lunedì 29 giugno 2009
domenica 28 giugno 2009
FUMETTI: A LEZIONE DA BRUNO BRINDISI
Di Diego Del Pozzo
C’era una volta la scuola salernitana del fumetto, un gruppo di giovani amici che, in pieni anni Ottanta, riscrive le regole dei comics all’italiana senza nemmeno saperlo.
Siamo nel 1983 e il diciannovenne Bruno Brindisi (nato a Salerno il 3 giugno 1964: qui a lato, nella foto) disegna le sue tavole già dettagliatissime per la rivista amatoriale «Trumoon», assieme a Giuseppe De Nardo, Roberto De Angelis, Raffaele Della Monica, Luigi Siniscalchi, Giuliano e Giorgio Piccininno, Daniele Bigliardo, Luigi Coppola. A legarli c’è una straordinaria passione per il linguaggio del fumetto, trasformata negli anni in scelta professionale comune; peraltro, entrando a far parte, quasi in blocco, della più importante scuderia italiana, quella della Sergio Bonelli Editore di «Tex», «Zagor», «Martin Mystère», «Dylan Dog», «Nathan Never», «Nick Raider» e altre testate molto vendute e amate dagli appassionati.
Gli esordi salernitani, la gavetta sugli albi erotici e horror, le prime collaborazioni di prestigio, gli anni dell’ascesa professionale sono ricostruiti con dovizia di particolari e un’aneddotica mai fine a se stessa direttamente da Brindisi nel bel libro-intervista realizzato dal giovane critico napoletano Davide Occhicone per la meritoria collana «Lezioni di fumetto» di Coniglio Editore (Bruno Brindisi. Una linea chiara per raccontare l’orrore, pagg. 64, euro 8,50: nell'immagine a lato, la copertina). Il volume sarà presentato mercoledì a Napoli, alle 18 presso la libreria Feltrinelli di piazza dei Martiri, dall’autore e dall’intervistato, introdotti da Sergio Brancato, Giuseppe De Nardo e Marcello Napoli.
Nell’attuale panorama fumettistico italiano, Brindisi è uno dei disegnatori più amati, grazie al tratto limpido ed elegante (la cosiddetta linea chiara), alle sue tavole ricche e curatissime, ma anche a una prolificità rara che, dal 1990 a oggi, gli ha permesso di realizzare, per la sola Sergio Bonelli, un numero elevato di albi, tra i quali spiccano il «Texone» del 2002 e oltre trenta «Dylan Dog» (assieme a «Tex», la testata più venduta dell’editore milanese), per un totale che supera le 2.700 tavole. A proposito della sua velocità, Brindisi racconta divertito di come, agli inizi del lavoro su «Dylan Dog», Tiziano Sclavi lo chiamò «lamentandosi scherzosamente del fatto che non riusciva a starmi dietro con la sceneggiatura: io divoravo nove tavole a settimana. Probabilmente mi odiò - ricorda - quando gli risposi che, se ci fossi riuscito, ne avrei fatte anche di più». Il risultato fu che, pochi giorni dopo, ricevette l’incarico di lavorare contemporaneamente anche su «Nick Raider».
Ma cosa vuol dire, per Bruno Brindisi (qui sopra, una sua tavola), disegnare fumetti? «Significa raccontare una storia, essere funzionale al testo, senza disegnarsi addosso. Se invece vuoi realizzare ogni tavola come se fosse un’illustrazione, allora probabilmente hai sbagliato mestiere, meglio fare l’illustratore: è meno faticoso e più redditizio». Appare evidente, dunque, che per lui il fumetto preferito sia «quello che ti fa entrare in una storia facendoti dimenticare che si tratta solo di disegni».
Sì, perché Brindisi, con un approccio quasi cinematografico al disegno, si considera innanzitutto un narratore e, come tale, cura meticolosamente, oltre all’anatomia e al realismo delle ambientazioni («Il fumetto realistico è quello che mi piace disegnare»), anche l’espressività dei personaggi e la scelta delle inquadrature, in ciò memore del passato da cameraman: «Bisogna essere in grado di stabilire - conclude - il perché un’inquadratura convenga farla dal basso piuttosto che dall’alto, mentre la bravura di un disegnatore per me si vede soprattutto da come fa recitare i personaggi, da come riesce a infondere qualcosa, a far passare un sentimento, un’emozione».
venerdì 26 giugno 2009
CIAO MICHAEL!
Ieri è morto Michael Jackson. O meglio, ha abbandonato la terra ciò che rimaneva del suo involucro sempre più sbiadito e autodevastato negli anni.
Preferisco, dunque, ricordarlo com'era ai tempi del suo capolavoro "Thriller", cioè quando era davvero ancora vivo.
Ciao Michael, spero che adesso tu stia conoscendo quella pace che non sei mai riuscito a trovare in questo mondo. Comunque, ci hai lasciato tanta buona musica. Grazie. (d.d.p.)
mercoledì 24 giugno 2009
SERIE TV: ARRIVA "THE MIDDLEMAN"
Di Diego Del Pozzo
La nuova serie The Middleman, che Fox (canale 110 di Sky) ha mandato in onda ieri sera in anteprima italiana, ha fatto nascere un autentico caso negli Stati Uniti, dopo l'annuncio dei mesi scorsi riguardante la sua sospensione prima della conclusione della stagione d'esordio.
In particolare, i fans si sono scatenati su Internet, mettendo in piedi una vera e propria campagna di supporto tra blog e forum dedicati, mentre autorevoli critici televisivi – per esempio, quelli di Variety e Tv Guide – hanno concordato nel definire lo show troppo raffinato e originale per un network generalista come ABC Family. E, in effetti, su un altro canale, magari Fox Usa o The CW, la geniale serie creata dal talentuoso e visionario sceneggiatore e produttore Javier Grillo-Marxuach sarebbe probabilmente stata confermata per le successive stagioni, anche perché i suoi ascolti comunque discreti sono sempre stati abbinati a elevati indici di gradimento.
Grillo-Marxuach, già in evidenza nel gruppo di sceneggiatori di Lost e Medium, ha tratto la serie dal suo omonimo fumetto edito dalla Viper Comics. Sia su carta che in tv, The Middleman è un'accattivante combinazione di fantascienza e horror, con un approccio post-moderno fatto di abbondanti dosi di ironia e una impressionante quantità di citazioni da film, fumetti, canzoni, altre serie tv e tutto ciò che fa cultura pop.
Grillo-Marxuach, già in evidenza nel gruppo di sceneggiatori di Lost e Medium, ha tratto la serie dal suo omonimo fumetto edito dalla Viper Comics. Sia su carta che in tv, The Middleman è un'accattivante combinazione di fantascienza e horror, con un approccio post-moderno fatto di abbondanti dosi di ironia e una impressionante quantità di citazioni da film, fumetti, canzoni, altre serie tv e tutto ciò che fa cultura pop.
La delirante trama del telefilm si mette in moto quando il personaggio di Wendy Watson (interpretata da Natalie Morales), un'aspirante artista alle prese con un lavoro da precaria, durante un incidente si ritrova ad affrontare un orrendo mostro geneticamente modificato. A salvarla, allora, interviene Middleman (Matt Keeslar), una sorta di supereroe specializzato in casi bizzarri su scienziati pazzi, alieni, mostri da baraccone, scimmioni parlanti e altre follie assortite. La ragazza diventa assistente dell'ironico super-agente, accompagnandolo nelle sue stravaganti avventure spazio-temporali lungo dodici episodi che strizzano l'occhio anche al mitico Doctor Who.
