(Il Mattino - 13 settembre 2011)
Con I bambini e noi, Luigi Comencini - non a caso definito “il regista dei bambini” grazie alla sensibilità innata nel narrare vicende e drammi infantili: basti pensare a Incompreso (1967), Le avventure di Pinocchio (1972) e Cuore (1982) - fotografò in maniera mirabile la condizione di vita dei piccoli italiani a partire dalla fine degli anni Sessanta, mettendo a confronto le voci di bambini appartenenti a contesti socio-economici e geografici differenti. Naturalmente, però, attraverso il suo sguardo focalizzato sulle problematiche del mondo giovanile, il regista riuscì a indagare anche tra le pieghe più ampie del Paese adulto, catturandolo in un cruciale momento di passaggio.
La serie fu inaugurata da una puntata ambientata a Napoli - quella che Rai Storia manda in onda stasera - nella quale i più piccoli sono costretti a lavorare invece di andare a scuola e studiare come tanti altri loro coetanei. L’episodio s’intitola La fatica, termine che a Napoli indica proprio il lavoro; e al suo interno, scorrono l’una dopo l’altra le storie più o meno incredibili di tanti bambini vetrai, meccanici, fabbri, carrozzieri, che si pongono fino a un certo punto come casi-limite: ed è utile, nel periodo della riapertura delle scuole, riflettere su una realtà che ancora oggi, in determinati contesti sociali, non è poi così diversa. In questa e nelle successive puntate, comunque, la macchina da presa di Comencini osserva i bambini al lavoro, li segue a casa, li interroga sui loro sogni e desideri. Il tono del regista è affettuoso, spesso preoccupato per ciò che individui ancora indifesi devono affrontare nelle loro quotidianità. Dal punto di vista stilistico, poi, le scene dialogate e la quasi totale assenza di speaker riescono a restituire allo spettatore di ieri e di oggi la complessità delle varie situazioni narrate, invitandolo a meditare su ciò che sta osservando.
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