitologia più spicciola. Con questa collana non vogliamo certamente mettere Superman sullo stesso piano di Omero e Dante, ma raggiungere l'obiettivo, semplice e ambizioso al tempo stesso, di far avvicinare e interessare la gente alla filosofia, parlando loro subito in termini familiari attraverso personaggi e situazioni presi dalla cultura pop".
Dando un'occhiata all'elenco dei titoli inclusi nella collana si capisce immediatamente il "taglio" che il curatore ha voluto privilegiare, rifacendosi alle tendenze più recenti dei Cultural Studies: si va, infatti, da I Simpson e la filosofia e South Park e la filosofia (entrambi tradotti anche in Italia, da Isbn Edizioni) a Lost and Philosophy, 24 and Philosophy, Batman and Philosophy, Spiderman and Philosophy, X-Men and Philosophy, Watchmen and Philosophy, Harry Potter and Philosophy e altri ancora. D'altra parte, lo ha teorizzato più volte anche il grande Stan Lee ripensando a quando, in pieni anni Sessanta, creava uno dopo l'altro i suoi celeberrimi "supereroi con superproblemi" per la rampante Marvel Comics di allora: "Anche se erano storie d'azione a fumetti, ho pensato che poteva essere interessante per i lettori avere una terza dimensione, che ho sempre cercato di introdurre in forma sottile, iniettandovi un po' di filosofia. Qualcosa su cui riflettere, mentre si legge". E di riflessioni da fare tra le pagine dei comic books supereroistici, in effetti, ve ne sono a bizzeffe. Limitandoci, infatti, semplicemente ai grossi calibri della "Casa delle Idee" e della "Distinta Concorrenza" può essere interessante e indicativo, spulciando tra le pagine dei volumi americani dedicati a Spiderman e Batman, approfondire le suggestioni offerte dalle questioni etiche che potremmo definire primarie, perché su di loro si fondano i caratteri stessi dei due amatissimi personaggi: nel primo caso, dunque, chiedersi se Peter Parker sia moralmente obbligato a fare il supereroe, cioè se da grandi poteri derivano davvero grandi responsabilità; nel secondo caso, invece, interrogarsi sul perché Batman, nonostante l'irrecuperabile crudeltà dell'arcinemico, non decida di uccidere il Joker e liberare per sempre il mondo dalla sua minaccia (che c'entri qualcosa l'etica kantiana?).
I due libri sul rapporto tra Spiderman e Batman e la filosofia sono pieni di altri spunti interessanti, così come quello sugli X-Men. Ma questa collana s'inserisce in un contesto più ampio, almeno Oltreoceano. Negli Stati Uniti, infatti, sono tanti, ormai, gli esempi di cattedre universitarie di filosofia che si servono proprio delle suggestioni provenienti dai supereroi e da altri personaggi della popular culture per rendere le questioni teoriche più accessibili e appetibili a studenti cresciuti assieme a quegli stessi personaggi. In maniera estremamente pragmatica, per esempio, il professor Christopher Bartel dell'Appalachian State University in North Carolina descrive il suo corso - dedicato agli intrecci tra filosofia, letteratura, cinema e fumetti - come "un fantastico strumento di reclutamento", in seguito al quale, poi, moltissimi studenti avrebbero deciso di proseguire con la specializzazione in filosofia. Lo stesso Bartel, inoltre, è salito di recente agli onori delle cronache per aver suggerito ai propri studenti Watchmen come libro di testo, in particolar modo per illustrare le teorie del determinismo e del libero arbitrio attraverso il personaggio del Dottor Manhattan.
Insomma, chi considera ancora i fumetti di supereroi come letture buone soltanto per adolescenti farebbe meglio a prenderla con… filosofia.
Basterebbe questo accostamento per far capire quanto possano essere profondi e fecondi i legami tra una disciplina apparentemente seriosa come la filosofia e un mezzo espressivo decisamente pop (nel senso di popular) come i comics di supereroi. Un'ottima dimostrazione di tutto ciò arriva da una bella collana di libri edita negli Stati Uniti e intitolata And Philosophy. Si tratta di una raccolta di saggi decisamente interessante edita da Blackwell e curata da William Irwin, che è anche docente di filosofia presso il Black's College in Pennsylvania e che ne sottolinea il senso: "La filosofia - spiega Irwin - comincia con Socrate nelle strade di Atene, quando si sforzava di parlare nella lingua del popolo, adoperando analogie con l'agricoltura e citando la mitologia più spicciola. Con questa collana non vogliamo certamente mettere Superman sullo stesso piano di Omero e Dante, ma raggiungere l'obiettivo, semplice e ambizioso al tempo stesso, di far avvicinare e interessare la gente alla filosofia, parlando loro subito in termini familiari attraverso personaggi e situazioni presi dalla cultura pop".
