Il film è stato presentato con grande successo anche nell'ambito di un affollato seminario sul documentario, organizzato a Rivoli dalla FICC (Federazione italiana dei Circoli del Cinema). "Ho deciso di produrmi da solo, pur non avendo normalmente ambizioni da produttore", spiega Jalongo. "Ma soprattutto – prosegue – ho costruito, pezzetto per pezzetto, un mosaico già quasi completo, per poi proporlo alla Rai, che in questo modo ha trovato poco rischioso inserire l'ultimo tassello".
Quello di Jalongo è un progetto coraggioso, perché affronta un argomento di grande importanza, ma anche costantemente sottovalutato (volutamente?) da coloro che decidono le politiche culturali italiane: "Per me, è un chiaro esempio di come il nostro Paese si sia ormai fermato, soprattutto dal punto di vista culturale. La sostituzione graduale del cinema con la televisione ha prodotto un livellamento generale verso il basso, che oggi ha pure effetti politici devastanti: chi non riesce più a riconoscere ciò che è bello e ciò che non lo è, infatti, è senz'altro meno libero e più manipolabile".
E allora, secondo Jalongo, oggi siamo meno liberi rispetto agli anni Settanta? "In Di me cosa ne sai - conclude il regista - lascio volutamente la risposta allo spettatore, fornendogli suggestioni e flash che cercano di farlo riflettere su quanto accaduto in Italia negli ultimi trent'anni. Certo è che oggi la televisione non sa più raccontare la realtà circostante in maniera complessa e approfondita come riusciva a fare il cinema nostrano degli anni Sessanta e Settanta".
Nessun commento:
Posta un commento