giovedì 30 luglio 2009

A NAPOLI UN NUOVO POLO PER LA CULTURA

Di Diego Del Pozzo


Nasce in pieno centro storico di Napoli un nuovo spazio per la cultura e lo spettacolo, pensato anche per ospitare laboratori permanenti e per proporsi come fucina di produzioni originali da realizzarsi in contatto diretto col proprio territorio di riferimento. Lo spazio in questione è quello dei Giardini Aldobrandini (qui sotto, nella foto di Massimiliano Curcio), inseriti nella cornice di Palazzo Mondragone, nel cuore dei Quartieri spagnoli. Il nuovo polo culturale all’aperto fa capo all’associazione Loro di Napoli, guidata dall’infaticabile Antonio Acocella. “Qui in città – spiega proprio Acocella – mancava una sede come questa, nella quale poter fare cultura e spettacolo di qualità. Così, in uno scenario suggestivo com’è Palazzo Mondragone, abbiamo creato questo spazio polivalente, con vari palchi e aree ristoro e, soprattutto, con un teatro all’aperto capace di ospitare circa quattrocento spettatori”. Il nuovo spazio funzionerà dalla primavera all’autunno inoltrato e sarà direttamente collegato all’adiacente chiesa di Santa Maria delle Grazie, nella quale si svolgeranno i laboratori invernali e gli spettacoli al chiuso. “In realtà, la nostra idea – aggiunge Acocella – è proporre nello spazio dei Giardini Aldobrandini spettacoli ed eventi derivanti direttamente dai laboratori che realizzeremo durante l’anno, in modo da dare la possibilità di esibirsi a tanti giovani artisti presenti sul nostro territorio”.
Nel corso della grande festa di martedì sera, con la quale sono stati inaugurati i Giardini Aldobrandini, è stato illustrato il programma completo delle attività, alla presenza dei tanti artisti coinvolti in un progetto ambizioso che unisce teatro, musica, danza, cinema, grandi eventi, laboratori del gusto, festival tematici. L’area laboratoriale è divisa in varie sezioni, curate da Valerio Virzo per la musica jazz, Mario Insenga per il blues, Mauro Squillante e Leonardo Massa per la tradizione mandolinistica, Antonello Paliotti con Pietro Ricci e Arnaldo Vacca per le musiche popolari, Ilie Ionescu e Mariana Muresanu per la Master Class di preparazione ai concorsi classici (violino, viola, violoncello, contrabbasso, musica d’insieme, canto lirico); e ancora, Vincenzo Maria Saggese per il teatro, Gigi Savoia per le arti comiche tradizionali, Alina Narciso per la scrittura teatrale al femminile, Alessandra Borgia per le “Voci del teatro”; e Milena Acconcia per la tammurriata e pizzica, Irene Catuogno e Marzia Ottaviano per i musical dedicati ai bambini, Matilde Coral per la danza del ventre, Luisa Loyo per il flamenco e la Escuela de tango per l’omonimo ballo. A queste attività si affiancheranno i laboratori del gusto e una serie di eventi, a cura di Maria Varriale de Curtis, che saranno aperti dalla rassegna “Sfizi di agosto”, in programma dal 21 al 30 del prossimo mese.

martedì 28 luglio 2009

ACCORDO TRA MGM E CENTRO SPERIMENTALE

Di Diego Del Pozzo

Nei giorni scorsi, all'Ischia Global Film & Music Fest, è stato annunciato un interessante accordo tra MGM Networks e Centro Sperimentale - Scuola Nazionale di Cinema.
L'intesa tra la prestigiosa istituzione italiana e il canale televisivo statunitense, la cui versione italiana è presente nel pacchetto Sky (canale 320), permetterà a due diplomati di effettuare uno stage a Hollywood, dove potranno cogliere interessanti opportunità professionali.
I prescelti, provenienti dalle sedi di Roma e Milano della Scuola, sono i diplomati registi Ivan Silvestrini ed Emanuele Di Bacco, che già nel corso della presentazione ischitana hanno potuto mostrare alcuni loro lavori al presidente di MGM Networks, Bruce Tuchman; a quello di MGM Italia, Sergio Lopez; e ad alcuni rappresentanti di spicco del cinema hollywoodiano come Steven Zaillian (sceneggiatore di Schindler's List), il regista Marc Forster e l'attrice Rosario Dawson.

Qui sotto, la presentazione di Ivan Franceschini mostrata all'Ischia Global.


lunedì 27 luglio 2009

SERIE TV: BATMAN NEGLI ANNI '60 (E OLTRE)

Di Diego Del Pozzo

(Mega n.° 145 - Luglio 2009)