Dando un'occhiata all'elenco dei titoli inclusi nella collana si capisce immediatamente il "taglio" che il curatore ha voluto privilegiare, rifacendosi alle tendenze più recenti dei Cultural Studies: si va, infatti, da I Simpson e la filosofia e South Park e la filosofia (entrambi tradotti anche in Italia, da Isbn Edizioni) a Lost and Philosophy, 24 and Philosophy, Batman and Philosophy, Spiderman and Philosophy, X-Men and Philosophy, Watchmen and Philosophy, Harry Potter and Philosophy e altri ancora. D'altra parte, lo ha teorizzato più volte anche il grande Stan Lee ripensando a quando, in pieni anni Sessanta, creava uno dopo l'altro i suoi celeberrimi "supereroi con superproblemi" per la rampante Marvel Comics di allora: "Anche se erano storie d'azione a fumetti, ho pensato che poteva essere interessante per i lettori avere una terza dimensione, che ho sempre cercato di introdurre in forma sottile, iniettandovi un po' di filosofia. Qualcosa su cui riflettere, mentre si legge". E di riflessioni da fare tra le pagine dei comic books supereroistici, in effetti, ve ne sono a bizzeffe. Limitandoci, infatti, semplicemente ai grossi calibri della "Casa delle Idee" e della "Distinta Concorrenza" può essere interessante e indicativo, spulciando tra le pagine dei volumi americani dedicati a Spiderman e Batman, approfondire le suggestioni offerte dalle questioni etiche che potremmo definire primarie, perché su di loro si fondano i caratteri stessi dei due amatissimi personaggi: nel primo caso, dunque, chiedersi se Peter Parker sia moralmente obbligato a fare il supereroe, cioè se da grandi poteri derivano davvero grandi responsabilità; nel secondo caso, invece, interrogarsi sul perché Batman, nonostante l'irrecuperabile crudeltà dell'arcinemico, non decida di uccidere il Joker e liberare per sempre il mondo dalla sua minaccia (che c'entri qualcosa l'etica kantiana?).
I due libri sul rapporto tra Spiderman e Batman e la filosofia sono pieni di altri spunti interessanti, così come quello sugli X-Men. Ma questa collana s'inserisce in un contesto più ampio, almeno Oltreoceano. Negli Stati Uniti, infatti, sono tanti, ormai, gli esempi di cattedre universitarie di filosofia che si servono proprio delle suggestioni provenienti dai supereroi e da altri personaggi della popular culture per rendere le questioni teoriche più accessibili e appetibili a studenti cresciuti assieme a quegli stessi personaggi. In maniera estremamente pragmatica, per esempio, il professor Christopher Bartel dell'Appalachian State University in North Carolina descrive il suo corso - dedicato agli intrecci tra filosofia, letteratura, cinema e fumetti - come "un fantastico strumento di reclutamento", in seguito al quale, poi, moltissimi studenti avrebbero deciso di proseguire con la specializzazione in filosofia. Lo stesso Bartel, inoltre, è salito di recente agli onori delle cronache per aver suggerito ai propri studenti Watchmen come libro di testo, in particolar modo per illustrare le teorie del determinismo e del libero arbitrio attraverso il personaggio del Dottor Manhattan.
Insomma, chi considera ancora i fumetti di supereroi come letture buone soltanto per adolescenti farebbe meglio a prenderla con… filosofia.
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giovedì 14 ottobre 2010
UN GRAN BEL FILM: "GORBACIOF" DI STEFANO INCERTI
Di Diego Del Pozzo
(In alto, una scena del film con Toni Servillo nei panni di Gorbaciof; qui sopra, la riproduzione di un mio articolo pubblicato oggi sul quotidiano Il Mattino: per leggerlo basta cliccarci sopra)
Dolente noir dell'anima in grado di catturare l'occhio per la compattezza visiva e per lo stile fiammeggiante assolutamente antitelevisivo, che batte con orgoglio i sentieri del "cinema-cinema" e si tiene lontano anni luce dalle penitenziali scorciatoie para-catodiche di troppi film italiani di questi anni, Gorbaciof segna il grande ritorno di Stefano Incerti alle ambientazioni napoletane che, nel 1995, ne avevano già accompagnato l'ottimo esordio Il verificatore.
E, proprio alla pellicola che ne mise in mostra per la prima volta le ormai acclarate doti registiche, Incerti (che ha scritto il film col romanziere Diego De Silva) si rifà in questa nuova occasione, se possibile portando alle estreme conseguenze alcune felici intuizioni di allora, in particolar modo quelle riguardanti la totale immersione - amplificata dalla scelta di girare in digitale, con attrezzature leggere e per nulla invasive - di personaggi e spettatori nelle carni pulsanti di una metropoli oscura e moralmente marcia, attraversata dal corpaccione-guida di un protagonista chiuso nella nicchia della propria solitudine, ma in realtà bisognoso di sentirsi (forse) umano: lì era il corpulento verificatore del gas interpretato da Antonino Iuorio, qui il cassiere del carcere di Poggioreale Mariano Pacileo detto Gorbaciof del quale un gigantesco Toni Servillo restituisce la banale mediocrità da comparsa improvvisamente assurta a protagonista nonché la sbigottita e un po' infastidita estraneità verso il mondo di scimmie che lo circonda e che, però, non essendo il nostro propriamente una cima, finisce per condizionarne la quotidianità e indirizzarne il destino.
Gorbaciof è, al tempo stesso, romanzo criminale prosciugato da qualunque possibile epos, disperata storia d'amore destinata a scontrarsi con l'ineluttabilità del fato, indagine coraggiosa nella misconosciuta (ma foltissima e influente) comunità cinese vesuviana, apologo quasi chapliniano sulla solitudine assoluta tra i mille volti e le mille luci della città. Ed è, soprattutto, un folgorante esempio di come, nell'Italia delle cine-commedie su famiglie e coppie in crisi, un altro cinema sia ancora possibile, nonostante le ristrettezze del budget (due milioni di euro, spesi ottimamente): un cinema che sappia vivere con fierezza del proprio specifico, cioè l'attenzione a un'immagine stilisticamente non mortificata (anzi), capace di produrre persino squarci abbacinanti dal punto di vista visivo (per esempio, il crescendo del primo silenzioso "appuntamento" notturno tra Gorbaciof e la Lila magistralmente resa dalla graziosa attrice cinese Mi Yang, qui al primo ruolo europeo) e, comunque, sempre al servizio dei personaggi e delle loro vite di celluloide; un cinema, infine, che non necessiti di dialoghi ipertrofici per far avanzare la trama ma, anzi, sappia rimettersi in gioco tornando alle origini e riproponendo una "purezza" di sguardo quasi da film muto girato alle soglie del Terzo millennio.
