Molti personaggi presentati qui per la prima volta sono destinati a trovare un maggiore spazio nel corso della settima stagione, come per esempio il malvagio Jonas Hodges al quale dà il volto una “guest star” d’eccezione come Jon Voight. “Questo film – racconta Kiefer Sutherland, che di 24 è anche produttore esecutivo – è stato un’esperienza molto diversa rispetto a una classica stagione della serie, perché avevamo un inizio e una fine ben precisi: la cosa è stata liberatoria soprattutto per gli sceneggiatori. All’inizio della lavorazione, il sottotitolo era Exile, perché il personaggio di Jack si trovava, appunto, in una sorta di esilio, per provare a ritrovare se stesso. Lo abbiamo cambiato in Redemption, poi, perché alla fine della storia Jack arriva proprio a una sorta di redenzione personale e si prepara per gli avvenimenti della settima stagione”. Girato tra il Sud Africa e gli Stati Uniti, 24: Redemption fa segnare una piccola svolta nell’evoluzione del personaggio di Jack Bauer e, più in generale, nelle atmosfere della serie, con una più netta demarcazione tra bene e male e un approccio appena più buonista da parte del carismatico protagonista. La svolta narrativa sarà ancora più evidente nel corso della settima stagione, che si aggancia direttamente alla conclusione del tv movie e che in Italia si vedrà, sempre su Fx, a partire da venerdì 25 settembre.
Per molti commentatori le novità nella caratterizzazione dei personaggi e nelle atmosfere della serie sarebbero dovute alla sempre maggiore disapprovazione del popolo americano nei confronti della guerra in Iraq e, più in generale, di una politica estera aggressiva come quella che ha contraddistinto l’Amministrazione Bush. Inoltre, era quasi inevitabile anche che una serie così attenta all’attualità, com’è sempre stata 24, tenesse nel giusto conto la nuova idea di America emersa e consolidatasi in seguito all’elezione di Barack Obama come presidente. In realtà, però, il fatto che il film inizi con Jack impegnato in una missione umanitaria in Africa è dovuto anche alla volontà degli autori di far conoscere ai telespettatori americani quell’immane tragedia che è il genocidio ruandese, attraverso le vicende di fantasia ambientate nell’immaginaria nazione africana del Sangala, dove si svolge l’azione. “Girare in Africa – spiega ancora Sutherland – è stato fantastico, anche per la gente straordinaria che abbiamo incontrato e per le possibilità narrative che abbiamo potuto sperimentare. Anzi, posso tranquillamente dire che questo film mi è subito sembrato il classico progetto nel quale tutto filava via per il verso giusto: da parte mia, dunque, lo considero come uno dei lavori migliori che abbiamo realizzato da quando è partita la serie”.