Controparte perfetta di Superman e suo oscuro rovescio della medaglia, Batman nasce un anno dopo (nel 1939) rispetto all’uomo d’acciaio, sulle pagine di Detective Comics, grazie al talento di Bob Kane. Fin dai primi albi, il personaggio è caratterizzato come cupo, tenebroso e ossessionato dalla lotta contro il crimine. Nella vita “normale” si cela dietro l’identità del miliardario Bruce Wayne ma, rispetto a molti altri supereroi, il suo profilo psicologico è invertito, con Batman che - nel loro “rapporto” - assume il ruolo dominante. L’uomo pipistrello non è dotato di superpoteri, ma di capacità fisiche e mentali superiori alla norma e forgiate attraverso decenni di durissimo addestramento, col solo scopo di vendicare il traumatizzante omicidio dei suoi genitori attraverso un’eterna battaglia contro il crimine. Anche lui, ovviamente, entra molto presto nei desideri dei creativi di Hollywood, sia per quel che riguarda il grande schermo che quello televisivo. Infatti, con intenti anche propagandistici (siamo negli anni della Seconda guerra mondiale), l’eroe approda al cinema già nel 1943, per merito della Columbia, con un serial di quindici episodi nel quale Lewis Wilson è Batman, Douglas Croft è Robin e J. Carrol Naish l’arcinemico dottor Daka, spia orientale al servizio di un’organizzazione che cerca di debellare le forze armate statunitensi (nella foto, qui sopra). Sei anni dopo, sempre la Columbia produce un altro serial (ancora di quindici episodi) con Robert Lowey e John Duncan nei panni, rispettivamente, di Batman e Robin.
Col tempo, intanto, l’originale versione fumettistica cambia parecchio rispetto agli esordi; e in particolare nel corso degli anni Cinquanta, le sue storie - dopo gli inizi quasi gotici - diventano persino strampalate e piene di spunti derivanti dalla fantascienza più dozzinale, con trame dai toni sempre più “leggeri”. Il Batman di questi anni è proprio quello che servirà da fonte d’ispirazione per la celebre serie tv del 1966 (qui sotto, i due protagonisti): la cosa strana è che, nel frattempo, già dal 1963, l’arrivo del supervisore Julius Schwartz alla DC Comics consente di ridare ossigeno a un “character” ormai ridotto a caricatura di se stesso.
Ma l’ottimo “restyling” promosso da Schwartz - che rende nuovamente l’eroe più adulto e notturno, più detective e meno saltimbanco - non colpisce il produttore televisivo William Dozier, il quale per la sua nuova serie si ispira, invece, all’ingenua versione del decennio precedente. Trasmesso sulla ABC dal 12 gennaio 1966 al 14 marzo 1968 (per un totale di centoventi episodi), Batman (id.) incontra comunque un successo enorme e travolgente, nonostante i chiari intenti parodistici (o, forse, proprio per questo motivo): costumi coloratissimi, scenografie fantasiose, recitazione perennemente sopra le righe, dialoghi irreali e spesso demenziali sono considerati dal produttore Dozier gli elementi tipici del fumetto, tradotto sul piccolo schermo anche attraverso le caratteristiche onomatopee da Pop Art (“Bang!”, “Smack!”, “Crash!” e così via: riprodotte qui a lato). Il ruolo di Batman/Bruce Wayne è affidato al pacioso e tranquillizzante Adam West, affiancato da Burt Ward come Robin/Dick Grayson, da Alan Napier nei panni del maggiordomo Alfred Pennyworth e da Neil Hamilton in quelli del commissario Jim Gordon. Ma a rendere indimenticabile il telefilm è, soprattutto, la straordinaria e stravagante galleria dei cattivi, tutti folli e improbabili: vanno ricordati perlomeno il Joker (interpretato da Cesar Romero), la Donna Gatto (Julie Newmar), l’Enigmista (Frank Gorshin), il Pinguino (Burgess Meredith), Zelda (Anne Baxter), il Menestrello (Van Johnson), Testa d’uovo (Vincent Price), la Vedova Nera (Tallulah Bankhead). Il successo della serie produce, nel 1966, anche un film per il cinema: Batman (id.), diretto da Leslie Martinson con attori e stile dello show televisivo; molti lo considerano, addirittura, un piccolo gioiello della Pop Art.
La serie tv degli anni Sessanta, in ogni caso, è un tradimento dello spirito più autentico del personaggio; spirito che viene recuperato - nelle testate a fumetti - prima attraverso il tratto allucinato del grande Neal Adams e poi, nel 1986, grazie al lavoro di un giovane e rivoluzionario autore, Frank Miller. Con il suo capolavoro Il ritorno del cavaliere oscuro (The Dark Knight Returns), infatti, Miller rivitalizza il mito di Batman devastandolo: il suo è un eroe invecchiato e incattivito, quasi preda del suo lato oscuro; calato in un mondo impazzito dove combatte la violenza con altra violenza; un eroe, insomma, che scende quasi sullo stesso piano dei criminali combattuti.
Tutto riparte, quindi, dalla pietra miliare milleriana, tenuta nel giusto conto, in seguito, anche da Tim Burton quando, nel 1989 e nel 1992, dirige due cupissimi film sul personaggio: Batman (id.) e Batman - Il ritorno (Batman Returns): l’eroe di Burton ha il volto di Michael Keaton ed è reso ancora più vulnerabile e nevrotico, quasi uno psicopatico solitario, con gli eterni temi della maschera e del doppio trattati con intelligenza dal regista californiano. Straordinaria è anche la Gotham City dei due film, neo-gotica e al tempo stesso post-moderna, grazie alle impressionanti scenografie di Anton Furst e Peter Young. Anche qui sono i “cattivi”, però, a catturare l’attenzione, ben più del protagonista: il Joker di Jack Nicholson, il Pinguino di Danny De Vito e la Catwoman di Michelle Pfeiffer non si dimenticano facilmente. Burton lascia il testimone a Joel Schumacher, regista dei due onesti ma chiaramente inferiori Batman Forever (id., 1995) e Batman & Robin (id., 1997), dove l’uomo pipistrello ha il volto, rispettivamente, di Val Kilmer e George Clooney. Nuova linfa al mito cinematografico dell’uomo pipistrello, però, arriva in anni più recenti grazie al regista e sceneggiatore inglese Christopher Nolan, che si riallaccia ancora una volta alla rilettura milleriana, stavolta degli esordi batmaniani, per realizzare una coppia di film di notevole livello qualitativo: Batman Begins (id., 2005) e Il cavaliere oscuro (The Dark Knight, 2008). Il secondo, in particolare, resta nella memoria per l’inquietante interpretazione del Joker da parte di Heath Ledger (qui sopra, nella foto), il giovane attore che si suicida quasi al termine delle riprese. E chiunque abbia visto come Ledger è riuscito a calarsi nella psiche malata dell’assassino più terribile del DC Universe, cogliendone anche le più sottili sfumature psicologiche, non può che aver provato autentico terrore nel pensare ai tragici esiti della sua immedesimazione. Il Premio Oscar 2009 come miglior attore non protagonista, ritirato dai familiari di Heath, è il giusto riconoscimento per questa “performance attoriale assoluta”.