Da rimarcare, nel contesto di quello che si propone come uno tra i più bei film italiani della stagione, anche la notevole fotografia di Pasquale Mari, il montaggio di Marco Spoletini, il virtuosistico lavoro sul sonoro di Daghi Rondanini e Fabio Pagotto, le scenografie e i costumi di Lino Fiorito e Ortensia De Francesco (geniale la trovata della giacca di Gorbaciof strategicamente stretta sui fianchi), le coinvolgenti musiche originali di Teho Teardo; oltre, naturalmente, agli autentici tocchi di classe assicurati da attori sperimentati come Geppy Gleijeses, Nello Mascia e Hal Yamanouchi.
E, proprio alla pellicola che ne mise in mostra per la prima volta le ormai acclarate doti registiche, Incerti (che ha scritto il film col romanziere Diego De Silva) si rifà in questa nuova occasione, se possibile portando alle estreme conseguenze alcune felici intuizioni di allora, in particolar modo quelle riguardanti la totale immersione - amplificata dalla scelta di girare in digitale, con attrezzature leggere e per nulla invasive - di personaggi e spettatori nelle carni pulsanti di una metropoli oscura e moralmente marcia, attraversata dal corpaccione-guida di un protagonista chiuso nella nicchia della propria solitudine, ma in realtà bisognoso di sentirsi (forse) umano: lì era il corpulento verificatore del gas interpretato da Antonino Iuorio, qui il cassiere del carcere di Poggioreale Mariano Pacileo detto Gorbaciof del quale un gigantesco Toni Servillo restituisce la banale mediocrità da comparsa improvvisamente assurta a protagonista nonché la sbigottita e un po' infastidita estraneità verso il mondo di scimmie che lo circonda e che, però, non essendo il nostro propriamente una cima, finisce per condizionarne la quotidianità e indirizzarne il destino.
Gorbaciof è, al tempo stesso, romanzo criminale prosciugato da qualunque possibile epos, disperata storia d'amore destinata a scontrarsi con l'ineluttabilità del fato, indagine coraggiosa nella misconosciuta (ma foltissima e influente) comunità cinese vesuviana, apologo quasi chapliniano sulla solitudine assoluta tra i mille volti e le mille luci della città. Ed è, soprattutto, un folgorante esempio di come, nell'Italia delle cine-commedie su famiglie e coppie in crisi, un altro cinema sia ancora possibile, nonostante le ristrettezze del budget (due milioni di euro, spesi ottimamente): un cinema che sappia vivere con fierezza del proprio specifico, cioè l'attenzione a un'immagine stilisticamente non mortificata (anzi), capace di produrre persino squarci abbacinanti dal punto di vista visivo (per esempio, il crescendo del primo silenzioso "appuntamento" notturno tra Gorbaciof e la Lila magistralmente resa dalla graziosa attrice cinese Mi Yang, qui al primo ruolo europeo) e, comunque, sempre al servizio dei personaggi e delle loro vite di celluloide; un cinema, infine, che non necessiti di dialoghi ipertrofici per far avanzare la trama ma, anzi, sappia rimettersi in gioco tornando alle origini e riproponendo una "purezza" di sguardo quasi da film muto girato alle soglie del Terzo millennio.
Da rimarcare, nel contesto di quello che si propone come uno tra i più bei film italiani della stagione, anche la notevole fotografia di Pasquale Mari, il montaggio di Marco Spoletini, il virtuosistico lavoro sul sonoro di Daghi Rondanini e Fabio Pagotto, le scenografie e i costumi di Lino Fiorito e Ortensia De Francesco (geniale la trovata della giacca di Gorbaciof strategicamente stretta sui fianchi), le coinvolgenti musiche originali di Teho Teardo; oltre, naturalmente, agli autentici tocchi di classe assicurati da attori sperimentati come Geppy Gleijeses, Nello Mascia e Hal Yamanouchi.
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(In alto, una scena del film con Toni Servillo nei panni di Gorbaciof; qui sopra, la riproduzione di un mio articolo pubblicato oggi sul quotidiano Il Mattino: per leggerlo basta cliccarci sopra)
mercoledì 13 ottobre 2010
lunedì 11 ottobre 2010
domenica 10 ottobre 2010
PUPI AVATI PRESENTA A NAPOLI IL SUO NUOVO FILM
Di Diego Del Pozzo
Un male atroce come l'Alzheimer può trasformarsi, se "maneggiato" da un regista dotato della giusta sensibilità come Pupi Avati, in occasione proficua di scavo nell'animo umano, grazie a un film intenso, dolce e dolente come Una sconfinata giovinezza, da ieri nelle sale italiane grazie a 01 Distribution. Nel giorno dell'uscita, Avati ha scelto Napoli per presentare la pellicola al pubblico (prima alla Feltrinelli di piazza dei Martiri e in serata al cinema Filangieri), assieme agli interpreti Serena Grandi, Lino Capolicchio e Manuela Morabito, che recitano accanto a Gianni Cavina, Erica Blanc, Osvaldo Ruggieri, al compianto Vincenzo Crocitti e all'ottima coppia di protagonisti composta da Fabrizio Bentivoglio e Francesca Neri. "L'Alzheimer - racconta il regista - è una tra le patologie più crudeli e devastanti, perché non ti permette di tornare indietro ma ti consuma un po' alla volta. Però, per un narratore che lavora sul tempo, presenta anche aspetti affascinanti legati agli effetti regressivi che, in molti casi, fanno riemergere il bambino ancora dentro ciascuno di noi. Naturalmente, poi, l'esito tragico della malattia fa sì che questo bambino si perda per sempre". La dolorosa vicenda del giornalista sportivo Lino (Bentivoglio) e di sua moglie Chicca (Neri), le cui esistenze sono sconvolte dal male di lui, trova due punti fermi nei personaggi di Serena Grandi e Lino Capolicchio, lei nel ruolo della zia che cresce il protagonista bambino nei flashback che costellano la narrazione, lui in quello dell'arcigno fratello medico di Chicca. "Ho cercato di caratterizzare zia Amabile - spiega l'attrice lanciata anni fa da Tinto Brass - come una donna di campagna forte e caparbia, anche grazie alla carica che Pupi mi ha trasmesso sul set. Sono entrata nel personaggio, infatti, affidandomi totalmente a lui, senza pensare all'assenza di make-up o all'invecchiamento al quale mi ha sottoposta". Con ottimi risultati secondo Avati, che aggiunge: "Dopo averla scelta per Il papà di Giovanna, ho chiamato ancora Serena per questo nuovo film, perché credo che abbia tutte le doti per potersi confrontare con generi mai praticati prima".