Le proteste dei fans e della critica, comunque, hanno prodotto già un primo risultato, poiché – in attesa di una nuova stagione televisiva – The Middleman torna alle origini: "Il tredicesimo episodio che avrebbe dovuto chiudere la prima serie – annuncia Javier Grillo-Marxuach – uscirà come graphic novel, scritta da me e disegnata da Armando M. Zanker e Les McClaine". Il già attesissimo volume a fumetti s'intitolerà The Middleman: The Doomsday Armageddon Apocalypse e sarà presentato in anteprima mondiale a luglio durante il prestigioso San Diego Comic Con.
martedì 23 giugno 2009
TARANTINO SENIOR E LA PIZZA
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 23 giugno 2009)
(Il Mattino - 23 giugno 2009)
Dopo le autentiche scorpacciate di pizza e pasta fresca dei giorni scorsi, Tony Tarantino (qui nella foto) è stato ricevuto ieri nella sede del Comune di Napoli, dove l'assessore Valeria Valente lo ha accolto con una medaglia e un volume fotografico sulle bellezze della città.
Il regista e produttore italo-americano, papà del più famoso Quentin, si è mostrato visibilmente commosso per l'omaggio da parte della città che i suoi nonni lasciarono all'inizio del Novecento per emigrare negli Stati Uniti. «Questa è stata la mia prima volta a Napoli - ha detto Tarantino - ma conosco benissimo la città dai racconti d'infanzia di mio nonno e mio padre. Per questo non vedevo l'ora di visitarla. Anzi, vi confesso che ho accettato di produrre il mio nuovo film proprio perché la storia è ambientata qui e così avrò modo di girarlo nella città che amo tanto». Il film, sceneggiato dalla scrittrice napoletana Antonia Tosini, s'intitola «Between the Olive Trees» ed è probabile che Tarantino senior giri, non prima del prossimo anno, molte sequenze in città.
Intanto, proprio Napoli potrebbe far riavvicinare definitivamente Tony Tarantino e suo figlio Quentin con il quale il rapporto personale è abbastanza problematico. A lanciare l'idea è Rino Piccolo della Latina Film Commission (che ha curato il soggiorno italiano del cineasta). «Ne abbiamo parlato a Roma - ha raccontato Piccolo - con Barbara Bouchet, buona amica di Quentin. E lei farà da tramite tra i due per un incontro che vorrei organizzare proprio a Napoli».
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Ps: Articolo forse un po' trash, ma la storia era giornalisticamente curiosa...
lunedì 22 giugno 2009
TENZIN PALMO, VENERABILE MAESTRA BUDDISTA
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 22 giugno 2009)
(Il Mattino - 22 giugno 2009)
Esistono donne e uomini che, attraverso la meditazione, hanno saputo prendere piena coscienza di sé per andare oltre i concetti stessi di speranza e di paura. Jetsunma Tenzin Palmo (qui sotto, nella foto) è una di loro. E la venerabile maestra («Jetsunma» significa proprio questo) della tradizione buddista tibetana sarà domani a Napoli, alle 17 all’Istituto italiano per gli Studi filosofici, per un seminario, organizzato in collaborazione con «L’arte della felicità», durante il quale parlerà della propria straordinaria esperienza di donna occidentale ordinata monaca buddista tibetana già negli anni Sessanta (una delle prime), fino al riconoscimento come venerabile maestra per i suoi sforzi a favore della pratica femminile nel Buddismo tibetano.
Tenzin Palmo diventa buddista tibetana negli anni dell’adolescenza e nel 1964, a vent’anni, decide di recarsi in India per proseguire nel suo cammino spirituale. Per sei anni, dopo l’incontro col suo guru, rimane nella regione indiana dell’Himachal Pradesh, prima in comunità e poi nel monastero di Lahaul. In seguito, per assecondare la propria esigenza di una pratica più intensa, trova una grotta ad alta quota e vi rimane in meditazione e ritiro per ben dodici anni. Dalla metà degli anni Novanta inizia ad adoperarsi per creare un monastero femminile in quella stessa regione del Nord dell’India, per offrire alle monache la possibilità di studiare e accedere agli insegnamenti superiori. Così, nel 2000 apre il monastero di Dongyu Gatsal Ling, che attualmente ospita quarantasei monache. Anche per questo, lo scorso anno le viene conferito il titolo di venerabile maestra.
Ma come nasce in una donna occidentale l’esigenza interiore di appartarsi in ritiro spirituale in una grotta per dodici anni?
«Quando divenni buddista, da adolescente, mi resi conto che quella era la cosa che mi importava di più. Da allora, non ho cercato più distrazioni e ho voluto dedicare tutta la vita al Buddismo. Così, dopo i primi anni in India, ho cercato un luogo nel quale praticare indisturbata e il passaggio dal piccolo monastero alla caverna c’è stato in modo naturale».
La sua concreta esperienza rappresenta un ponte tra cultura occidentale e orientale. Che ne pensa?
«Per me è utile che una disciplina orientale come il Buddismo venga spiegata da un punto di vista occidentale: avere un piede nei due mondi, infatti, consente di fa capire meglio che il Buddismo non è poi così alieno e remoto, ma è basato su elementi di semplice buon senso, che si possono tranquillamente integrare nella vita quotidiana di qualunque individuo, senza dover necessariamente aderire al pensiero buddista. Alle mie conferenze chiedo sempre quanti buddisti ci sono in sala e in genere metà del pubblico non lo è. Ma questo messaggio è interessante per chiunque, per i credenti di qualsiasi religione e per i non credenti, poiché parla delle qualità di base di un essere umano e di come svilupparle».
Come si sta evolvendo, anche grazie al suo impegno, la questione femminile nella tradizione buddista tibetana?
«Al di là del Buddismo, nella nostra società serve un maggiore equilibrio tra maschile e femminile. Solo così, infatti, uomini e donne procederanno davvero mano nella mano verso un mondo basato sull’essere umano completo, non soltanto maschile. Per quanto riguarda monache e monaci, siccome fino a poco tempo fa non esistevano monasteri femminili, le differenze erano concrete ed evidenti, nonostante la preparazione di molte donne. Con più monasteri femminili, però, la situazione è destinata a migliorare ancora».
In passato è già stata in Italia e a Napoli?
«Ho vissuto per qualche anno ad Assisi e l’Italia mi piace molto. Ho iniziato a venirci quando ho deciso di ri-sintonizzarmi con la cultura occidentale dopo aver vissuto per ventiquattro anni in India. A Napoli, però, non sono mai stata e non vedo l’ora di conoscerla. Anzi, questa è certamente una delle tappe che m’incuriosiscono di più tra quelle del mio tour di conferenze attraverso l’Europa».
venerdì 19 giugno 2009
MUMMIE E FARAONI
Di Diego Del Pozzo
La partita di calcio di ieri sera tra Italia ed Egitto ha scatenato una corsa sfrenata al luogo comune, tra il banale e il vagamente offensivo, su tutti i mass media nazionali.
Nel commentare la storica sconfitta della nazionale italiana, infatti, non c'è stato un solo giornale che non abbia scherzato, nei propri titoli, con i termini "mummia" e "faraone".
Nessuno che abbia pensato a una cosa molto banale: che cosa avremmo detto, noi italiani, se dopo una partita mal giocata e persa contro la Germania o l'Inghilterra i giornali tedeschi o britannici avessero titolato, a caratteri cubitali, "ITALIA, CHE PIZZA!"?
Insomma, costa tanto un po' di originalità?
giovedì 18 giugno 2009
IL BIZZARRO PAPA' DI QUENTIN TARANTINO
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 18 giugno 2009)
(Il Mattino - 18 giugno 2009)
Potrebbe essere il personaggio ideale di un film diretto da suo figlio Quentin. Sì, perché la vita di Tony Tarantino, per uno strano cortocircuito temporale, sembra davvero uscita di peso da una pellicola del regista di “Pulp Fiction” e del nuovo “Bastardi senza gloria”.
Nato a New York nel 1940 da nonni napoletani e cresciuto a Los Angeles, Tony è stato pilota di aerei e cintura nera di karate e kung-fu, arciere e ballerino provetto, cantante folk nei localini della Bay Area e attore di teatro e cinema, produttore, regista e sceneggiatore, ma anche esperto addestratore di cavalli. Insomma, un personaggio quantomeno originale, capace di godere intensamente ogni singolo istante di quella che – citando la prima sceneggiatura professionale di Quentin, portata sul grande schermo da Tony Scott – può essere senz’altro definita “Una vita al massimo”.
