domenica 28 giugno 2009
FUMETTI: A LEZIONE DA BRUNO BRINDISI
Di Diego Del Pozzo
C’era una volta la scuola salernitana del fumetto, un gruppo di giovani amici che, in pieni anni Ottanta, riscrive le regole dei comics all’italiana senza nemmeno saperlo.
Siamo nel 1983 e il diciannovenne Bruno Brindisi (nato a Salerno il 3 giugno 1964: qui a lato, nella foto) disegna le sue tavole già dettagliatissime per la rivista amatoriale «Trumoon», assieme a Giuseppe De Nardo, Roberto De Angelis, Raffaele Della Monica, Luigi Siniscalchi, Giuliano e Giorgio Piccininno, Daniele Bigliardo, Luigi Coppola. A legarli c’è una straordinaria passione per il linguaggio del fumetto, trasformata negli anni in scelta professionale comune; peraltro, entrando a far parte, quasi in blocco, della più importante scuderia italiana, quella della Sergio Bonelli Editore di «Tex», «Zagor», «Martin Mystère», «Dylan Dog», «Nathan Never», «Nick Raider» e altre testate molto vendute e amate dagli appassionati.
Gli esordi salernitani, la gavetta sugli albi erotici e horror, le prime collaborazioni di prestigio, gli anni dell’ascesa professionale sono ricostruiti con dovizia di particolari e un’aneddotica mai fine a se stessa direttamente da Brindisi nel bel libro-intervista realizzato dal giovane critico napoletano Davide Occhicone per la meritoria collana «Lezioni di fumetto» di Coniglio Editore (Bruno Brindisi. Una linea chiara per raccontare l’orrore, pagg. 64, euro 8,50: nell'immagine a lato, la copertina). Il volume sarà presentato mercoledì a Napoli, alle 18 presso la libreria Feltrinelli di piazza dei Martiri, dall’autore e dall’intervistato, introdotti da Sergio Brancato, Giuseppe De Nardo e Marcello Napoli.
Nell’attuale panorama fumettistico italiano, Brindisi è uno dei disegnatori più amati, grazie al tratto limpido ed elegante (la cosiddetta linea chiara), alle sue tavole ricche e curatissime, ma anche a una prolificità rara che, dal 1990 a oggi, gli ha permesso di realizzare, per la sola Sergio Bonelli, un numero elevato di albi, tra i quali spiccano il «Texone» del 2002 e oltre trenta «Dylan Dog» (assieme a «Tex», la testata più venduta dell’editore milanese), per un totale che supera le 2.700 tavole. A proposito della sua velocità, Brindisi racconta divertito di come, agli inizi del lavoro su «Dylan Dog», Tiziano Sclavi lo chiamò «lamentandosi scherzosamente del fatto che non riusciva a starmi dietro con la sceneggiatura: io divoravo nove tavole a settimana. Probabilmente mi odiò - ricorda - quando gli risposi che, se ci fossi riuscito, ne avrei fatte anche di più». Il risultato fu che, pochi giorni dopo, ricevette l’incarico di lavorare contemporaneamente anche su «Nick Raider».
Ma cosa vuol dire, per Bruno Brindisi (qui sopra, una sua tavola), disegnare fumetti? «Significa raccontare una storia, essere funzionale al testo, senza disegnarsi addosso. Se invece vuoi realizzare ogni tavola come se fosse un’illustrazione, allora probabilmente hai sbagliato mestiere, meglio fare l’illustratore: è meno faticoso e più redditizio». Appare evidente, dunque, che per lui il fumetto preferito sia «quello che ti fa entrare in una storia facendoti dimenticare che si tratta solo di disegni».
Sì, perché Brindisi, con un approccio quasi cinematografico al disegno, si considera innanzitutto un narratore e, come tale, cura meticolosamente, oltre all’anatomia e al realismo delle ambientazioni («Il fumetto realistico è quello che mi piace disegnare»), anche l’espressività dei personaggi e la scelta delle inquadrature, in ciò memore del passato da cameraman: «Bisogna essere in grado di stabilire - conclude - il perché un’inquadratura convenga farla dal basso piuttosto che dall’alto, mentre la bravura di un disegnatore per me si vede soprattutto da come fa recitare i personaggi, da come riesce a infondere qualcosa, a far passare un sentimento, un’emozione».