Nel caso di Capolicchio, invece, la frequentazione con Avati è di vecchia data: "Sono al mio ottavo film con lui, a partire da La casa delle finestre che ridono del 1976. Oltre alla stima professionale, quindi, gli voglio anche molto bene. In questa occasione, poi, ho avuto il piacere di lavorare con Francesca Neri, che in pratica ho scoperto io, anni fa, quando insegnavo al Centro Sperimentale. Capitò per caso, un giorno nel quale dovetti sostituire Sergio Leone agli esami di ammissione: mi si presentò davanti questa ragazza timidissima, tanto da non rispondere nemmeno alle mie domande. Guardandola negli occhi, però, capii che aveva qualcosa dentro e, così, feci di tutto per metterla a suo agio e farle fare il provino, che naturalmente superò". Capolicchio, che sta preparando il suo nuovo film da regista, si dice molto colpito da un aspetto della sua partecipazione a Una sconfinata giovinezza: "Erano dieci anni che non recitavo in un film e, in questi giorni, ho ricevuto telefonate che mi sembravano quasi meravigliate per il fatto che fossi ancora vivo: evidentemente, al giorno d'oggi, se non appari sul grande o sul piccolo schermo ti considerano morto".
Da parte sua, Serena Grandi ascolta con un sorriso le parole del collega, ben lieta di essere stata accolta nella "Avati Family": "Sono felicissima di poter lavorare con un vero maestro come Pupi Avati. Per questo, nel personaggio di zia Amabile ho messo tutta me stessa, rifacendomi alle mie precedenti esperienze di attrice, ma anche al mio vissuto personale. Ho cercato di restituire al meglio, infatti, sia il dolore che deriva dalla perdita di un familiare, sia la responsabilità di dover crescere un bambino per aiutarlo a diventare qualcuno da grande".
Nel caso di Capolicchio, invece, la frequentazione con Avati è di vecchia data: "Sono al mio ottavo film con lui, a partire da La casa delle finestre che ridono del 1976. Oltre alla stima professionale, quindi, gli voglio anche molto bene. In questa occasione, poi, ho avuto il piacere di lavorare con Francesca Neri, che in pratica ho scoperto io, anni fa, quando insegnavo al Centro Sperimentale. Capitò per caso, un giorno nel quale dovetti sostituire Sergio Leone agli esami di ammissione: mi si presentò davanti questa ragazza timidissima, tanto da non rispondere nemmeno alle mie domande. Guardandola negli occhi, però, capii che aveva qualcosa dentro e, così, feci di tutto per metterla a suo agio e farle fare il provino, che naturalmente superò". Capolicchio, che sta preparando il suo nuovo film da regista, si dice molto colpito da un aspetto della sua partecipazione a Una sconfinata giovinezza: "Erano dieci anni che non recitavo in un film e, in questi giorni, ho ricevuto telefonate che mi sembravano quasi meravigliate per il fatto che fossi ancora vivo: evidentemente, al giorno d'oggi, se non appari sul grande o sul piccolo schermo ti considerano morto".
Da parte sua, Serena Grandi ascolta con un sorriso le parole del collega, ben lieta di essere stata accolta nella "Avati Family": "Sono felicissima di poter lavorare con un vero maestro come Pupi Avati. Per questo, nel personaggio di zia Amabile ho messo tutta me stessa, rifacendomi alle mie precedenti esperienze di attrice, ma anche al mio vissuto personale. Ho cercato di restituire al meglio, infatti, sia il dolore che deriva dalla perdita di un familiare, sia la responsabilità di dover crescere un bambino per aiutarlo a diventare qualcuno da grande".
sabato 9 ottobre 2010
SERIE TV: UNA (STRA)ORDINARIA FAMIGLIA DI SUPEREROI
Di Diego Del Pozzo
Sono arrivati anche in Italia, da mercoledì alle ore 22 su Fox (canale 110 di Sky), i supereroi formato famiglia di No Ordinary Family, la nuova serie targata Abc che ha esordito la settimana scorsa negli Stati Uniti sorprendendo gli analisti tv per i suoi 10.500.000 telespettatori ottenuti nella serata più difficile della settimana, contro altri due show popolarissimi come Ncis (19 milioni sulla Cbs) e Glee (l'episodio speciale con Britney Spears: 13 milioni su Fox Usa). Quello raggiunto dal nuovo serial Abc, infatti, è il più alto indice d'ascolto tra le novità televisive della stagione, per la gioia dei vertici del network di casa Disney, da oltre un anno ancora alla ricerca di un erede convincente di Lost.