Tony Tarantino è per la prima volta in Italia, in questi giorni, per un workshop sull’industria cinematografica statunitense presso l’Accademia del cinema e della televisione di Cinecittà. Nel fine settimana, sarà a Napoli, alla ricerca delle sue origini, ospite del musicista Tony Sorrentino e della moglie, la sceneggiatrice Antonia Tosini, assieme alla quale Tarantino senior sta ultimando lo script di un nuovo film, “Between the Olive Trees”, che sarà interpretato, tra gli altri, anche da Daniela Fiorentino, cantante e attrice già vista nel musical “C’era una volta… Scugnizzi” e nelle fiction “La squadra” e “Un posto al sole”. Durante il soggiorno partenopeo, Tarantino sarà ricevuto al Comune di Napoli, dove l’assessore Valeria Valente, lunedì prossimo alle 17, gli consegnerà una medaglia commemorativa.
Ma cosa si aspetta Tony Tarantino dalla prima volta nella sua città d’origine?
“Una valanga di energia che mi avvolge e mi urla: “Bentornato a casa!”. Non vedo l’ora di scoprire i luoghi dai quali, all’inizio del Novecento, i miei nonni partirono per l’America: mia nonna era di Napoli, mentre il nonno era originario di Castellammare di Stabia, dove faceva il pescatore. Appena hanno potuto, si sono imbarcati alla volta di New York, dove poi è nato mio padre Dominic”.
Il primo Tarantino a lavorare nel mondo del cinema.
“Sì, papà ha fatto l’attore in tanti western girati negli anni Trenta presso gli studi di Burbank in California. E in quei film ha avuto modo di lavorare fianco a fianco con specialisti del genere come Buck Jones, Tim McCoy, Tom Mix, Hoot Gibson e Fred Thompson”.
Quindi, lei ha ereditato direttamente da suo padre la passione per il cinema.
“Senz’altro, anche se da bambino non l’ho mai visto sul set, perché non ero ancora nato. Dopo il matrimonio, infatti, i miei genitori si trasferirono a New York e papà trovò un lavoro “serio” per mantenere la famiglia. Poi, si arruolò e fece la Seconda guerra mondiale, così io l’ho conosciuto soltanto quando avevo già cinque anni. Il cinema, però, ha accompagnato tutta la mia infanzia e adolescenza, grazie ai suoi racconti, pieni di nostalgia e rimpianto per quella vita che lui amava tanto e che dovette mettere da parte”.
Il Tarantino più famoso nel mondo del cinema, però, è indubbiamente suo figlio Quentin.
“Del quale sono tremendamente orgoglioso, perché lo adoro. Anzi, posso dire che gioisco molto più per i suoi successi che per i miei. Mi dispiace che tra di noi vi sia più che altro una frequentazione a distanza, dovuta anche ai ritmi frenetici delle rispettive vite professionali”.
In realtà, l’allora ventunenne Tony Tarantino e la sedicenne Connie McHugh si separarono già nel 1962, mentre la ragazza era incinta. A crescere Quentin, dunque, è stato il musicista Curt Zastoupil, col quale la madre si sposò quando il bambino aveva appena due anni.
Tony Tarantino è per la prima volta in Italia, in questi giorni, per un workshop sull’industria cinematografica statunitense presso l’Accademia del cinema e della televisione di Cinecittà. Nel fine settimana, sarà a Napoli, alla ricerca delle sue origini, ospite del musicista Tony Sorrentino e della moglie, la sceneggiatrice Antonia Tosini, assieme alla quale Tarantino senior sta ultimando lo script di un nuovo film, “Between the Olive Trees”, che sarà interpretato, tra gli altri, anche da Daniela Fiorentino, cantante e attrice già vista nel musical “C’era una volta… Scugnizzi” e nelle fiction “La squadra” e “Un posto al sole”. Durante il soggiorno partenopeo, Tarantino sarà ricevuto al Comune di Napoli, dove l’assessore Valeria Valente, lunedì prossimo alle 17, gli consegnerà una medaglia commemorativa.
Ma cosa si aspetta Tony Tarantino dalla prima volta nella sua città d’origine?
“Una valanga di energia che mi avvolge e mi urla: “Bentornato a casa!”. Non vedo l’ora di scoprire i luoghi dai quali, all’inizio del Novecento, i miei nonni partirono per l’America: mia nonna era di Napoli, mentre il nonno era originario di Castellammare di Stabia, dove faceva il pescatore. Appena hanno potuto, si sono imbarcati alla volta di New York, dove poi è nato mio padre Dominic”.
Il primo Tarantino a lavorare nel mondo del cinema.
“Sì, papà ha fatto l’attore in tanti western girati negli anni Trenta presso gli studi di Burbank in California. E in quei film ha avuto modo di lavorare fianco a fianco con specialisti del genere come Buck Jones, Tim McCoy, Tom Mix, Hoot Gibson e Fred Thompson”.
Quindi, lei ha ereditato direttamente da suo padre la passione per il cinema.
“Senz’altro, anche se da bambino non l’ho mai visto sul set, perché non ero ancora nato. Dopo il matrimonio, infatti, i miei genitori si trasferirono a New York e papà trovò un lavoro “serio” per mantenere la famiglia. Poi, si arruolò e fece la Seconda guerra mondiale, così io l’ho conosciuto soltanto quando avevo già cinque anni. Il cinema, però, ha accompagnato tutta la mia infanzia e adolescenza, grazie ai suoi racconti, pieni di nostalgia e rimpianto per quella vita che lui amava tanto e che dovette mettere da parte”.
Il Tarantino più famoso nel mondo del cinema, però, è indubbiamente suo figlio Quentin.
“Del quale sono tremendamente orgoglioso, perché lo adoro. Anzi, posso dire che gioisco molto più per i suoi successi che per i miei. Mi dispiace che tra di noi vi sia più che altro una frequentazione a distanza, dovuta anche ai ritmi frenetici delle rispettive vite professionali”.
In realtà, l’allora ventunenne Tony Tarantino e la sedicenne Connie McHugh si separarono già nel 1962, mentre la ragazza era incinta. A crescere Quentin, dunque, è stato il musicista Curt Zastoupil, col quale la madre si sposò quando il bambino aveva appena due anni.
La travolgente passione per il cinema, però, è certamente il “filo rosso” che lega tra loro tre generazioni di Tarantino.
mercoledì 17 giugno 2009
SERIE TV: INTERVISTA A GIORGIO PASOTTI
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 17 giugno 2009)
(Il Mattino - 17 giugno 2009)
Un clima adrenalinico alla «E.R.» ma anche giochini sentimentali degni di «Grey’s Anatomy»: è il mix che propone «La scelta di Laura», la nuova serie tv di ambientazione ospedaliera (a dispetto della crisi del genere medical) prodotta da Taodue e in onda da stasera su Canale 5 per sei settimane (dodici episodi da 50 minuti ciascuno, in onda due alla volta).
A dirigere la serie è Alessandro Piva, regista salernitano, ma pugliese d’adozione, proveniente dal cinema: suo, dieci anni fa, il premiatissimo esordio a basso budget «LaCapaGira». In un contesto di grande coralità, nel cast spiccano le due coppie medico-specializzanda composte da Laura e Fabio e da Rebecca e Jonas, interpretati rispettivamente da Giulia Michelini, Giorgio Pasotti (i due, nella foto sopra), Camilla Filippi e Ivan Franek. E sarà proprio il punto di vista di Laura, nel corso della serie, ad accompagnare lo spettatore tra le corsie del Pronto Soccorso, descritto come un’autentica arena nella quale s’intrecciano le vicende umane e professionali dei medici, tra piccole e grandi conquiste quotidiane, drammi e sorrisi, compromessi e giochi di potere; e, naturalmente, gli inevitabili intrecci sentimentali.
