(Il Mattino - 19 settembre 2011)
Se si fosse provveduto per tempo a riequilibrare la domanda e l'offerta, con norme e regolamenti chiari, i costi dei trattamenti sarebbero scesi e si sarebbe così ridotta la spinta verso lo smaltimento illegale. Noi scegliamo i politici affinché con preveggenza analizzino i problemi e offrano una soluzione. Quindi, per prima cosa dobbiamo ammettere che abbiamo scelto male. Nulla è stato fatto in questi anni per equilibrare il sistema e la camorra si è inserita con prepotenza nel settore.
È una lezione che dovremmo sempre tenere a mente, la camorra è forte ogni volta che noi siamo deboli. Infatti, fu solo a causa di problemi politici, ossia la difficoltà nel concedere autorizzazioni per la costruzioni degli impianti. E fu, in fondo, solo perché noi cittadini non ci siamo mai chiesti che fine fanno i nostri rifiuti, vittime come siamo del concetto dell"allontana e dimentica".
E questo nonostante il decreto del 1982 e successive modifiche e integrazioni impegnassero le Regioni a realizzare un piano per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti, la Campania è stata per decenni, è in fondo sta ancora, in alto mare. Insomma, fu solo a causa delle nostre lacune che la camorra si è inserita nel settore: la "munnezza è oro", come disse in un'ormai famosa telefonata, roba da teche storiche, nel 1992, il camorrista, poi pentito, Nunzio Perrella. La camorra possiede (purtroppo bisogna usare il tempo presente) infatti sia "capitale umano", tra l'altro, molto preparato per gestire traffici illeciti, sia può controllare ampi spazi di territorio, contando sul silenzio della popolazione.
È inoltre più vicina rispetto ad altre forme di criminalità all'aerea industriale del nord, dove si producono tra il 75% e l'80% dei rifiuti tossici. E non basta. Rispetto agli altri traffici più rischiosi (armi, droga, prostituzione) con i rifiuti si rischiava poco, al massimo una multa. Solo l'otto marzo 2001, giusto per far capire che ritardi cronici subisce questo paese, è stata approvata la legge (n.93) che inasprisce le pene, trasformando il traffico dei rifiuti in un "delitto" e ha quindi reso possibile le intercettazioni ambientali e l'attuazione di strumenti di indagini adeguati: rogatorie internazionale e indagini patrimoniali, flagranza di reato, ecc. Ma era troppo tardi, perché in questi anni, larghe zone della Campania si sono trasformate in pattumiera. È inutile e penoso riassumere la situazione, chiunque lavorava in quelle zone, periti agrari, geometri, commercialisti, avvocati e dottori, aveva capito che cosa succedeva. Decine e decine di pseudo imprese, riuscivano a farsi rilasciare autorizzazioni illecite a raffica. Alcuni settori della Pubblica Amministrazione (come scopriranno poi diverse inchieste giudiziarie), in particolare l'assessorato all'Ambiente della Provincia di Napoli, fra il 1985 e il 1995, rilasciarono, appunto, autorizzazioni non solo per discariche, cioè semplici buche da riempire ma anche per importare rifiuti pericolosi da altre zone del paese. Così, queste pseudo imprese camorristiche potevano così esibire uno straccio di legalità, trattare con le imprese industriali, proporre prezzi ribassati grazie alle quali sono finiti in Campania, per dirne una, anche i fanghi della famigerata Acna di Cengio.
Ora non resta che costatare il disastro. Oltre alla constatazione delle differenze statisticamente rilevabili, cioè le incidenze di tumori tra il 10% e il 15%, oltre a una alta frequenza di malformazioni neonatali, rispetto alla media italiana, dobbiamo, inoltre, costatare che vari impacci burocratici e cattive gestioni processuali, hanno portato alla prescrizione di un'inchiesta (la Cassiopea) che avrebbe dovuto solo sottolineare una cosa ovvia e risaputa, a nord come al sud: interrare silenziosamente i rifiuti è convenuto a molti.
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