E proprio dallo storico show di J.J. Abrams e Damon Lindelof, No Ordinary Family trae di peso il suo incipit, proponendo quella che è a tutti gli effetti una citazione: tutto inizia, infatti, con un terribile incidente aereo, del quale resta vittima la famiglia Powell - padre, madre e due figli adolescenti - mentre si reca in vacanza in Amazzonia. Invece di precipitare su una misteriosa isola del Pacifico, però, l'aereo sul quale viaggiano i Powell si schianta nelle acque del Rio delle Amazzoni, dove evidentemente accade qualcosa di imprevisto. Usciti miracolosamente indenni dal pericoloso incidente, infatti, i quattro tornano a casa sani e salvi, ma scoprono ben presto di aver acquisito misteriosi e inspiegabili superpoteri, con i quali dovranno imparare a convivere nel corso di esistenze che, inevitabilmente, non saranno più le stesse.
Ideata da Greg Berlanti e Jon Harmon Feldman, No Ordinary Family si propone come una via di mezzo tra Gli incredibili della Disney-Pixar e gli storici Fantastici quattro ideati da Stan Lee e Jack Kirby nel 1961 per la Marvel Comics: identici, infatti, sono il concetto di famiglia con superpoteri e il mix, reso in maniera estremamente fumettistica anche grazie all'ausilio di convincenti effetti speciali, tra quotidianità e avventure fantastiche. Nei quattro ruoli principali dei membri della famiglia Powell ci sono due veterani come Michael Chiklis (The Shield, ma anche, guarda caso, la Cosa nei due film sui Fantastici quattro) e Julie Benz (Dexter) e i più giovani Jimmy Bennett e Kay Panabaker: i loro personaggi dovranno gestire poteri come superforza e invulnerabilità (papà Jim), supervelocità (mamma Stephanie), superintelligenza e telepatia (J.J. e Daphne).
Dopo la prima di questo mercoledì, No Ordinary Family andrà in onda su Fox ogni settimana, sempre di mercoledì, a soli otto giorni di distanza dalla programmazione americana.
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Ps: Ieri mattina, il quotidiano Il Mattino ha pubblicato un mio articolo nel quale è stata inserita in redazione, per errore, l'indicazione di una partecipazione di Bruce Willis - ovviamente inesistente - a questa serie. La versione corretta dell'articolo è questa pubblicata qui su Off-Topic.
E proprio dallo storico show di J.J. Abrams e Damon Lindelof, No Ordinary Family trae di peso il suo incipit, proponendo quella che è a tutti gli effetti una citazione: tutto inizia, infatti, con un terribile incidente aereo, del quale resta vittima la famiglia Powell - padre, madre e due figli adolescenti - mentre si reca in vacanza in Amazzonia. Invece di precipitare su una misteriosa isola del Pacifico, però, l'aereo sul quale viaggiano i Powell si schianta nelle acque del Rio delle Amazzoni, dove evidentemente accade qualcosa di imprevisto. Usciti miracolosamente indenni dal pericoloso incidente, infatti, i quattro tornano a casa sani e salvi, ma scoprono ben presto di aver acquisito misteriosi e inspiegabili superpoteri, con i quali dovranno imparare a convivere nel corso di esistenze che, inevitabilmente, non saranno più le stesse.
Ideata da Greg Berlanti e Jon Harmon Feldman, No Ordinary Family si propone come una via di mezzo tra Gli incredibili della Disney-Pixar e gli storici Fantastici quattro ideati da Stan Lee e Jack Kirby nel 1961 per la Marvel Comics: identici, infatti, sono il concetto di famiglia con superpoteri e il mix, reso in maniera estremamente fumettistica anche grazie all'ausilio di convincenti effetti speciali, tra quotidianità e avventure fantastiche. Nei quattro ruoli principali dei membri della famiglia Powell ci sono due veterani come Michael Chiklis (The Shield, ma anche, guarda caso, la Cosa nei due film sui Fantastici quattro) e Julie Benz (Dexter) e i più giovani Jimmy Bennett e Kay Panabaker: i loro personaggi dovranno gestire poteri come superforza e invulnerabilità (papà Jim), supervelocità (mamma Stephanie), superintelligenza e telepatia (J.J. e Daphne).
Dopo la prima di questo mercoledì, No Ordinary Family andrà in onda su Fox ogni settimana, sempre di mercoledì, a soli otto giorni di distanza dalla programmazione americana.
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Ps: Ieri mattina, il quotidiano Il Mattino ha pubblicato un mio articolo nel quale è stata inserita in redazione, per errore, l'indicazione di una partecipazione di Bruce Willis - ovviamente inesistente - a questa serie. La versione corretta dell'articolo è questa pubblicata qui su Off-Topic.