Reduce dal successo del «David Copperfield» tv, dopo aver girato come regista uno spot per sensibilizzare i giovani all’uso del profilattico e prima del set estivo di «Baciami ancora» (l’atteso sequel de «L'ultimo bacio» di Muccino), Giorgio Pasotti si dice entusiasta di questa serie. Nel frattempo ha preparato un progetto per una fiction su uno dei suoi miti, il pugile Tiberio Mitri perché, spiega, «amo il pugilato come metafora della vita». A ottobre, invece, uscirà per Mondadori il suo romanzo di formazione «La mia Cina».
Pasotti, quali sono i punti di forza della serie?
«Sicuramente la leggerezza dell’approccio, con punte di ironia anche abbastanza insolite in fiction italiane di questo tipo. Credo che in ciò sia stato determinante lo sguardo del regista Alessandro Piva».
Vuole presentare il suo personaggio?
«Fabio Moreno è un medico serio e coscienzioso, reduce da una esperienza africana con Medici senza frontiere, nel corso della quale ha conosciuto la morte e la sofferenza. Si ritrova al Pronto Soccorso perché ha deciso di prendersi un anno sabbatico, in trincea. Fabio, infatti, ama il suo mestiere e, anche nel nuovo ruolo, diventa subito il punto di riferimento del reparto, pur non essendone il primario».
Al centro c’è il rapporto con Laura.
«Si tratta di una storia che Fabio vive con imbarazzo, proprio per non confondere vita privata e professionale, ma anche perché, volendo tornare in Africa, non intende creare illusioni nella ragazza».
Per costruire il suo personaggio si è rifatto a qualche modello delle serie americane più famose?
«Non ho mai avuto modo di seguire queste serie. Non per snobismo, ma per pura mancanza di tempo. Di Fabio ho cercato di valorizzare soprattutto l’aspetto umano. Tra l’altro, per essere più convincenti, noi attori abbiamo seguito un training sul campo, assistendo a piccoli interventi in un vero ospedale, imparando a eseguire suture, massaggi cardiaci e a maneggiare il defibrillatore. E pensare che da bambino io volevo fare davvero il medico».
Dopo «La scelta di Laura», lei è pronto per il seguito de «L'ultimo bacio».
«Sì. Cominceremo a girare a fine giugno e andremo avanti per tutta l’estate, fino alla metà di settembre. Tranne Giovanna Mezzogiorno, in “Baciami ancora” ci sarà tutto il gruppo di attori del primo film. E sarà interessante ritrovare i nostri personaggi a dieci anni di distanza, per raccontarne i mutamenti, la crescita e la nuova consapevolezza che si può avere a quarant’anni rispetto a quando se ne avevano trenta».
domenica 14 giugno 2009
IPSE DIXIT: DANTE ALIGHIERI
"[...] Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza".
Dante Alighieri
(La Divina Commedia - Inferno: Canto ventiseiesimo, versi 119-120)
sabato 13 giugno 2009
SERIE TV: SUPERMAN NEGLI ANNI '50
Di Diego Del Pozzo
(Mega n.° 144 - Giugno 2009)
(Mega n.° 144 - Giugno 2009)
Già due anni dopo gli esordi sulla testata Action Comics, pubblicata dalla DC Comics, il personaggio di Superman – creato nel 1938, dalla fertile fantasia di Jerry Siegel e Joe Shuster – approda in radio, nel 1940, in un drama nel quale ha la voce di Bud Collier e nel corso del quale vengono introdotti elementi come il nome del giornale (Daily Planet) dove lavora Clark Kent (l’occhialuto alter ego del nostro eroe, perennemente messo in difficoltà dalla ben più agguerrita collega Lois Lane, che in anni recenti finirà per sposare) e, nel 1945, persino la kryptonite, l’unica debolezza del personaggio, inserita nei fumetti soltanto a partire dal 1949. In televisione – dopo il breve e misconosciuto ciclo di film interpretati da Kirk Alyin – l’eroe è protagonista della serie Le avventure di Superman (Superman, 1951), col volto del già citato attore George Reeves (che poi si suiciderà, misteriosamente, il 16 giugno 1959).
Trasmesso dal 19 settembre 1952 (episodio Superman on Earth) al 28 aprile 1958 (il conclusivo All That Glitter), il telefilm – prodotto da Robert Maxwell e Bernard Luber, pronto già nel 1951, ma mandato in onda soltanto dall’anno successivo, quando la Kellogg lo sponsorizza – va avanti, con ottimo successo, per 104 episodi. Gli appuntamenti televisivi sono preceduti dalla messa in onda, nel dicembre 1951, del film Superman and the Mole Men, proiettato anche al cinema e che, nella versione per il piccolo schermo, fa da pilot della serie. Le prime due stagioni sono realizzate in bianco e nero, mentre dalla terza – rinviata al 1955, ma anticipata l’anno precedente dallo speciale Stamp Day for Superman – ogni puntata è, invece, a colori. La serie ha effetti speciali che oggi appaiono piuttosto grossolani, ma che in realtà sono fuori dal comune per l’epoca, soprattutto in relazione al basso costo dello show (li realizza l’esperto Thol Simonson).Le avventure di Superman, però, si lascia apprezzare soprattutto per come dà spazio ai rapporti quotidiani tra i vari personaggi, innanzitutto tra Clark/Superman e Lois Lane: e proprio il rapporto uomo/donna è tra gli elementi più interessanti del telefilm, con la Lois tratteggiata da Phyllis Coates prima e da Noel Neill poi, perfetta come emblema della donna in carriera che si affaccia sulla scena della società iniziando a minare le certezze del maschio americano medio (il quale, solo trasformandosi in “superuomo”, forse, può recuperare la propria centralità: non a caso, infatti, Lois prende costantemente in giro l’imbranato alter ego umano di Superman). Vanno segnalati i bellissimi titoli di alcuni episodi: Czar of the Underworld (Zar del sottosuolo), The Clown Who Cried (Il pagliaccio che piangeva), The Boy Who Hated Superman (Il ragazzo che odiava Superman), Through the Time Barrier (Attraverso i confini del tempo), fino al penultimo The Perils of Superman (I travagli di Superman) che cita fin dal titolo i celebri serial cinematografici avventurosi degli anni Dieci, tra i modelli dichiarati della narrazione seriale televisiva e rievocati, per esempio, poco tempo prima dal film La storia di Pearl White (The Perils of Pauline), diretto nel 1947 da George Marshall.
E a proposito di rievocazioni cinematografiche, la vicenda dell’interprete della serie, George Reeves, nonché le atmosfere del set e, più in generale, quelle di un periodo nel quale la tv statunitense sperimentava nuovi formati e nuove idee, è ottimamente ricostruita in un film uscito un paio di anni fa: si tratta di Hollywoodland (id., 2006), diretto da Allen Coulter e interpretato da Ben Affleck nel ruolo di Reeves/Superman. Invece, chi volesse reperire facilmente il film che fece da pilot alla serie degli anni Cinquanta, cioè il citato Superman and the Mole Men, può trovarlo tra gli straordinari contenuti speciali del cofanetto di quattro dvd nel quale è stato recentemente ripubblicato il Superman diretto nel 1978 da Richard Donner e interpretato dal compianto Christopher Reeve. Tra l’altro, per concludere va ricordato che proprio le quattro versioni cinematografiche con Reeve – Superman (id., 1978), gli ironici Superman II (id., 1980) e Superman III (id., 1983) di Richard Lester, Superman IV (Superman IV: The Quest for Peace, 1987) di Sidney J. Furie – sono in commercio anche nel “mega-cofanetto” Warner intitolato Christopher Reeve Superman Collection, che contiene addirittura nove dvd e una miriade di contenuti speciali più e meno rari.
