(Il Mattino - 16 settembre 2011)
“Ho trascorso l’intera giornata di mercoledì a passeggiare nel centro storico di Napoli, che è un enorme monumento a cielo aperto. E poi, sono rimasta affascinata dalla storia di San Leucio, dove all’epoca dei Borbone si lavoravano le più pregiate sete d’Europa”.
Lei l’altra sera, sul palco del Leuciana, ha letto con grande trasporto un brano tratto da Ferito a morte di Raffaele La Capria. Cosa la affascina della città partenopea e della sua cultura?
“C’è qualcosa nella sua storia, ma anche nella luce e nelle atmosfere, che me l’hanno fatta entrare subito nel cuore, fin dalla prima volta che l’ho visitata, purtroppo appena tre anni fa. E’ scattato qualcosa di misterioso e profondo, forte e dolce al tempo stesso, dovuto non soltanto alla presenza del mare e del Vesuvio o allo straordinario passato, ma al carattere stesso della città”.
Ha riscontrato qualche differenza rispetto al suo precedente soggiorno di tre anni fa?
“Ho trovato Napoli più pulita e sgombra dalla spazzatura. E spero vivamente che possa restare così il più a lungo possibile. Vorrà dire che, appena potrò, tornerò per controllare di persona”.
Il suo rapporto con l’Italia si conferma saldissimo. Come giudica lo stato attuale del cinema italiano?
“Mi sembra che ci sia grande vitalità, sia nei suoi autori più consolidati che in quelli emergenti. Recentemente, per esempio, ho molto apprezzato Habemus Papam di Nanni Moretti e Vincere di Marco Bellocchio ma, tornando a Napoli, mi piace tanto anche il cinema di un regista più giovane come Paolo Sorrentino. Il limite vero del cinema italiano di oggi, forse, sta nella sua scarsa visibilità all’estero, dove non è più distribuito bene come in passato. Anche in Francia, arrivano pochi film dall’Italia”.
Lei (qui in una foto recente), che nel corso di una carriera straordinaria ha avuto il privilegio di lavorare con alcuni tra i più importanti autori della storia del cinema, cosa cerca nel suo regista ideale?
“A me piacciono quegli artisti dotati di un loro punto di vista forte e personale sulla realtà che li circonda. E per questo motivo ho sempre privilegiato il cinema d’autore, ben oltre l’età o la nazionalità dei vari registi. All’inizio della mia carriera, per esempio, ho potuto imparare tanto da un grande maestro come Luis Bunuel, come ho fatto ancora di recente lavorando con l’ultracentenario Manoel de Oliveira. Spesso, invece, sono stata diretta da giovani talenti, com’erano Jacques Demy e Roman Polanski a metà anni Sessanta, o il Francois Truffaut di La mia droga si chiama Julie e, più avanti, L’ultimo metrò. Tra i tanti, proprio Truffaut, Demy e Polanski occupano un posto speciale nel mio cuore”.
Ancora oggi, comunque, lavora con registi giovani, come Francois Ozon o Christophe Honoré…
“In realtà, ho sempre lavorato con registi giovani. Rispetto a una volta, però, la differenza principale è che all’epoca ero una loro coetanea, mentre oggi non è più così. Comunque, a proposito dei grandi cineasti con i quali ho recitato a inizio carriera, la loro frequentazione è stata decisiva per farmi comprendere le possibilità che avevo”.
In questo periodo, invece, a cosa sta lavorando?
“Ho appena finito di interpretare la regina d’Inghilterra nel nuovo film di Asterix che uscirà l’anno prossimo: è stato divertente, anche perché ho dovuto recitare in francese con accento inglese. E poi, ho ritrovato in un contesto completamente diverso Gerard Depardieu e Fabrice Luchini, che poco tempo prima erano stati con me in Potiche di Ozon. Infine, è appena uscito in Francia Les bien-aimé di Christophe Honoré, un originale dramma musicale nel quale recito accanto a mia figlia Chiara Mastroianni e a Ludivine Sagnier”.
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