giovedì 7 ottobre 2010
COMICS: I VINCITORI DEGLI EISNER AWARDS 2010
Di Raffaele De Fazio
Come di consueto, nel corso del San Diego Comicon, il mondo del fumetto a stelle e strisce ha premiato se stesso con gli annuali Eisner Awards, ovvero gli Oscar dell'arte sequenziale. Ecco i vincitori di quest'anno, divisi nelle varie categorie:
Migliore albo singolo: Captain America n.° 601, Red, White and Blue-Blood, di Ed Brubaker e Gene Colan (Marvel);
Migliore serie regolare: The Walking Dead, di Robert Kirkman e Charles Adlard (Image);
Migliore miniserie: The Wonderful Wizard of Oz, di L. Frank Baum, Eric Shanower e Skottie Young (Marvel);
Migliore nuova serie: Chew, di John Layman and Rob Guillory (Image);
Migliore serie per pubblico giovane: The Wonderful Wizard of Oz, di L. Frank Baum, Eric Shanower e Skottie Young (Marvel);
Migliore serie per ragazzi: Beasts of Burden, di Evan Dorkin e Jill Thompson (Dark Horse);
Migliore fumetto umoristico: Scott Pilgrim vol. 5 (Oni Press);
Migliore pubblicazione antologica: Popgun vol. 3 (Image);
Migliore pubblicazione non fiction: A Drifting Life, di Yoshihiro Tatsumi (Drawn & Quarterly);
Migliore adattamento di materiale pre-esistente: Richard Stark's Parker: The Hunter, adattato da Darwyn Cooke (IDW);
Migliore graphic album (novità): Asterios Polyp, di David Mazzucchelli (Pantheon);
Migliore graphic album (ristampa): Absolute Justice, di Alex Ross, Jim Krueger e Doug Braithewaite (DC);
Migliore ristampa (strips): Bloom County: The Complete Library vol. 1, di Berkeley Breathed (IDW);
Migliore ristampa (comic books): The Rocketeer: The Complete Adventures - Deluxe Edition, di Dave Stevens (IDW);
Migliore fumetto straniero (occidentale): Il fotografo, di Emmanuel Guibert, Didier Lefèvre e Frédéric Lemerier (First Second);
Miglior fumetto straniero (orientale): A Drifting Life, di Yoshihiro Tatsumi (Drawn & Quarterly);
Miglior scrittore: Ed Brubaker (Captain America, Daredevil, Marvels Project, Criminal, Incognito);
Miglior autore completo (fiction): David Mazzucchelli, Asterios Polyp (Pantheon);
Miglior autore completo (non fiction): Joe Sacco, Footnotes in Gaza (Metropolitan/Holt);
Miglior disegnatore o team creativo: J. H. Williams III, Detective Comics (DC);
Miglior illustratore (classico o multimediale): Jill Thompson, Beasts of Burden (Dark Horse);
Miglior copertinista: J. H. Williams III, Detective Comics (DC);
Miglior colorista: Dave Stewart;
Miglior letterista: David Mazzucchelli, Asterios Polyp (Pantheon);
Miglior libro dedicato al mondo del fumetto: The Art of Harvey Kurtzman: The Mad Genius of Comics, di Denis Kitchen;
Miglior design: Absolute Justice, di Alex Ross, Jim Krueger e Doug Braithewaite (DC).
Il mio conto personale è 3 su 5. Complimentoni a Darwin Cooke per Parker, a David Mazzucchelli per lo splendido Asterios Polyp e al grande Joe Sacco per Footnotes in Gaza. Complimenti anche a Williams III per lo splendido lavoro su Detective Comics. Mi spiace per Crumb e il suo ottimo adattamento della Genesi, ma secondo me a lui non gli può fregare di meno. Spiace anche per Naoki Urasawa (Pluto e 20th Century Boys, entrambi due capolavori) che, anche se non dovesse sapere chi è Will Eisner, resta comunque, a mio giudizio, il miglior sceneggiatore nipponico attualmente in circolazione. Non mi dispiace invece per la bocciatura di Old Man Logan, ampiamente sopravvalutato secondo me. Un plauso, infine, alla Bao Publishing e alla SaldaPress che, indirettamente, si portano a casa gli Eisner per Chew e The Walking Dead: ci avete visto lungo e ve ne rendo atto. Bravi.
Migliore albo singolo: Captain America n.° 601, Red, White and Blue-Blood, di Ed Brubaker e Gene Colan (Marvel);
Migliore serie regolare: The Walking Dead, di Robert Kirkman e Charles Adlard (Image);
Migliore miniserie: The Wonderful Wizard of Oz, di L. Frank Baum, Eric Shanower e Skottie Young (Marvel);
Migliore nuova serie: Chew, di John Layman and Rob Guillory (Image);
Migliore serie per pubblico giovane: The Wonderful Wizard of Oz, di L. Frank Baum, Eric Shanower e Skottie Young (Marvel);
Migliore serie per ragazzi: Beasts of Burden, di Evan Dorkin e Jill Thompson (Dark Horse);
Migliore fumetto umoristico: Scott Pilgrim vol. 5 (Oni Press);
Migliore pubblicazione antologica: Popgun vol. 3 (Image);
Migliore pubblicazione non fiction: A Drifting Life, di Yoshihiro Tatsumi (Drawn & Quarterly);
Migliore adattamento di materiale pre-esistente: Richard Stark's Parker: The Hunter, adattato da Darwyn Cooke (IDW);
Migliore graphic album (novità): Asterios Polyp, di David Mazzucchelli (Pantheon);
Migliore graphic album (ristampa): Absolute Justice, di Alex Ross, Jim Krueger e Doug Braithewaite (DC);
Migliore ristampa (strips): Bloom County: The Complete Library vol. 1, di Berkeley Breathed (IDW);
Migliore ristampa (comic books): The Rocketeer: The Complete Adventures - Deluxe Edition, di Dave Stevens (IDW);
Migliore fumetto straniero (occidentale): Il fotografo, di Emmanuel Guibert, Didier Lefèvre e Frédéric Lemerier (First Second);
Miglior fumetto straniero (orientale): A Drifting Life, di Yoshihiro Tatsumi (Drawn & Quarterly);
Miglior scrittore: Ed Brubaker (Captain America, Daredevil, Marvels Project, Criminal, Incognito);
Miglior autore completo (fiction): David Mazzucchelli, Asterios Polyp (Pantheon);
Miglior autore completo (non fiction): Joe Sacco, Footnotes in Gaza (Metropolitan/Holt);
Miglior disegnatore o team creativo: J. H. Williams III, Detective Comics (DC);
Miglior illustratore (classico o multimediale): Jill Thompson, Beasts of Burden (Dark Horse);
Miglior copertinista: J. H. Williams III, Detective Comics (DC);
Miglior colorista: Dave Stewart;
Miglior letterista: David Mazzucchelli, Asterios Polyp (Pantheon);
Miglior libro dedicato al mondo del fumetto: The Art of Harvey Kurtzman: The Mad Genius of Comics, di Denis Kitchen;
Miglior design: Absolute Justice, di Alex Ross, Jim Krueger e Doug Braithewaite (DC).