E a proposito di rievocazioni cinematografiche, la vicenda dell’interprete della serie, George Reeves, nonché le atmosfere del set e, più in generale, quelle di un periodo nel quale la tv statunitense sperimentava nuovi formati e nuove idee, è ottimamente ricostruita in un film uscito un paio di anni fa: si tratta di Hollywoodland (id., 2006), diretto da Allen Coulter e interpretato da Ben Affleck nel ruolo di Reeves/Superman. Invece, chi volesse reperire facilmente il film che fece da pilot alla serie degli anni Cinquanta, cioè il citato Superman and the Mole Men, può trovarlo tra gli straordinari contenuti speciali del cofanetto di quattro dvd nel quale è stato recentemente ripubblicato il Superman diretto nel 1978 da Richard Donner e interpretato dal compianto Christopher Reeve. Tra l’altro, per concludere va ricordato che proprio le quattro versioni cinematografiche con Reeve – Superman (id., 1978), gli ironici Superman II (id., 1980) e Superman III (id., 1983) di Richard Lester, Superman IV (Superman IV: The Quest for Peace, 1987) di Sidney J. Furie – sono in commercio anche nel “mega-cofanetto” Warner intitolato Christopher Reeve Superman Collection, che contiene addirittura nove dvd e una miriade di contenuti speciali più e meno rari.
giovedì 11 giugno 2009
CARLA BOZULICH A NAPOLI!
Di Diego Del Pozzo
Sarà una performance imperdibile, quella che Carla Bozulich offrirà ai fans napoletani (e non solo) domenica 21 giugno, alle ore 18, nella inusuale e suggestiva cornice del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (Sala del Toro Farnese), in occasione della "Giornata Europea della Musica 2009".
La Bozulich (qui nella foto) si esibirà in uno spettacolo sonoro inedito intitolato Bloody Claws, nel corso del quale sarà accompagnata dal violoncello di Francesco Guerri. Lei stessa descrive così lo show: "Si tratta di una performance di musica, suoni, rumore; una collisione tra armonia e dissonanza, un'estasi violenta e delicata all'interno di un cubo di vetro. Canzoni, probabilmente". Canzoni, va aggiunto, cantate con la sua voce assolutamente unica e inconfondibile, accompagnata da una chitarra "malata", da numerosi samples e dal violoncello di Guerri: "Per dare forma - spiega ancora Carla - a un qualcosa di scuro e intenso, una musica che punge, penetra, incide; ma che fa anche le fusa: una performance, insomma, che non è mai uguale a se stessa".
Col suo passato travagliato e la musica utilizzata quale valvola di sfogo e strumento di risalita e riscatto, Carla Bozulich è un personaggio assolutamente sopra le righe e al di fuori di ogni possibile schema: fragile, umorale, "vera" come poche altre artiste del panorama internazionale odierno. Musicista, performer, scrittrice divisa tra New York, Los Angeles e l'Europa, ha fondato influenti band dell'underground americano (Ethyl Meaplow, Geraldine Fibbers, Scarnella), inciso un disco con l'icona del country Willie Nelson e collabora assiduamente con Nels Cline (straordinario chitarrista avant-jazz-rock ora nella line-up dei grandissimi Wilco). Con la sua più recente "incarnazione", la band Evangelista, Carla ha raggiunto l'apice di un percorso artistico attraversato da genio e inquietudine, consolidando uno stile che attinge tanto dal blues quanto dal (post)rock e dall'avanguardia. Suona regolarmente nei più importanti festival di musica indipendente mondiali e le sono state commissionate performance e installazioni sonore presso la Schindler's House e il Getty Museum. Non è, dunque, nuova a esibirsi in spazi non convenzionali come quelli museali ed è particolarmente incline a sperimentare incroci e attraversamenti tra diverse forme artistiche ed espressive.
L'evento partenopeo, a ingresso gratuito, è organizzato in collaborazione tra Associazione Culturale Wakeupandream, Servizio Educativo della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei, Galleria Toledo Musica, nell'ambito delle iniziative di promozione di "Campania/Artecard-Eventi 365" e col contributo del Comune di Napoli.
martedì 9 giugno 2009
UN LIBRO RICORDA FABIO MANISCALCO
Di Diego Del Pozzo
In tempo di guerra non vengono distrutti soltanto i corpi e le anime degli uomini. A essere devastate sono pure le vestigia delle loro culture e, quindi, la memoria del loro passato. Da questa amara consapevolezza ha preso le mosse l'intera parabola professionale ed esistenziale di Fabio Maniscalco, lo studioso napoletano scomparso il primo febbraio del 2008 a soli quarantatre anni e al quale un gruppo di amici e sodali ha voluto dedicare il bel volume fotografico Civiltà in trincea. Omaggio a Fabio Maniscalco, pubblicato dalle edizioni Arte'm.
Esperto archeologo, Maniscalco ha dedicato la sua intera vita - come ricorda un commosso Raffaele Porta, nella prefazione che apre il libro - "al rispetto e all’attuazione reale delle disposizioni della Convenzione dell'Aja (1954) sulla tutela del patrimonio storico ed artistico, prodigandosi senza risparmio a preservare le civiltà devastate di Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Albania, Medioriente, Algeria, Nigeria, Afghanistan, Iraq dagli scempi della guerra e del fanatismo". Maniscalco, infatti, ha preso parte, con lo straordinario entusiasmo che sempre lo caratterizzava, a numerosi progetti per la protezione dei beni culturali nelle zone di guerra, fin dagli anni Novanta vissuti in prima linea sul fronte balcanico lacerato da un conflitto che egli stesso considerava assurdo nelle premesse e nelle conseguenze.
Proprio lì, in Bosnia, ha avuto modo di lavorare per sei mesi come ufficiale di complemento, facendo valere le competenze di esperto archeologo e dedicandosi a un prezioso monitoraggio dei beni culturali nelle zone bombardate, lavoro che ha prodotto anche un utilissimo volume dedicato a Sarajevo. Stessa passione e abnegazione Maniscalco ha saputo mettere anche nelle successive esplorazioni in Palestina, dove è riuscito ad andare ben oltre le divisioni politiche tra due popoli in conflitto perenne, per porre personalmente lo Scudo Blu (che simboleggia la protezione internazionale sotto l'egida dell'Onu) su tanti monumenti di Ramallah e Betlemme.
Sì, perché tratto caratteristico della personalità di Maniscalco è sempre stata la capacità di abbinare la raffinatezza e acutezza dello studioso di chiara fama (docente all'Orientale, alla Seconda Università di Napoli, presso l'Accademia delle Scienze di Albania e in numerosi altri organismi italiani e internazionali) al piglio deciso dell'uomo d'azione, pronto a correre sui luoghi più tormentati del pianeta - particolarmente rilevante, per esempio, è il suo lavoro in Kosovo - per provare a salvarne almeno la memoria e la cultura.
Il cuore del volume a lui dedicato è rappresentato dalle tante foto che Maniscalco stesso ha scattato nei luoghi dove ha avuto modo di operare. E dove, è il caso dei Balcani, è rimasto esposto, purtroppo, all'uranio impoverito e agli altri armamenti tossici causa del male crudele che lo ha prematuramente portato via. Di lui resta indelebile, però, l'impegno a favore della tolleranza e della cultura, ben testimoniato dalla richiesta di candidarlo al Premio Nobel per la Pace da parte di un'ottantina di autorità, istituzioni e singoli studiosi italiani e stranieri.
lunedì 8 giugno 2009
SERIE TV: RITORNO A BEVERLY HILLS
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 7 giugno 2009)
(Il Mattino - 7 giugno 2009)
Quasi vent'anni dopo, anche i telespettatori italiani possono tornare a "frequentare" la West Beverly Hills High School, il liceo più famoso della televisione americana: da domani sera - ore 21.50, due episodi alla volta - Raidue manda in onda 90210, nuova serie che riprende ambientazioni, situazioni e alcuni personaggi della storica Beverly Hills, 90210, fenomeno televisivo seriale ideato da Darren Star nel 1990. Una serie capace di generare per tutto il decennio un'isteria adolescenziale planetaria, con imponente merchandising collegato.
Da allora il clamoroso successo del Beverly Hills originale ha creato i presupposti per un autentico boom dei cosiddetti teen drama - telefilm basati su storie di adolescenti -, a partire da quelli derivati direttamente dal prototipo, i due spin-off Melrose Place e Models, Inc., passando per il più maturo Dawson's Creek, fino ai recenti The O.C. e Gossip Girl. Lezioni di cui ha dovuto tener conto anche 90210, che aggiorna la ricetta originale, adattandola a un pubblico reso scafato e disilluso da 18 anni in più di visioni seriali adolescenziali.
