sabato 2 maggio 2009

IL CINEMA-VAMPIRO DA NOSFERATU A COPPOLA

Di Diego Del Pozzo

L'altra sera ho rivisto un film di vampiri piuttosto divertente. Si tratta di Shadow of the Vampire - L'ombra del vampiro, diretto nel 2001 dal regista americano E. Elias Merhige, con due straordinari attori come John Malkovich e Willem Dafoe nei ruoli rispettivamente del regista Friedrich Wilhelm Murnau e dell'attore Max Schreck (nella foto qui sotto).
Il film, infatti, è ambientato nel 1921, sul set del capolavoro Nosferatu di Murnau, interpretato proprio da Schreck. Lo spunto iniziale della trama deriva dalla leggenda secondo la quale l'orrido Schreck, misterioso attore berlinese passato alla storia per questo suo unico ruolo, fosse in realtà un autentico vampiro scovato chissà dove da un Murnau completamente ossessionato dal suo film. In realtà, Max Schreck - nome e cognome che, tradotti in italiano, suonano più o meno come "Massimo Terrore" - fu attore teatrale e cinematografico non di primissimo livello ma, comunque, molto impegnato nell'ambito della scena artistica tedesca del periodo (tra l'altro, girò anche con altri registi significativi, oltre a Murnau, come William Dieterle e Max Ophuls).
Trucco e straordinaria presenza fisica fanno sì che Schreck crei nel film di Murnau un vampiro totalmente alternativo al Dracula romantico e tutto sommato gradevole della tradizione precedente e successiva: così, Nosferatu riesce a diventare un vero e proprio archetipo, un personaggio a se stante, quasi l'incarnazione della metà più animalesca e orrenda di Dracula.
Nel film di Merhige, a sua volta, Willem Dafoe riesce a omaggiare anche iconograficamente il suo illustre predecessore e, con un misto di pathos e ironia, ne sa restituire ottimamente il dramma di creatura che, nel buio, deve convivere con la propria solitudine lungo i secoli e che proprio attraverso la fascinazione del cinema cerca di vincere questa solitudine.
In una sequenza altamente simbolica, infatti, il vampiro si lascia catturare dalla magia delle immagini cinematografiche, attraverso le quali guarda il mare e i panorami diurni a lui negati dalla propria condizione. Si tratta di un omaggio esplicito all'approccio, a suo modo rivoluzionario, utilizzato da Francis Ford Coppola nel suo Dracula di Bram Stoker (e, poco dopo, da Neil Jordan in Intervista col vampiro). Proprio l'equivalenza tra cinema e vampiro - basti pensare appunto al Murnau ossessionato di questo film - è stata resa esplicita da Coppola nel suo bellissimo film, che s'interroga sullo statuto delle immagini in movimento, risalendo alle origini di uno tra i suoi miti più frequentati.
E' indubbio, infatti, che buona parte della fama della quale oggi gode il sanguinario conte di stokeriana memoria sia dovuta al "trattamento" che, lungo l'intero Novecento, gli ha riservato il cinema. Praticamente contemporaneo al romanzo - la prima proiezione cinematografica viene tradizionalmente fatta risalire al 1895, mentre il romanzo di Stoker esce nel 1897 - il cinema, difatti, ha saputo intessere fin dalla sua nascita rapporti molto stretti col mito del vampiro; e con esso ha attraversato quello che Hobsbawn ha definito "secolo breve". Oltre che a causa della grande popolarità dei succhiasangue - già dopo gli exploit letterari ottocenteschi - e, quindi, della loro capacità di calamitare la fantasia del pubblico, i motivi di un'attenzione così ricorrente da parte di tanti cineasti vanno ricercati, probabilmente, anche in analogie più profonde - persino strutturali e linguistiche - esistenti tra Cinema e Vampiro. Ambedue, infatti, sono creature che vivono nell'oscurità - di una sala cinematografica o di una bara fa lo stesso - e rifuggono la luce; inoltre, entrambi vivono in eterno, forever young, poiché il cinema - riflettendoci su - non è altro che un'arte che "vive" nutrendosi di tutte le altre, "vampirizzandole" e rendendole eternamente perfette nella non-vita del grande schermo.
E' piuttosto evidente, infatti, come il cinema prenda la recitazione degli attori dal teatro; le costruzioni e le scene dall'architettura; i costumi dalla moda; la disposizione delle ombre e delle luci dalla fotografia: tutto, però, è catturato, portato a nuove altezze e reso immortale, attraverso il rito quasi soprannaturale della proiezione cinematografica. Anche se riesce comunque a comunicare sensazioni ed emozioni sempre diverse, un film - una volta realizzato - resta sempre uguale a se stesso… per l'eternità!
Il cortocircuito linguistico-emozionale tra cinema e vampiro è esplicitato proprio nel Dracula di Bram Stoker coppoliano quando, appena giunto a Londra, il conte Dracula interpretato da Gary Oldman (nella foto sopra) si precipita in una delle neonate sale cinematografiche. L'idea del "vampiro al cinema" e quella del Novecento come secolo dei film e dei succhiasangue verrà arricchita di ulteriori sfumature anche da Neil Jordan nel suo Intervista col vampiro e, su un versante completamente diverso, da Abel Ferrara con l'oscuro The Addiction (nel quale l'equivalenza tra vampiro e Novecento è proposta attraverso il filo conduttore del "male assoluto" rappresentato dalle guerre mondiali e dalla shoah). Con risultati più modesti ma non meno interessanti, anche il film di Merhige che ho rivisto l'altra sera propone l'equivalenza tra cinema e vampiro: più che nella figura di Schreck/Nosferatu, in quella - come detto totalmente vampirizzata dal fascino oscuro delle immagini in movimento - di Friedrich Wilhelm Murnau.