Il mio conto personale è 3 su 5. Complimentoni a Darwin Cooke per Parker, a David Mazzucchelli per lo splendido Asterios Polyp e al grande Joe Sacco per Footnotes in Gaza. Complimenti anche a Williams III per lo splendido lavoro su Detective Comics. Mi spiace per Crumb e il suo ottimo adattamento della Genesi, ma secondo me a lui non gli può fregare di meno. Spiace anche per Naoki Urasawa (Pluto e 20th Century Boys, entrambi due capolavori) che, anche se non dovesse sapere chi è Will Eisner, resta comunque, a mio giudizio, il miglior sceneggiatore nipponico attualmente in circolazione. Non mi dispiace invece per la bocciatura di Old Man Logan, ampiamente sopravvalutato secondo me. Un plauso, infine, alla Bao Publishing e alla SaldaPress che, indirettamente, si portano a casa gli Eisner per Chew e The Walking Dead: ci avete visto lungo e ve ne rendo atto. Bravi.
mercoledì 6 ottobre 2010
LA NON-RACCOLTA DIFFERENZIATA A TEVEROLA (CASERTA)
Di Diego Del Pozzo
Le tre foto riprodotte qui di seguito sono state scattate stamattina, a testimonianza di come viene effettuata la raccolta differenziata nella ridente (si fa per dire!) cittadina di Teverola in Provincia di Caserta. O meglio, come NON viene effettuata, da un mese circa, nonostante la situazione nel circondario sia abbastanza decente.
Le foto sono state scattate all'interno e all'esterno dei parchi della zona, dove ormai si convive con topi, mosche e zanzare a causa della negligenza di chi prima ha deciso di procedere con la raccolta differenziata e poi non sa assicurare il servizio: tra l'altro, al danno si aggiunge la beffa, perché tenendo i bidoncini all'interno dei parchi, le strade comunali risultano pulite, mentre la gente affoga nella munnezza in casa propria...
Le foto sono state scattate all'interno e all'esterno dei parchi della zona, dove ormai si convive con topi, mosche e zanzare a causa della negligenza di chi prima ha deciso di procedere con la raccolta differenziata e poi non sa assicurare il servizio: tra l'altro, al danno si aggiunge la beffa, perché tenendo i bidoncini all'interno dei parchi, le strade comunali risultano pulite, mentre la gente affoga nella munnezza in casa propria...
martedì 5 ottobre 2010
lunedì 4 ottobre 2010
CINEMA: GRANDE SUCCESSO PER I FILM ITALIANI IN SVEZIA
Grande commozione e diversi minuti di applausi a Stoccolma per Complici del silenzio, il film di Stefano Incerti che indaga tra gli orrori della dittatura militare argentina durante i Mondiali di calcio del 1978 (qui sotto, una scena col protagonista Alessio Boni). La pellicola del regista napoletano è stata proiettata nella capitale svedese nell'ambito della tredicesima edizione dell'Italian Film Festival, la principale manifestazione dedicata alla promozione del cinema italiano sul mercato scandinavo. Tra gli altri film visti in questi giorni, hanno riscosso particolare successo, oltre a quello di Incerti, anche Il compleanno di Marco Filiberti (che sarà distribuito in Svezia dalla Non Stop Entertainment), Due vite per caso di Alessandro Aronadio, Cosa voglio di più di Silvio Soldini, Marpiccolo di Alessandro Di Robilant, Basilicata Coast to Coast di Rocco Papaleo, Alza la testa di Alessandro Angelini. Durante la serata conclusiva, in programma domani, sarà proiettato Il prossimo tuo della regista italo-finlandese Anne Riitta Ciccone, che sarà presente al cinema Sture assieme al produttore Francesco Torelli.
L'Italian Film Festival, diretto dallo storico del cinema Vincenzo Esposito, è organizzato dall'Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma e dalla FICC - Federazione Italiana dei Circoli del Cinema, col contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Direzione Generale Cinema.
L'Italian Film Festival, diretto dallo storico del cinema Vincenzo Esposito, è organizzato dall'Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma e dalla FICC - Federazione Italiana dei Circoli del Cinema, col contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Direzione Generale Cinema.
domenica 3 ottobre 2010
LIBRI: RAGAZZI INTERROTTI ALL'OMBRA DELL'ITALSIDER
Di Antonio Tricomi
Ragazzi interrotti: l'aitante Marco dagli occhi sporgenti, il disabile Stefano suo amico del cuore, la bionda Claudia sua ex fidanzata. E naturalmente genitori, fratelli, compagni di studio, vicini di casa: figure che si muovono sullo sfondo, magari appena accennate, ma che pure lasciano un segno.