domenica 26 luglio 2009

SET A NAPOLI PER SERVILLO E IMPARATO

Di Diego Del Pozzo


Si concludono oggi, nei capannoni diroccati dell'ex base Nato napoletana di Agnano, le riprese del lungometraggio d'esordio della regista e sceneggiatrice Paola Livia Randi, con Gianfelice Imparato e Peppe Servillo nei due ruoli principali (qui sotto, in una foto di scena).
Il fodero - così s'intitola il film, riconosciuto di interesse culturale nazionale - è prodotto dalla Acaba di Fabrizio Mosca e sarà distribuito nelle sale dall'Istituto Luce. Servillo collabora anche alla colonna sonora, composta da Fausto Mesolella degli Avion Travel.
Nello scenario post-industriale dell'ex insediamento militare, la coppia di protagonisti è impegnata nelle sequenze con le quali la trama del film giunge a compimento: in particolare, la scena più elaborata della giornata è quella di una sparatoria nel covo di un boss della camorra, con gli attori che, al ciak, fuggono in tutte le direzioni mentre la macchina da presa li segue con una vertiginosa carrellata all'indietro e, tutt'intorno, impazzano le assordanti esplosioni a salve dei finti proiettili.
A dispetto della sequenza apparentemente cruenta, Il fodero è, però, una commedia esilarante, basata soprattutto sull'interazione tra Imparato e Servillo nonché sulla particolare scelta stilistica dell'autrice. "Ho voluto fare un esperimento – spiega Paola Livia Randi – mettendo assieme l'umanità e l'attenzione alla realtà circostante tipiche della commedia all'italiana con uno stile minimale e quasi astratto da cinema nord-europeo: certo che due attori bravissimi come Gianfelice e Peppe hanno reso tutto più semplice".
E in effetti si capisce immediatamente come la relazione artistica tra i due protagonisti sia il vero e proprio "cuore" del film. "Abbiamo cercato – racconta Gianfelice Imparato (nella foto di scena, qui in alto, a sinistra)di far affacciare nella storia differenti dimensioni e sfumature, parlando di temi seri e attuali con grande leggerezza". Il fodero, infatti, tratta di criminalità e politica collusa, di immigrazione e integrazione, ma anche di crisi economica e disoccupazione. "Sì, perché – aggiunge Imparato – il mio personaggio, Alfonso, è un ricercatore universitario precario che, perso il lavoro, chiede una raccomandazione a un imprenditore che ha deciso di scendere in politica e candidarsi alle elezioni provinciali. Questo torbido personaggio, però, ha strani legami e, in cambio del favore, obbliga Alfonso a fare una misteriosa consegna: è così che la trama, molto divertente, si mette in moto".
"Da parte mia, nel personaggio di Vincenzo Cacace – spiega Peppe Servillo (nella foto di scena, qui a sinistra)ho messo cinismo e umorismo in dosi eguali, anche perché li considero come binari che viaggiano paralleli. Questo politico-imprenditore è il classico tipo che, quando gli parli, ti guarda come se ti stesse ascoltando, ma in realtà sta pensando ai fatti suoi". Accanto ai due protagonisti, ha un ruolo importante anche il personaggio di un ex campione di cricket, Gayan Perera, interpretato da Saman Anthony, selezionato all'interno della folta comunità napoletana di immigrati dallo Sri Lanka. "Gianfelice, io e lui – sottolinea Servillo – mettiamo in contatto tre mondi diversi: un attore di formazione teatrale, un musicista che occasionalmente recita e un non professionista, proveniente da un'altra cultura. Il confronto continuo tra noi tre, asserragliati su di un tetto del centro storico, fa procedere la trama, anche con gag spesso esilaranti". La milanese Paola Livia Randi (qui sopra, in una foto sul set assieme ai due protagonisti) ha girato Il fodero interamente a Napoli, nelle ultime cinque settimane, con riprese in esterni nella zona popolare del Cavone, dove risiede una tra le principali comunità cingalesi d'Italia; e poi, negli spazi dell'Acquario "Anton Dohrn" e nei capannoni ex Nato di Agnano. "Vengo spesso a Napoli – racconta la regista – e, durante un mio soggiorno in città, c'è stata una scena precisa che mi ha fatto scattare nella testa l'idea del film: ero in piazza Dante e, a un certo punto, ho visto da un lato un gruppo di scugnizzi giocare a pallone, dall'altro alcuni ragazzini cingalesi praticare il cricket. E' stato allora che ho pensato a una commedia che parlasse anche di immigrazione e confronto tra culture differenti". "In effetti – sottolinea Gianfelice Imparato – credo proprio che quello della cooperazione tra le varie etnie sia un messaggio centrale del film. Anche se, come è giusto che sia in una commedia, abbiamo cercato di dire cose importanti in maniera divertente". "E questa leggerezza – aggiunge Peppe Servillo – la regista è riuscita a darla anche allo stile e al linguaggio del film, con mitezza ma anche determinazione".

venerdì 24 luglio 2009

DA SETTEMBRE RITORNA "LA NUOVA SQUADRA"

Di Diego Del Pozzo


A dispetto delle voci che ne assicuravano la cancellazione a causa degli insoddisfacenti indici d'ascolto, dopo l'estate ritorna sui teleschermi di Rai Tre La nuova squadra, lo spin-off della storica serie poliziesca realizzata per ben otto anni nel Centro di produzione napoletano della televisione pubblica.
Riapre i battenti mercoledì 2 settembre, dunque, il Commissariato Spaccanapoli, con molti volti noti, alcune defezioni e diverse novità in un cast come al solito estremamente ricco. Innanzitutto, rispetto alla scorsa stagione cambia il "cattivo", che avrà il volto di un attore sperimentato come Andrea Tidona (I cento passi, La meglio gioventù), impegnato nel ruolo di un feroce boss della camorra; si modificano parzialmente anche le atmosfere della serie, con più spazio ai sentimenti, all'amicizia e ai legami familiari, una maggiore "luminosità" nei vicoli oscuri del centro di Napoli, magari per provare a coinvolgere maggiormente quel pubblico forse tenuto lontano, la scorsa stagione, dall'approccio troppo "duro" scelto dal team di autori guidato dal creatore Sergio Corbucci. Ma cambia, soprattutto, la protagonista femminile della serie: al posto del vicequestore Paola Ricci interpretato da Lisa Galantini, infatti, fa il suo ingresso una nuova poliziotta tutta azione – fa parte del corpo speciale motorizzato dei "falchi" – alla quale dà il volto Irene Ferri: "Il mio personaggio, una donna forte e combattiva ma anche molto dolce, si chiama Bianca Savarese ed è una giovane mamma, che deve crescere da sola il suo piccolo Giulio. Lei e suo fratello Lele entrano nei "falchi" perché vogliono lavorare in strada, a diretto contatto con i problemi della gente. I due ragazzi, comunque, possono contare su una famiglia molto unita, a partire dalla mamma". E se Lele è interpretato da Gabriele Mainetti, nel ruolo della madre c'è un altro volto ben noto per gli appassionati di fiction "napoletane", cioè la brava Carmen Scivittaro già apprezzata come Teresa in Un posto al sole.
Nella nuova stagione, che sarà caratterizzata dall'uscita del personaggio di Pietro Taricone dopo pochi episodi, accanto a Rolando Ravello (il duro e impulsivo "falco" Sergio Vitale) ci sarà pure un nuovo protagonista maschile, Marco Giallini (in alto, in una foto di scena), che vestirà i panni del vicequestore Andrea Lopez, alla guida del Commissariato al posto proprio di Paola Ricci. Giallini l'anno scorso ha interpretato il "Terribile" nella versione televisiva di Romanzo criminale, mentre nei prossimi mesi si vedrà nell'attesa serie di Fox Crime sul "mostro di Firenze" e, soprattutto, sarà il fratello di Carlo Verdone nel suo nuovo film Io, loro e Lara, mentre Anna Bonaiuto sarà la sorella. "Con Marco – spiega ancora Irene Ferri (qui nella foto)ho già lavorato in Grandi domani, una fiction molto diversa da questa. Ed è stato bello ritrovarci in un contesto così differente. Abbiamo fatto un'esperienza bellissima e molto formativa: tutti noi, infatti, abbiamo dovuto concentrarci al massimo e offrire un totale coinvolgimento emotivo e fisico. Io, per esempio, ho avuto anche un incidente sul set, battendo la nuca in modo violento durante una scena d'azione, proprio perché ero completamente "presa" dal personaggio e dalla trama". E per Irene Ferri, sarà davvero un autunno all'insegna dell'azione, poiché l'attrice è anche nel cast di Intelligence, la nuova serie di spionaggio con Raoul Bova, in onda dal 7 settembre su Canale 5: "Ma si tratta – precisa Irene – di due progetti molto diversi, perché Intelligence è un autentico kolossal, anche per il budget a disposizione, mentre La nuova squadra si propone più come una serie "di nicchia", che va sostenuta e, direi, persino protetta".
E a proposito di "protezione", magari da parte dei vertici Rai, i ventidue episodi della seconda stagione del poliziesco serviranno anche per capire se, con le modifiche apportate ai contenuti e al cast, La nuova squadra potrà essere confermata o, invece, sarà poi definitivamente sospesa.