Come l'originale, anche la nuova serie - creata dal Rob Thomas già autore di Veronica Mars - seguirà la vita e le vicissitudini di una famiglia appena giunta a Beverly Hills: mentre negli anni '90 si trattava dei Walsh provenienti dal Minnesota, con i gemelli Brandon e Brenda interpretati da due giovanissimi Jason Priestley e Shannen Doherty, stavolta tocca alla famiglia Wilson, trasferitasi dal Kansas e composta dai fratelli Annie (Shenae Grimes) e Dixon (Tristan Wilds), dalla madre Debbie (Lori Loughlin) e dal padre Harrison (Rob Estes), pronto a prendere servizio come nuovo preside della scuola dove s'è diplomato anni prima. Tra i tanti personaggi che assicurano al telefilm la necessaria coralità spiccano quelli che collegano la serie a quella degli anni '90: la ribelle Erin Silver (Jessica Stroup), figlia di Jackie Taylor (Ann Gillespie) e sorellastra di Kelly (Jennie Garth) e David Silver (Brian Austin Green); poi Hannah Zuckerman-Vasquez (Hallee Hirsh), figlia di Andrea Zuckerman (Gabrielle Carteris) e Jesse Vasquez (Mark Damon Espinoza).
Ma i due ritorni più attesi da chi è cresciuto a pane e Beverly Hills, 90210 sono, senz'altro, quelli della già citata Kelly Taylor (Jennie Garth), ora consulente scolastico proprio presso la West Beverly High, e soprattutto della "mitica" Brenda Walsh interpretata dalla Doherty. "Ho parlato molto con i produttori - racconta Shannen - per decidere bene che cosa avesse fatto Brenda, in questi anni, dopo essersi trasferita dalla California a Londra: lei ora è un'attrice teatrale di successo e decide di tornare per insegnare teatro nella sua vecchia scuola. La cosa più importante per me è che i produttori abbiano tenuto presente la corretta evoluzione del personaggio". Nella seconda stagione, attualmente in onda negli Stati Uniti, è previsto anche il ritorno del personaggio di Donna Martin (Tori Spelling). "Anche con Tori - spiega Jennie Garth - è stato piacevole ritrovarsi. Tra l'altro, mi ha sorpreso guardare i protagonisti più giovani della nuova serie e scoprire come fossero più sicuri e consapevoli di quanto eravamo noi all'epoca dello show originale".
Partita, negli Usa, con 5 milioni di telespettatori sul piccolo canale CW, 90210 ne è diventato il programma leader. Tra gli ambienti ricorrenti che uniscono nuova e vecchia serie vi è il Peach Pit, luogo-simbolo che fa da ritrovo dei giovani protagonisti, un po' come lo storico Arnold’s in Happy Days: come allora, il locale è gestito dal personaggio di Nat, ancora interpretato, 18 anni dopo, da Joe E. Tata. Nella versione italiana da segnalare la voce di nonna Tabitha, affidata a Marina Tagliaferri, attrice e doppiatrice, personaggio storico della soap Un posto al sole.
LE FOTO AEREE DI LAWSON E TOKUNAGA
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 7 giugno 2009)
(Il Mattino - 7 giugno 2009)
Fotografare da un jet militare lanciato a tutta velocità non è la cosa più semplice di questo mondo. Quando si riesce nell'impresa, però, i risultati possono essere straordinari. E lo sanno bene l'americano Bob Lawson e il giapponese Katsuhiko Tokunaga, due tra i massimi fotografi viventi specializzati in foto e riprese aeree. I due sono a Napoli, ospiti del Circolo ufficiali della Marina militare, dove sono proiettate le loro fotografie.
Lawson è stato per 40 anni il fotografo ufficiale della Marina militare degli Stati Uniti, per la quale ha immortalato le principali missioni aeree e i test di volo realizzati tra il 1951 e il 1977, con scatti sia da terra che in volo. Dopo il suo ritiro dal servizio, ha fondato la rivista The Hook, della quale è stato direttore fino al 1991. Nei suoi archivi personali custodisce oltre 500mila fotografie meticolosamente catalogate. Da parte sua, Katsuhiko Tokunaga, più giovane e cresciuto proprio nel mito di Lawson, è il fotografo ufficiale dei principali team acrobatici delle Aviazioni militari di ben ventisei nazioni. Tra questi anche le "Frecce Tricolori". Tokunaga ha accumulato più di ottocento ore di volo su jet ad alta velocità.
Nel corso della manifestazione napoletana, organizzata dall'Associazione nazionale ufficiali dell'Aeronautica militare italiana presieduta dal generale di brigata Giuseppe Lenzi, i due maestri della fotografia aerea svelano molti retroscena delle loro foto. "Adesso - spiega Lawson - vedrete di cosa sono capace quando mi danno una macchina fotografica. Ho sempre fatto così, fin dai tempi della mia prima, mitica Speed Graphic. Anche se, durante il mio primo volo del 1951, ero così emozionato che dimenticai di mettere a fuoco e il risultato fu un vero disastro». Mentre Lawson parla, sullo schermo scorrono immagini storiche di aerei celeberrimi come i Thunderbirds, salvataggi di paracadutisti, mappature di atolli o della giungla vietnamita: insomma, quattro decenni di storia militare del volo.
Non meno emozionante è, poi, il contributo di Tokunaga, che si dice onorato di essere a Napoli proprio assieme a Lawson: "Lo considero il mio mentore, poiché da ragazzo sono cresciuto guardando le sue foto aeree". Grazie al suo intervento, la platea capisce fino in fondo quale impresa sia realizzare foto tra le nuvole. "Serve un grande allenamento - racconta Tokunaga - perché si è sottoposti a sollecitazioni violente e si lavora indossando tute antigravità e caschi pesanti, respirando continuamente ossigeno dalle maschere. Ci si allena in camere gravitazionali e in centrifughe. A fare la differenza, poi, è l'esperienza, che ti aiuta a gestire i rischi e le limitazioni di spazio e tempo".
sabato 6 giugno 2009
IL TEMPO AGGIUSTA TUTTO
Di Pippo Cascone
Marcel Proust, nel suo lungo viaggio alla ricerca del tempo perduto, dedica poche pagine all'attualità politica del suo tempo. La sua opera vola troppo in alto (o scava troppo in basso) per dedicare eccessive attenzioni alle mediocri cronache del potere pubblico. Quando decide di indugiarvi è per arricchire la sua spietata analisi della società francese a cavallo del Novecento o, soprattutto, per approfondire il suo scavo minuzioso nella mente e nei sentimenti umani, al di là dello Spazio e del Tempo.
Chi cercasse nella Recherche riflessioni politico-filosofiche, prese di posizione, dichiarazioni di appartenenza, resterà deluso. Troverà, in compenso, alcune illuminanti considerazioni sulla mobilità sociale, sulla parabola delle carriere dei potenti, sulla fragilità e volubilità della cosiddetta opinione pubblica. Il passo di seguito citato è tratto dall'ultimo capitolo della Recherche. Il narratore, invitato dopo molti anni a una festa in casa della Principessa Guermantes, è stupito e angosciato dai segni che il tempo ha lasciato sui volti e sui corpi di persone frequentate in passato nelle sue serate mondane. Tra gli altri incrocia anche un vecchio ministro condannato per problemi penali, ma ora di nuovo in carica, onorato e vezzeggiato dai salotti parigini.