L'autore Gennaro Morra colloca l'azione a Bagnoli, il suo quartiere di Napoli, tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta: la "grande fabbrica", il "cantiere", insomma l'Italsider (qui inopinatamente chiamata NovaSider) sta per chiudere. E il mondo che le si muove intorno sembra andare in frantumi. Giorno dopo giorno. Si sfaldano famiglie, certezze, valori, stili di vita. Si dissolve la mitologia operaista ed esplode il conflitto generazionale: padri (operai) contro figli (ambientalisti). Uno scontro in cui - segno dei tempi - diventa difficile distinguere le pulsioni progressiste da quelle più conservatrici: cadono gli steccati e il mondo si fa complesso, nell'ampio scenario postindustriale. Ventenni non solo cresciuti all'ombra della grande fabbrica ma anche grazie a essa. Che però sviluppano una forte ostilità verso la fonte tanto del loro benessere quanto dei loro disagi: mentre malattie molto gravi, frutto dell'inquinamento ambientale, funestano il quartiere. Desolazione e incertezza innervano le strade di Bagnoli, nel Novecento che tramonta.
Morra racconta tutto questo, dice Giustino Fabrizio nella prefazione, "con un'ironia che è l'eleganza della disperazione". Variando i punti di vista, usando la prima persona quando narra la vicenda di Stefano (afflitto da tetraparesi spastica come lo stesso autore) ma dimostrandosi capace anche di una forte empatia con gli altri personaggi: tracciando con precisione scene, ambienti, movimenti, dinamiche psicologiche. Scoperto dall'ex inviato de La Repubblica Eleonora Bertolotto, il 37enne Morra non riuscirebbe a nascondere il suo talento neanche se volesse.
Gennaro Morra, All'ombra della grande fabbrica, Cicorivolta Edizioni - 143 pagine, 11 euro.
L'autore Gennaro Morra colloca l'azione a Bagnoli, il suo quartiere di Napoli, tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta: la "grande fabbrica", il "cantiere", insomma l'Italsider (qui inopinatamente chiamata NovaSider) sta per chiudere. E il mondo che le si muove intorno sembra andare in frantumi. Giorno dopo giorno. Si sfaldano famiglie, certezze, valori, stili di vita. Si dissolve la mitologia operaista ed esplode il conflitto generazionale: padri (operai) contro figli (ambientalisti). Uno scontro in cui - segno dei tempi - diventa difficile distinguere le pulsioni progressiste da quelle più conservatrici: cadono gli steccati e il mondo si fa complesso, nell'ampio scenario postindustriale. Ventenni non solo cresciuti all'ombra della grande fabbrica ma anche grazie a essa. Che però sviluppano una forte ostilità verso la fonte tanto del loro benessere quanto dei loro disagi: mentre malattie molto gravi, frutto dell'inquinamento ambientale, funestano il quartiere. Desolazione e incertezza innervano le strade di Bagnoli, nel Novecento che tramonta.
Morra racconta tutto questo, dice Giustino Fabrizio nella prefazione, "con un'ironia che è l'eleganza della disperazione". Variando i punti di vista, usando la prima persona quando narra la vicenda di Stefano (afflitto da tetraparesi spastica come lo stesso autore) ma dimostrandosi capace anche di una forte empatia con gli altri personaggi: tracciando con precisione scene, ambienti, movimenti, dinamiche psicologiche. Scoperto dall'ex inviato de La Repubblica Eleonora Bertolotto, il 37enne Morra non riuscirebbe a nascondere il suo talento neanche se volesse.
Gennaro Morra, All'ombra della grande fabbrica, Cicorivolta Edizioni - 143 pagine, 11 euro.
venerdì 1 ottobre 2010
ARTHUR PENN: UNA LUNGA INTERVISTA PER RICORDARLO
Di Diego Del Pozzo
Martedì notte il cuore di Arthur Penn ha smesso di battere. Aveva compiuto 88 anni appena un giorno prima (era nato il 27 settembre 1922 a Philadelphia). Regista di pellicole celeberrime e seminali per il cinema a venire, come Anna dei miracoli (1962), La caccia (1966), Gangster Story (1967), Piccolo grande uomo (1970), Penn è stato il più europeo tra i cineasti hollywoodiani classici per come ha saputo riflettere criticamente sul concetto di messa in scena già negli anni Sessanta, per la maniera non ideologica nella quale s'è confrontato con i generi praticati, per la sensibilità con la quale ha affrontato temi quali violenza, sesso, morte, solitudine. Nel corso della carriera, ha saputo relazionarsi come pochi altri registi americani con le logiche degli Studios di Hollywood, adattandosi apparentemente alle loro leggi, in modo da sfruttarne le potenzialità espressive, ma al tempo stesso mettendone in crisi le convenzioni estetiche e narrative, facendole letteralmente esplodere dall'interno. I "germi" rivoluzionari nel "corpo" del cinema classico hollywoodiano Penn li ha, però, inseriti avvalendosi regolarmente di divi tra i più popolari dell'epoca, a simboleggiare la doppia anima del suo cinema: "di ricerca" ma, al tempo stesso, rivolto al più vasto pubblico possibile.
Quella che segue è un'intervista che ho realizzato per la rivista specializzata Cinemasessanta nel 1999, in occasione di una retrospettiva che venne dedicata ad Arthur Penn dalla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. La ripropongo qui su Off-Topic per ricordare questo grande cineasta attraverso le sue stesse parole...
Quella che segue è un'intervista che ho realizzato per la rivista specializzata Cinemasessanta nel 1999, in occasione di una retrospettiva che venne dedicata ad Arthur Penn dalla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. La ripropongo qui su Off-Topic per ricordare questo grande cineasta attraverso le sue stesse parole...
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