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Tra le novità della seconda stagione de La nuova squadra c'è anche il maggiore peso che acquista il personaggio dell'anatomopatologa Mimma Ferrante, interpretata dall'affascinante attrice siciliana Barbara Tabita (qui nella foto), in questi giorni impegnata sul set di Io e Marilyn, il nuovo film di Leonardo Pieraccioni. "Sarò ancora una volta sua moglie – racconta Barbara – dopo lo stesso ruolo in Ti amo in tutte le lingue del mondo di quattro anni fa. Stavolta, la mia "rivale" sarà Suzie Kennedy, la sosia di Marilyn Monroe e, in questo modo, proporremo un contrasto netto tra due tipi femminili diversissimi: io bruna e mediterranea, lei bionda".
Il set di Io e Marilyn s'è trasferito, in questi giorni, nel parco tematico Italia in miniatura a Riserba di Rimini, dove Barbara Tabita è presente assieme a Pieraccioni e agli altri interpreti: Massimo Ceccherini, Luca Laurenti, Rocco Papaleo, Biagio Izzo, Suzie Kennedy (nel film ci sarà anche un cameo di Francesco Guccini). Scritto da Giovanni Veronesi, Io e Marilyn uscirà nelle sale il 18 dicembre ed è certamente tra i film italiani più attesi della stagione. "Sono davvero felice – spiega Barbara – per questa opportunità che Leonardo mi ha voluto offrire, peraltro in un ruolo da protagonista. Sul set tutto sta andando a meraviglia e, naturalmente, mi aspetto grandi cose dal film".
Prima, però, l'attrice siciliana che ha recitato anche con Ficarra e Picone ne Il 7 e l'8 potrà vedersi, dal 2 settembre, negli episodi de La nuova squadra. "E anche qui – rivela Barbara – per il mio personaggio ci sarà parecchio spazio: la coroner Mimma Ferrante, infatti, vivrà un flirt molto bello e intenso col nuovo protagonista maschile interpretato da Marco Giallini. Si tratta di una storia che, secondo il carattere dei due personaggi, sarà brillante, sensuale e non sdolcinata. E che inizierà, in modo eclatante, con una sequenza ambientata addirittura in obitorio. Ci tengo molto, infatti, a mantenere intatto il carattere di Mimma: una donna diretta, forte, un po' maschiaccio, ma anche estremamente femminile e ironica, nonostante lavori ogni giorno a contatto con la morte".

UN POSSIBILE CAPOLAVORO

E' stato diffuso in rete il primo trailer di quello che si preannuncia come un probabilissimo capolavoro cinematografico: Alice in Wonderland di Tim Burton.
L'appuntamento al cinema è per il 5 marzo 2010. (d.d.p.)

martedì 21 luglio 2009

THE BOSS: ONE NIGHT IN ROME / 3

Di Vincenzo Esposito

Ci sono due tipi di concerti: quelli di Springsteen & The E Street Band e quelli degli altri. Esistono due metodi per descrivere i concerti del Boss: uno lucido e rigoroso, che mettiamo in pratica quando analizziamo le performance alle quali non abbiamo preso parte, ma delle quali conserviamo testimonianze, registrazioni audio e video; l'altro caldo e viscerale, che inevitabilmente si impone nelle discussioni inerenti i gigs che abbiamo esperito (che per molti italiani, di una certa età, vanno da quello di Milano del 21 giugno 1985 a quello di Roma del 19 luglio 2009).
Chi era all'Olimpico, domenica scorsa, ha percepito subito la sensazione di assistere ad uno dei migliori concerti degli ultimi anni quando, spente le luci, è partito il tema principale di C'era una volta il West, e "la più grande rock 'n' roll band del mondo" è salita sul palco con l'incedere epico degli eroi che conquistarono la Frontiera. Lo sguardo di Bruce fissava la linea dell'infinito, ma come sempre scrutava le anime di ognuno noi, come se sapesse tutto: le nostre passioni, illusioni, delusioni, sconfitte; come se fosse lì non solo per parlarci delle sue storie, ma anche delle nostre, e ricordarci che, in fondo, c'è qualcosa di mitico anche nel grigiore che talvolta colora i nostri giorni. E allora quale migliore attacco di Badlands, summa sublime della musica di Springsteen: "Ti svegli di notte con il terrore vero di passare la vita ad aspettare un momento che semplicemente non arriva". Come fai a non cantare a squarciagola questo verso che, in una sola serata, scaccia via le paure e ti fa risparmiare dieci anni di analisi junghiana? Out in the Street, Outlaw Pete (perfino questo bizzarro pasticcio rende bene dal vivo!) e No Surrender ti arrivano nella pancia senza soluzione di continuità. Quest'ultima canzone, in particolare, ti rovista nelle budella e ti regala il coraggio del quale hai bisogno per credere che non hai sbagliato proprio tutto nella vita. Certamente non hai sbagliato a scegliere Springsteen come "guida spirituale" negli anni dell'adolescenza (per chi scrive, gli anni Ottanta): quando intorno a te, dopo la fine delle ideologie (e per alcuni anche delle idee), imperavano l'edonismo reaganiano e il "menefreghismo" craxiano; ma tu rimanevi integro perché avevi capito, grazie a Springsteen, che si impara da una canzone di tre minuti più di quanto si apprende a scuola.
La E Street Band è proprio in gran spolvero: a tratti sembra di rivivere le emozioni musicali di 25 anni fa. Seeds, uno degli outtakes più incisivi di Bruce, viene eseguito con la grinta di una garage band di ventenni, e assieme alle seguenti Johnny 99 e Atlantic City (entrambe in versione rock) va a comporre un trittico sociologico che fa luce, con violenza elettrica, sulle cause storiche della crisi economica di oggi.
Poi arrivano le richieste del pubblico: il Boss "si bagna" nella folla (fonte inesauribile della sua energia), raccoglie cartelli con i titoli delle sue canzoni. Che bella idea! Semplice e geniale: solo a lui poteva venire in mente di trasformarsi in una sorta di jukebox vivente. Sale la febbre, vorresti che le suonasse tutte; purtroppo ne deve scegliere solo alcune. Preme il tasto e parte
Hungry Heart: la cantano tutti, anche se gli italiani non hanno mai imparato a memoria la prima strofa, e ripetono solo un verso del chorus, "everybody’s got a hungry heart". Ma che importa, va bene anche così, il messaggio è chiaro: abbiamo un cuore affamato di musica, emozioni, e sogni che magari svaniscono in fretta e poi diventano incubi (ma in quel momento sono reali e ti danno ossigeno). Il jukebox continua a sfornare canzoni, l'Olimpico si trasforma in un bagnasciuga anni Sessanta, e noi, improvvisati "beach boys", ce le godiamo: Pink Cadillac, I'm on Fire, Surprise Surprise (quest'ultima, forse, se la poteva risparmiare, ma gliela chiede una coppia di "promessi sposi", e Bruce, si sa, non sa dire di no alla sua grande "famiglia allargata").
Si ritorna a fare sul serio: Prove It All Night è tiratissima, e il lungo assolo di chitarra riapre le vecchie cicatrici che Darkness... procurò a molti di noi la prima volta che vi mettemmo sopra la puntina del giradischi. Waitin’ on a Sunny Day spiana il sentiero luminoso che conduce dritto a The Promised Land, anche se l'insidia (American Skin - 41 Shots) è acquattata dietro l'angolo. I fan di Springsteen lo sanno bene: l'American Dream è un caleidoscopio che proietta immagini di gioie e dolori, vita e morte!
Il finale si avvicina, parte
Born to Run. C'è qualche pazzo in tribuna che pensa di potersene stare seduto immobile, mentre sul palco Springsteen & The E Street Band suonano la sua vita (sì, proprio la vita del folle che se ne sta seduto pensando, forse, di non essere "nato per correre"). Alla fine si alzano e cantano anche i morti!
L'Encore set arriva senza neanche una pausa, Bruce ha proprio tanta voglia di suonare e "fare rumore": My City of Ruins, dedicata ai terremotati dell'Abruzzo (ve l'ho detto, il Boss sa tutto di noi!); l'armonica annuncia Thunder Road, la più "cinematografica" delle canzoni di Springsteen; American Land, con Mamma Adele Zirilli Springsteen che balla col figlio (che serata incredibile!); Bobby Jean ci ricorda che "we liked the same music, we liked the same bands, we liked the same clothes" (e ci mancherebbe!); Dancing in the Dark, con una ragazza del pubblico che balla con Bruce, come ai vecchi tempi; e Twist and Shout, in una versione lunghissima, che non finisce mai… ma proprio mai.
La ricorderemo per sempre, questa serata di tre ore: la racconteremo ai nostri figli e agli amici che non c'erano, come abbiamo fatto con i concerti di Milano, Roma, Torino... Tramandando le gesta eroiche, amplificando il mito.