Pensando alla recente storia italiana si è portati a credere che il trasformismo, la scarsa memoria del popolo e la faccia tosta di alcuni amministratori della cosa pubblica, siano caratteristiche peculiari del nostro paese e della decadenza dei nostri tempi. Si è portati, per tutelare un minimo di speranza, a immaginare che altrove le cose siano diverse, che in passato la dignità e la dirittura morale avessero la meglio. Leggendo questa mezza pagina di Proust (scritta nel 1921) non si può che lasciare spazio alla tristezza e al disincanto. Forse cambiare epoca, o cambiare paese, non servirebbe a nulla. Non servirebbe a cambiare la sostanza delle cose:
"[...] Quell'ex Presidente del Consiglio, oggi così ben accolto nel Faubourg Saint-Germain, era stato oggetto un tempo di procedimenti penali, esecrato dall'alta società e dal popolo. Ma grazie al rinnovarsi degli individui che compongono l'una e l'altro e grazie al rinnovarsi, negli individui superstiti, delle passioni e persino dei ricordi, nessuno più lo sapeva ed oggi era tenuto in gran conto. Non c'è umiliazione, per quanto grande, cui non ci si debba rassegnare, sapendo che nel giro di qualche anno i nostri errori, sepolti, non saranno che una polvere invisibile sulla quale sorriderà la pace sorridente e la fioritura della natura. L'individuo momentaneamente tarato si troverà, grazie ai giochi di equilibrio del tempo, in mezzo a due nuovi strati sociali che avranno per lui soltanto deferenza e ammirazione, e fra i quali potrà comodamente adagiarsi. Ma è affidato, questo lavoro, al tempo. Nel momento dei guai, invece, niente può consolare quell'individuo del fatto che la ragazza della latteria di fronte casa l'abbia sentito chiamare "ladro" dalla folla urlante che gli mostrava i pugni mentre lui saliva sul cellulare. Quella ragazza, tuttavia, non vede le cose nella prospettiva del tempo e ignora che gli uomini incensati dal giornale del mattino furono in altri tempi screditati, e che quello minacciato in questo momento di prigione sarà un giorno esaltato dalla stampa e conteso dai salotti delle duchesse…" (Marcel Proust, Il tempo ritrovato, Mondadori, Meridiani Collezione).
[Nell'immagine in alto, lo scrittore Marcel Proust ritratto in un quadro di Jacques-Emile Blanche esposto al Museo d'Orsay di Parigi]
venerdì 5 giugno 2009
IL DEBUTTO DI STRACZYNSKI ALLA DC COMICS
Di Raffaele De Fazio
Sono destinate a suscitare grande interesse le uscite fumettistiche di questo mese della DC Comics, dal prosieguo di Blackest Night al ritorno di Adventure Comics (la storica serie gemella di Action Comics) alla nuova serie della Doom Patrol (by Keith Giffen).
In particolare, però, desta una certa curiosità l'atteso debutto nel DC Universe del grande sceneggiatore J. Michael Straczynski, al quale spetterà il compito di introdurre nella continuity dell'editore statunitense il Red Circle, ovvero i personaggi recentemente rilevati dalla DC Comics e precedentemente noti come Archie Heroes: si tratta di un gruppo di eroi minori e dimenticati che godranno del "Trattamento Straczynski", un autentico maestro nel ricostruire le origini di personaggi misconosciuti ma dall'enorme potenziale. D'altra parte, basti pensare a ciò che ha fatto, qualche tempo fa, nello splendido Twelve della Marvel Comics.
Questa ardita e raffinata operazione di "retro-continuity" si concretizzerà in quattro albi speciali, uno per ciascun personaggio: The Shield, Hangman, Inferno e The Web.
giovedì 4 giugno 2009
STONES BY KRUGER
Di Diego Del Pozzo
Voglio ringraziare l'amico Raffaele "Cele" De Fazio per avermi fatto scoprire, sul suo blog, l'arte del grandissimo Sebastian Kruger, forse il più incredibile ritrattista vivente specializzato in celebrità pop: un artista che crea le sue opere nella casa-studio in piena Foresta Nera e che ha esposto nelle principali gallerie di arte contemporanea del mondo.
Tra i suoi soggetti preferiti, ci sono sicuramente i Rolling Stones. E qui di seguito mi piace proporre questa straordinaria immagine tratta dal volume "Stones by Kruger", edito da Morpheus Gallery.
mercoledì 3 giugno 2009
SERIE TV: ARRIVA "MENTAL"
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 3 giugno 2009)
(Il Mattino - 3 giugno 2009)
Dopo The Listener e The Mentalist arriva Mental, la serie degli anni della globalizzazione. Con il telefilm da loro ideato e prodotto, infatti, i fratelli Dan e Deborah Joy LeVine assecondano le tendenze del mercato globalizzato, tra ricetta produttiva e lancio in contemporanea mondiale. Gli appassionati italiani - negli stessi giorni di quelli di altri 34 Paesi - potranno seguire la serie dalle 22 di domani su Fox (canale 110 di Sky), ma già da un paio di giorni possono gustare gratis il primo episodio sul sito di Fox e su MySpace.
I 13 episodi di Mental sono stati girati a Bogotà, in Colombia, abbattendo i costi di produzione e sperimentando nuove location. Il presidente dei Fox Tv Studios, Emiliano Calemzuk, sottolinea come la scelta rappresenti "un nuovo modello di business che ci darà un vantaggio competitivo e che, probabilmente, farà riflettere l'intera industria".
Mix tra mistery e medical drama, il nuovo telefilm ha come argomento centrale la complessità della mente umana. Protagonisti sono l'affascinante Chris Vance, già visto in Prison Break, e un'attrice di rango come Annabella Sciorra, forte di significative esperienze televisive (si pensi a I Soprano) e cinematografiche. In Mental, Vance è il controverso Jack Gallagher, giovane psichiatra che utilizza metodi di cura decisamente anticonvenzionali. Dopo avere viaggiato molto, decide di accettare un incarico a Los Angeles e stabilirsi, così, nella stessa città della sorella gemella. Qui accetta la nomina a direttore del Dipartimento di salute mentale del Warthon Memorial Hospital, dove porta i suoi metodi rivoluzionari nel trattare i pazienti e, soprattutto, la sua capacità di leggere nei loro pensieri e penetrare nelle loro menti. "Mi sono concentrato - spiega Vance - sul lato più affascinante e rivelatore della psiche umana, per cercare di comprenderne al meglio i tanti misteri. Poi, però, ho anche dovuto rendere efficacemente la passione e l'umanità del personaggio di Jack, nelle sue relazioni quotidiane con gli altri membri dello staff dell'ospedale».
Nel corso della serie, le idee innovative e anticonvenzionali del dottor Gallagher cozzeranno con quelle degli altri suoi colleghi e, in particolare, con la gestione più "conservatrice" della direttrice dell'istituto, Nora Scott (la Sciorra) che diventerà, però, ben presto il principale alleato del protagonista. Le dinamiche tra i due, ma non solo quelle, rimandano a quel Dr. House ormai studiato persino in saggi di esegesi filosofica (come La filosofia del Dr. House. Etica, logica ed epistemologia di un eroe televisivo, edizioni Ponte alle Grazie).
martedì 2 giugno 2009
NAPOLI CITTA' VIOLENTA SECONDO MACINTYRE
Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 2 giugno 2009)
Il volto più oscuro e violento di Napoli sarà esplorato nella nuova serie di documentari d'inchiesta realizzati da uno tra i più celebri giornalisti investigativi del mondo: l'irlandese Donal MacIntyre. La serie, intitolata Donal MacIntyre: città violente e dedicata agli scenari malavitosi di dieci importanti metropoli internazionali, si vedrà venerdì in prima italiana al Bellaria Film Festival - Anteprimadoc, il festival diretto da Fabrizio Grosoli in programma a Bellaria Igea Marina da oggi a sabato. E per l'anteprima italiana è stato scelto proprio l'episodio che MacIntyre ha realizzato a Napoli: la puntata, della durata di sessanta minuti come tutte le altre, sarà proiettata venerdì (alle 18, con i giornalisti Pino Corrias e Sandro Ruotolo come ospiti), in collaborazione con Discovery Channel (canali 401 e 420 di Sky) che, da venerdì 12 giugno, trasmetterà l'intera serie.