NASTASSJA KINSKI: UN'INTERVISTA...

Di Diego Del Pozzo

(Il Mattino - 19 luglio 2009)

Da sex symbol cinematografico anni Ottanta a mamma a tempo pieno: una persona profonda come Nastassja Kinski vive il passaggio in modo naturale e senza rimpianti, con la serena consapevolezza derivante da un'esistenza vissuta intensamente e fino in fondo.
Col suo fascino ancora intatto, la raffinata attrice illumina la giornata dell'Ischia Global Film & Music Fest, accompagnata dalla figlia sedicenne Kenya, nata dal rapporto col musicista e produttore statunitense Quincy Jones. E proprio il ruolo di mamma dei suoi tre figli è quello che Nastassja privilegia attualmente, senza perdersi troppo nei ricordi dei film girati con grandi registi quali Wenders, Coppola, Polanski, Lattuada, Schrader, Fellini, Konchalovski; bensì assaporando la ricchezza di esperienze artistiche che hanno, comunque, segnato la storia del cinema degli ultimi trent'anni. "Sono convinta – spiega Nastassja – che la cosa più importante per un essere umano sia far capire bene a coloro che ami quanto li ami: per questo motivo, io mi dedico totalmente ai miei figli. Sono presente, apprensiva e, se c'è bisogno, voglio essere un punto di riferimento certo". E, quasi a conferma delle sue parole, la quarantottenne attrice berlinese non perde di vista per un solo istante la giovane figlia, che scherza con altri ospiti del festival sul bordo della piscina del Regina Isabella: così, il suo amore materno diventa un elemento tangibile, concreto. Non a caso fa capolino spesso nel corso della chiacchierata.
Ma il cinema? Cosa rappresenta oggi per Nastassja Kinski? "Non mi manca più di tanto, anche perché, da un certo punto di vista, l'ho sempre considerato come un elemento che tende ad allontanare dalla vita reale, a creare una separazione con le persone comuni. Certo, mi piacerebbe tornare a lavorare, anche se non ne faccio affatto un'ossessione. Però, la mia è un'età un po' strana, alla quale registi e produttori spesso tendono a non dare troppo spazio. Non sono più tanto giovane da fare la ragazza, ma nemmeno così in avanti con l'età. Certo, potrei sempre fare la mamma anche sul grande schermo: ne sarei felicissima". Al cinema, però, Nastassja tornerebbe più volentieri in altra veste: "Vorrei raccontare storie di vita reale, magari partendo dalle biografie delle tante persone straordinarie che ho conosciuto nel corso della mia carriera. Per esempio, Liz Taylor. Sto scrivendo alcuni documentari, che mi piacerebbe realizzare. Da tedesca, ne ho anche parlato, in un paio di occasioni, con la cancelliera Angela Merkel, che m'ha incoraggiato ad andare avanti. Tra l'altro, potrebbe essere interessante raccontare proprio la vita della Merkel, anche perché io sono molto orgogliosa di essere tedesca. Più in là, poi, vorrei anche sperimentarmi nella regia, ma ho ancora tanto da imparare". Il mondo del cinema Nastassja Kinski ha iniziato a frequentarlo ancora adolescente. Forse, persino troppo presto. "Io a sedici anni ero già adulta, perché ho iniziato a lavorare prestissimo. Oggi alla mia Kenya direi di aspettare e di godersi la sua età. Poi, una volta cresciuta e dopo aver studiato, se volesse fare cinema non la ostacolerei: a patto che sia una cosa che la rende davvero felice". Con i ricordi di Nastassja si potrebbe scrivere un libro, tanto ricca di episodi e illustri frequentazioni artistiche è la sua carriera: “Alcuni errori, però, non li rifarei. Per esempio, quando ero ancora troppo giovane lavorai con Alberto Lattuada in Così come sei, accanto a Marcello Mastroianni. E, pur serbando un ricordo bellissimo di entrambi, su quel set mi sentii come una bambina usata dagli adulti. Oggi, che sono molto più consapevole, non farei vedere quel film ai miei figli, pur riconoscendone la qualità, proprio per il mio ruolo di allora un po' controverso". Sono tanti, comunque, i film visti assieme ai figli: "Andiamo spesso al cinema insieme. Attualmente, non ho un autore preferito, anche perché credo che il panorama odierno sia ricchissimo. E nei confronti dei registi preferisco mantenere un approccio entusiasta, da fan, senza pensare a quelli con i quali mi piacerebbe o meno lavorare".
A proposito di registi, la mente di Nastassja ritorna ai grandi con i quali ha lavorato: "Sono tanti e ciascuno mi ha lasciato qualcosa di bello. A Wenders, per esempio, devo il fatto di avermi convinta a fare cinema, col suo carattere calmo. Io, infatti, non ne volevo assolutamente sapere, anche perché avevo il turbolento esempio di mio padre davanti agli occhi". E ancora oggi, quando questa donna sicura e consapevole parla del padre, Klaus Kinski, non si può fare a meno di notare in lei un naturale irrigidimento, quasi una forma di autodifesa: "Di mio padre non ho molti ricordi positivi – ricorda, senza false reticenze – anche perché è stato spesso assente". E conclude, amara: "Quando ero una ragazzina, a volte mi capitava di pensare ai momenti di tenerezza tra lui e mia mamma: dopo un po', però, mi rendevo conto che si trattava soltanto di mie fantasie".

lunedì 20 luglio 2009

THE BOSS: ONE NIGHT IN ROME / 2

Di Gino Castaldo


ROMA - La notte per una volta è di Springsteen. La concomitanza con i mondiali di nuoto ha fatto sì che l'esordio del Boss e della E Street Band allo stadio Olimpico di Roma sia iniziato alle 22.30, e che il concerto si sia concluso solo nel cuore della notte. E Roma li ha accolti col dovuto fervore. "Siamo qui per mantenere una solenne promessa", ha detto Springsteen in italiano, "costruire una casa, di musica, di spirito... e di rumore". Alludendo ai problemi del concerto di San Siro dello scorso anno: venti minuti in più regalati al pubblico con le proteste di pochi abitanti della zona che portarono alla denuncia per "rumore" molesto, e non era neanche scoccata la mezzanotte. A Roma si può, invece, anche cominciando alle 22.30 e finendo il concerto a tarda notte, spargendo note infuocate per chilometri intorno.
Una notte tutta italiana, nella quale l'artista americano, dopo aver ricevuto una lettera di un gruppo di ragazzi della città che lo chiedeva, ha voluto anche dedicare My city of ruins, la canzone scritta dopo l'11 settembre, a L'Aquila colpita dal terremoto. Springsteen non è un cantante rock, è il rock, nella sua più pura ed esauriente accezione, e se qualcuno dovesse dubitarne deve prima o poi entrare nel cerchio magico di un suo concerto. Ce n'è abbastanza per liberarsi dalla ruggine della storia, abbastanza per convincersi, almeno per una sera, che l'energia buona della musica possa essere la migliore medicina disponibile in circolazione. Porta la gente a volare oltre se stessa, fa cantare i bambini, uno anzi lo prende in braccio e con lui scandisce lo "one two three four" con cui inizia ogni buon copione rock, fa persino ballare la madre, Adele Zirilli, sul palco con la zia.
L'inizio del concerto a dire il vero è pacato, come la quiete prima della tempesta, con una dedica struggente: l'immagine del sole al tramonto sulle note delle musiche di Ennio Morricone per C'era una volta il West di Sergio Leone. Un richiamo preciso all'Italia che un tempo sapeva interpretare con acutezza poetica le profondità delle praterie americane.
C'è qualcuno al mondo che possa raccontare di un concerto deludente del Boss? La sua continuità di rendimento è sbalorditiva, col tempo comincia ad assumere tratti quasi irreali. Mai una serata storta, mai una serata in cui non abbia gettato l'anima in pasto al suo pubblico, che lo segue in giro per il mondo con un radar di passione. E non c'è ombra di cedimento. Ora i sessant'anni sono vicini (il 23 settembre prossimo), ma difficilmente troverete in giro un sessantenne capace di rivoltare uno stadio come fosse un accaldato club di provincia, con la sola forza delle sue braccia, una chitarra che è una fontana di pura energia, un martello pneumatico, un simulatore di treni in corsa, una frusta dell'anima, una voce assolutamente incrollabile e, particolare non secondario, una band definita non a torto la migliore band del mondo, capace di rigenerarsi, di rinascere nel tempo e presentarsi intatta, o quasi, al traguardo.
L'inizio è Badlands, e si può capire perché. E' una delle canzoni che meglio riassumono la poetica del Boss, una sintesi sferzante, musicalmente galvanizzante, uno di quei pezzi che fanno saltare all'unisono gli stadi, e che racconta di una fuga dalle "terre cattive", la ricerca di un posto nel mondo, la richiesta che qualsiasi emarginato vorrebbe esprimere per affermare il suo diritto alla libertà. Poche le canzoni del disco nuovo, Outlaw Pete e Working on a dream, e per il resto un appagante viaggio all'interno del grande repertorio. Alcuni pezzi li fa scegliere al pubblico seguendo un ormai collaudato rito in cui raccoglie cartelli portati dai fan e ne esce fuori una Hungry Heart che manda lo stadio in visibilio. E poi regala le speranze di The promised land, l'amarezza lancinante di Johnny 99, l'impeto di rinascita di The Rising.
Manca il compianto Danny Federici, sostituito in modo impeccabile da Charley Giordano, ma per il resto sembra di essere tornati ai tempi d'oro della band. E' rientrato Max Weinberg dopo essere stato sostituito dal figlio per un breve periodo, Little Steven è costantemente al suo fianco come uno scudiero d'altri tempi, Clarence Clemons suona il sax come fosse il totem della band, il centro nero della prodigiosa alchimia del gruppo.
Il finale è come al solito un gioco pirotecnico: American land, Dancing in the dark, Bobby Jean. Desideri, fiamme, passioni fuori da ogni possibile controllo. Springsteen porta ancora una volta il suo pubblico a volare tra le divinità del rock. E il pubblico ringrazia l'eroe che non perde una sola battaglia, sera dopo sera, in missione per conto della ragione finale della vita di tutti: un senso, un barlume di felicità, una profonda consapevolezza di quello che siamo, o che vorremmo essere.