MacIntyre (qui nella foto), quarantatreenne dublinese, nel corso della sua spericolata carriera ha condotto numerose inchieste internazionali davvero "esplosive" sugli aspetti meno noti ed edificanti del mondo dello sport e di quello della moda, utilizzando ogni volta il suo "metodo" consistente nell'infiltrarsi sotto nome e professione falsi, con microtelecamere e microregistratori nascosti. Il suo show televisivo più celebre è stato finora la serie MacIntyre undercover trasmessa su Bbc1 e premiata da ottimi indici d'ascolto. Per questo suo nuovo programma, Donal MacIntyre: città violente (coprodotto da Zig Zag Productions per Discovery Networks Europe e Bravo Uk), il reporter irlandese ha investigato negli ambienti criminali di dieci città di tre continenti: Miami, Parigi, la sudafricana Cape Town, Napoli, Washington, la sua Dublino, Città del Messico, Praga, Istanbul e Odessa. L'ennesimo viaggio al termine della notte caratterizzato da non poche sequenze choc.
"Quando qualcuno mi chiede qual è stata, durante le riprese, la situazione nella quale ho sfiorato la morte più da vicino, non ho esitazioni a ricordare proprio un episodio napoletano", assicura MacIntyre. "Durante la lavorazione della puntata, mi sono trovato - prosegue - in sella a una moto della polizia, nel bel mezzo dell'inseguimento di alcuni camorristi in pieno centro cittadino. Eravamo lanciati a velocità elevatissima, intorno ai cento chilometri orari, in strade strette e molto affollate, con vecchie signore che ci spuntavano davanti all'improvviso. E, naturalmente, non avevamo il casco. Ecco, in quel frangente ho avuto davvero paura di morire".
In ogni puntata l’irlandese ha ascoltato le storie di chi lotta in prima linea contro il crimine, girando per le metropoli violente con le forze dell'ordine, mettendo a repentaglio anche la propria incolumità per avvicinarsi alle situazioni più calde. Il filo conduttore dell'episodio napoletano è rappresentato dal doppio volto della città: com'è possibile, si chiede l'autore, che un luogo tanto bello dal punto di vista storico-culturale da essere dichiarato patrimonio dell'umanità dall'Unesco, possa ospitare, tra le sue strade, alcune tra le più ricche e pericolose organizzazioni criminali del mondo? Nel corso dell'episodio, il reporter cerca le risposte intervistando, tra gli altri, il capo della squadra mobile Vittorio Pisani e l'imprenditrice anti-camorra Silvana Fucito; per poi lanciarsi, quasi sulle orme di Roberto Saviano, in un reportage che dall'inferno delle Vele di Scampia arriva a Casal di Principe, nel Casertano, dove padre Franco Picone gli racconta, con rara intensità, l'atroce assassinio di don Peppe Diana.
lunedì 1 giugno 2009
DUE PREMI PER VALENZI E CENTRO HURTADO
Di Diego Del Pozzo
Sempre nell'ambito di Galassia Gutenberg, la giuria tecnica del Premio Napoli ha annunciato, assieme alle terne dei libri vincitori nelle sezioni "Letteratura italiana" e "Letterature straniere", anche l'assegnazione di due Premi Speciali, attribuiti all'ex sindaco di Napoli Maurizio Valenzi e al Centro Alberto Hurtado (nella foto sotto).
Col riconoscimento a Valenzi - si legge nella motivazione - "La Fondazione Premio Napoli vuole rimarcare la figura sfaccettata e poliedrica, che a novembre compirà cento anni. Non solo il politico e l'uomo pubblico che da sindaco di Napoli ha aperto una nuova stagione della città, ma anche l'intellettuale e l'artista. Non solo l'aspetto di uomo pubblico onesto e lungimirante, ma anche quello di una personalità capace d'interpretare al meglio l'aspetto mediterraneo della città dove vive, anche per profonde ragioni biografiche, vista la nascita tunisina. Soprattutto per queste ragioni la Fondazione Premio Napoli ritiene di dedicare alla figura di Maurizio Valenzi la sua cinquantacinquesima edizione, anche per tenere viva una memoria storica recente che rischia di essere dispersa in un momento di grave degrado della vita pubblica italiana".
Il riconoscimento al Centro Hurtado, invece, ha la seguente motivazione: "La giuria del premio Napoli ha voluto anche quest'anno porre l'attenzione sulle periferie dell'area metropolitana, segnalando con un premio speciale un'iniziativa di alto valore educativo, culturale e sociale nel quartiere di Scampia: il Centro Hurtado nato nel 2006, nel viale della Resistenza al centro di Scampia, in una struttura costruita dal Comune di Napoli e affidata alla Compagnia di Gesù. Ne è l'animatore un gesuita da anni impegnato nella vita sociale del quartiere, Fabrizio Valletti; le attività e iniziative del centro sono curate e organizzate da Serena Gaudino. Ma soprattutto sono i giovani del quartiere ai quali è rivolta l'attività di formazione del centro per la loro crescita culturale e l'avviamento al lavoro, a darle vita e futuro. Sono loro che formandosi come operatori lavorano poi con i bambini e i ragazzi, e dimostrano con il loro impegno che anche in periferia nascono intelligenze ed energie morali e culturali capaci di contribuire alla crescita civile del territorio. Con la sua biblioteca rivolta in particolare all'educazione dei bambini e dei ragazzi alla lettura e all'uso degli strumenti multimediali; il laboratorio di sartoria; il laboratorio informatico; il magazzino per i giovani elettricisti; la cooperativa sociale; l'aula didattica di base; il caffè letterario per gli adulti, il Centro Hurtado è oggi una realtà viva e radicata, uno spazio di cultura e di civiltà per far crescere i nostri bambini e i nostri ragazzi in un clima diverso anche laddove il deserto del degrado sembra inarrestabile".
Col riconoscimento a Valenzi - si legge nella motivazione - "La Fondazione Premio Napoli vuole rimarcare la figura sfaccettata e poliedrica, che a novembre compirà cento anni. Non solo il politico e l'uomo pubblico che da sindaco di Napoli ha aperto una nuova stagione della città, ma anche l'intellettuale e l'artista. Non solo l'aspetto di uomo pubblico onesto e lungimirante, ma anche quello di una personalità capace d'interpretare al meglio l'aspetto mediterraneo della città dove vive, anche per profonde ragioni biografiche, vista la nascita tunisina. Soprattutto per queste ragioni la Fondazione Premio Napoli ritiene di dedicare alla figura di Maurizio Valenzi la sua cinquantacinquesima edizione, anche per tenere viva una memoria storica recente che rischia di essere dispersa in un momento di grave degrado della vita pubblica italiana".
Il riconoscimento al Centro Hurtado, invece, ha la seguente motivazione: "La giuria del premio Napoli ha voluto anche quest'anno porre l'attenzione sulle periferie dell'area metropolitana, segnalando con un premio speciale un'iniziativa di alto valore educativo, culturale e sociale nel quartiere di Scampia: il Centro Hurtado nato nel 2006, nel viale della Resistenza al centro di Scampia, in una struttura costruita dal Comune di Napoli e affidata alla Compagnia di Gesù. Ne è l'animatore un gesuita da anni impegnato nella vita sociale del quartiere, Fabrizio Valletti; le attività e iniziative del centro sono curate e organizzate da Serena Gaudino. Ma soprattutto sono i giovani del quartiere ai quali è rivolta l'attività di formazione del centro per la loro crescita culturale e l'avviamento al lavoro, a darle vita e futuro. Sono loro che formandosi come operatori lavorano poi con i bambini e i ragazzi, e dimostrano con il loro impegno che anche in periferia nascono intelligenze ed energie morali e culturali capaci di contribuire alla crescita civile del territorio. Con la sua biblioteca rivolta in particolare all'educazione dei bambini e dei ragazzi alla lettura e all'uso degli strumenti multimediali; il laboratorio di sartoria; il laboratorio informatico; il magazzino per i giovani elettricisti; la cooperativa sociale; l'aula didattica di base; il caffè letterario per gli adulti, il Centro Hurtado è oggi una realtà viva e radicata, uno spazio di cultura e di civiltà per far crescere i nostri bambini e i nostri ragazzi in un clima diverso anche laddove il deserto del degrado sembra inarrestabile".
In entrambi i casi, si tratta di premi che fanno onore alla manifestazione che li ha assegnati.
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