THE BOSS: ONE NIGHT IN ROME / 1

Di Paolo Biamonte

(Ansa - 20 luglio 2009)

ROMA - "E' bello essere nella città più bella del mondo. Siamo venuti da mille miglia per mantenere la nostra solenne promessa: curare le nostre anime e costruire una casa di musica e rumore. Roma ha bisogno del rumore". Bruce Springsteen e la sua E Street Band la promessa l'hanno mantenuta e come, e Roma è impazzita di gioia per il "rumore" che l'anno scorso a Milano aveva procurato tante polemiche.
Il Boss, alla soglia dei 60 anni - li compirà il 23 settembre - è in stato di grazia e quando sale sul palco insieme ai suoi impagabili compagni di avventura spara sul pubblico una Badlands che trasforma lo stadio Olimpico in una bolgia: cori, una platea che lo ama e crede in lui e conosce a perfezione i tempi del concerto. Come in tutti gli show di questo tour, la scaletta si muove tra passato e presente e cambia ogni sera: a Roma Springsteen e la sua band si sono presentati in una veste dura, molto rock. Out in The Street, She's the one, No Surrender sono il menù servito prima di Outlaw Pete dal suo ultimo album, Workin' on a dream. C'è spazio anche per Seeds, con un assolo di chitarra di Bruce e per una Atlantic City con una coda gospel. Hungry Heart - con la prima strofa cantata in coro solo dalle decine di migliaia di fans presenti - precede quello che è diventato uno dei momenti più attesi dello show: i brani a richiesta. Springsteen raccoglie dal pubblico i cartelli con i titoli, ne sceglie qualcuno e li suona pronto consegna. Ieri sera sono usciti fuori: Pink Cadillac, I'm on fire, Surprise, Surprise, Prove It All Night. Un concerto di Springsteen è una lunga maratona e quella di Roma prevede anche Johnny 99, Born To Run, Thunder Road, Dancing in the dark e un lunghissimo medley Twist and Shout / La Bamba.
Da tempo il Boss ha dimostrato di essere uno dei più grandi performer della storia della musica popolare, un artista dalla credibilità indiscutibile che in 40 anni di carriera ha costruito un mito con dischi fondamentali e, soprattutto, concerti irresistibili. Pochi possono reggere il confronto con lui e la sua band. Il loro spettacolo è qualcosa più di un concerto, è un'esperienza, costruita con la cultura e l'attitudine di chi conosce bene la storia ed è cresciuto con le review della black music. Molte delle sue canzoni sono dei film di pochi minuti, portano l'ascoltatore in un viaggio nella parte migliore dell'America, sono piene di riferimenti condivisi e parlano un linguaggio che dimostra come il rock and roll sia uno strumento fondamentale per capire la cultura contemporanea. Per il suo pubblico Springsteen è una sorta di fratello maggiore che ha saputo trasformare in splendido rock sogni, sconfitte, desideri, passioni e quando sale su un palco è veramente The Boss, l'uomo che, comunque sia andata la vita, ti fa sentire di essere "nato per correre".
"Questa è una canzone per la gente d'Abruzzo": così Bruce Springsteen, all'inizio dei bis, ha dedicato My City of Ruins alle vittime del terremoto. Il brano, che fa parte dell'album The Rising, Springsteen lo aveva eseguito in un concerto di fronte a Ground Zero dopo l'attentato dell'11 settembre. L'altro ieri, un gruppo di ragazzi abruzzesi aveva consegnato una richiesta a Steve Van Zandt che era ospite di una radio romana che trasmette il suo programma radiofonico realizzato via internet. Springsteen l'ha accolta.

domenica 19 luglio 2009

IN ATTESA DEL "BOSS": LA "SET LIST" IDEALE

Di Vincenzo Esposito

In attesa del grande concerto di stasera di Bruce Springsteen & The E Street Band allo Stadio Olimpico di Roma - qui sotto, la riproduzione del mio biglietto dello storico San Siro 1985 - ho sognato quella che potrebbe essere la "set list" ideale della serata.
Eccola:
1) Entrata sulle note di Once Upon a Time in the West di Ennio Morricone: Bruce col cappello da cowboy, Big Man con lo spolverino…
2) Born in the USA (assai improbabile in questo tour: se la fa, dovrebbe togliersi il cappello).
3) Badlands (molto probabile che sia questo il pezzo di apertura, quindi Bruce può tenere il cappello).
4) Tenth Avenue and the Freeze-Out (versione lunga come nel Reunion tour del 2000, ancora col cappello. Sarebbe bello sentirla anche con i Miami Horns ai fiati, come a Roma per il Tunnel tour).
5) Summertime Blues (prima cover in scaletta: giù il cappello, si incomincia a sudare).
6) Downbound Train (il diamante nascosto di Born in the USA).
7) Racing in the Street (prima canzone lenta: anche se, in questo pezzo, la mancanza di Danny Federici si sentirebbe troppo).
8) Be True (l’"inedito" più bello del Boss: sarebbe una bella sorpresa, come a Torino per il tour di Amnesty International).
9) The Ghost of Tom Joad (in versione rock).
10) Johnny 99 (in versione acustica: buio, solo Bruce e un occhio di bue).
11) Jungleland (se Big Man è in forma, è meravigliosa: l’assolo di sax nel finale è tosto).
12) Hungry Heart (la cantiamo noi, no problem).
13) The Wrestler (il pezzo più bello del nuovo album, direi l’unico bello).
14) Incident on 57th Street (versione corta e asciutta, magari solo col piano).
15) Point Blank (versione lunga con quell’intro ipnotico, come nel tour di Darkness, prima che Bruce la incidesse su The River).
16) Heart of Stone (il secondo “inedito” più bello: magari con Tom Waits come Guest Star).
17) Jersey Girl (ovviamente Tom si ferma anche per questa canzone, visto che è sua).
18) London Calling (altra cover: sarebbe un bell’omaggio ai Clash. Bruce lo ha già fatto in passato, quindi...).
19) No Surrender (versione acustica, come nel tour dell’’84-’85: una vera chicca!).
20) 4th of July, Sandy (dedicata a Danny “The Phantom” Federici: Roy Bittan suona la fisarmonica al posto di Danny; sullo schermo gigante “Il fantasma di Danny Federici”. Il profumo del Boardwalk di Asbury Park ci investe all’improvviso).
21) New York City Serenade (questa temo davvero che non la farà mai, e allora ci basta The River).
22) Waitin’ on a Sunny Day (anche questa la cantiamo noi).
23) Born to Run (cosa si fa con l’inno nazionale?).
…Encore set:
24) Dancing in the Dark (dedicata ai ragazzi di Milano ‘85, cioè a ME! Grazie).
25) Thunder Road (Roy Orbison singin’ for the lonely, that’s me and I want you only, che dire…).
26) Detroit Medley (la storia del rock’n’roll in 8 minuti).
27) Twist and Shout (la versione che non finisce mai… ma proprio mai, come a Milano nell’85).
Ma poi finisce, e allora… un altro bis, solo per noi:
28) Rosalita (They play guitars all night and day…).
Totale: 3 ore e 45 minuti, circa. C’è stato un tempo in cui questo non era un sogno!
“I mei occhi hanno visto cose che voi umani…”.

sabato 18 luglio 2009

IL MONDO DEL CINEMA IN RIVOLTA

Di Diego Del Pozzo

(Il Mattino - 18 luglio 2009)

La battaglia tra mondo del cinema e Governo per il reintegro del Fondo Unico dello Spettacolo (Fus) travolge anche l’Ischia Global Film & Music Fest. E lo fa proprio durante la giornata dedicata ai produttori, protagonisti di un summit tra gli italiani Aurelio De Laurentiis e Fulvio Lucisano e gli americani Avi Lerner, Ryan Kavanaugh, Tucker Tooley e Mark Canton.
E le voci di De Laurentiis e Lucisano si levano forti, a difesa di un cinema italiano che rischia di essere travolto dai tagli. “Spero che alla fine possa prevalere il buon senso – spiega Fulvio Lucisano – anche perché, altrimenti, corriamo il rischio di mettere la parola fine al cinema italiano. Ed è paradossale che un simile taglio arrivi da un Esecutivo guidato da un uomo di comunicazione come Silvio Berlusconi”. Per Aurelio De Laurentiis, poi, “il problema vero è l’assenza di regole certe: non è possibile – prosegue il patròn della Filmauro – che ogni anno si debba aspettare un taglio, senza sapere su quante risorse contare per un settore che, invece, andrebbe considerato come un’eccellenza dell’italianità del mondo. Il taglio del Fus è una boiata”.
Anche all’Ischia Global riemergono con forza le voci di un possibile boicottaggio della Mostra del Cinema di Venezia, come forma di protesta. “Ci stiamo pensando con convinzione, anche perché passare da 34 a 10 milioni di euro vorrebbe dire poter contare soltanto sulle briciole”, sottolinea Marco Risi, anche lui ospite al festival ischitano. “Quella del boicottaggio veneziano è una proposta nata in sede Anica – aggiunge ancora Lucisano – e raccolta anche dall’associazione degli autori. Però, bisogna fare attenzione, perché potrebbe essere autolesionistico”. Più netta è la posizione di De Laurentiis: “Per me la Mostra di Venezia è un’entità inutile. Chiudendola si risparmierebbero tanti soldi, che potrebbero andare alla produzione di nuovi film italiani. Comunque, un boicottaggio non mi sembra la soluzione migliore: abbiamo bisogno, invece, di proporci come interlocutori cortesi ma fermi. Non è che le Istituzioni si possono ricordare del cinema italiano soltanto quando “Gomorra” o Benigni hanno successo all’estero”.
Intanto, sempre da Ischia Citto Maselli annuncia per martedì una manifestazione del mondo del cinema e dello spettacolo davanti a Montecitorio. “Per ora – aggiunge Maselli – abbiamo avuto qualche incontro con Gianni Letta, proficuo unicamente dal punto di vista dialettico, ma che non ha ancora portato a novità concrete. Da parte sua, infatti, Tremonti sembra irremovibile e a noi, dunque, non resta che lottare forte”. Così, dopo la manifestazione di martedì, sembra certo il boicottaggio della presentazione della Mostra di Venezia, in programma il 30 luglio; in attesa di capire cosa succederà al Lido. E sull’argomento interviene anche Raoul Bova, che accompagna all’Ischia Global “Sbirri” di Roberto Burchielli: “Di fronte a simili provvedimenti, bisognerebbe avere il coraggio di fermare per un po’ l’intera filiera del cinema italiano, come hanno fatto gli sceneggiatori negli Stati Uniti”.

DE LAURENTIIS E IL "BIGLIETTO VIRTUALE"

Di Diego Del Pozzo


Grintoso come sempre e pronto per confrontarsi con calciatori e staff tecnico, nel ritiro austriaco di Lindabrunn: è così che appare il presidente Aurelio De Laurentiis all’Ischia Global Film & Music Fest, dove è presente in veste di produttore cinematografico, ma con un occhio e il cuore già ai suoi giocatori, con i quali parlerà lunedì, come promesso nei giorni scorsi. Magari improvvisando anche quella “lezione” di un paio d’ore sui diritti e i doveri previsti nei contratti firmati da ciascuno, per evitare in futuro altri “casi” come quello che ha riguardato Lavezzi e i suoi procuratori. O magari raccontando anche in Austria di quando, l’anno scorso, s’inventò il “biglietto virtuale” per le partite europee del Napoli, con risultati strabilianti dal punto di vista economico.
Proprio col racconto dell’idea del “Virtual Ticket”, a Ischia De Laurentiis anticipa, in qualche modo, l’atmosfera dei match di alta classifica che attendono il Napoli durante la prossima stagione. Lo fa durante un summit con alcuni importanti produttori hollywoodiani, quando utilizza questo esempio calcistico. “Nel nostro Paese – spiega il presidente azzurro – c’è una totale prevenzione nei confronti di ciò che non si conosce. E questo frena la crescita e l’innovazione, in tutti i settori. Invece, col Napoli io mi sono inventato il “Biglietto virtuale” e ho fatto scoppiare la rivoluzione”.
De Laurentiis entra nel vivo del discorso: “Quando l’anno scorso sono stato per la prima volta al sorteggio delle coppe europee, a Nyon e poi a Montecarlo, ho avvicinato i dirigenti di Inter e Juventus e, poiché volevo capire, gli ho chiesto a che cifre vendessero le partite di un preliminare di Champions League. Quando mi sono sentito rispondere che stavamo parlando di 100-150mila euro gli ho chiesto, un po’ provocatoriamente, se volevano venderle a me”. Con questa premessa, l’attenzione della platea è tutta per lui. E Aurelio De Laurentiis passa a illustrare la “ricetta” innovativa che ha seguito per il suo Napoli: “Di fronte a cifre così esigue, ho pensato che per i diritti televisivi della partita di Intertoto contro il Panionios dovevo comportarmi in modo diverso. Prima ho provato con Rai e Mediaset, ricevendo soltanto rifiuti. Poi, d’accordo con i vertici di Sky, mi sono inventato la rivoluzione del “Virtual Ticket”, che ha posto il Napoli all’avanguardia rispetto alle grandi del calcio italiano”. De Laurentiis rievoca i dettagli: “Ho detto a Tom Mockridge di Sky che non volevo un euro per i diritti televisivi della partita, ma che doveva far gestire direttamente a me tutta la pubblicità sui tanti canali satellitari della loro piattaforma. Poi, gli ho proposto di mandare in onda la partita soltanto in “pay per view”, facendo pagare allo spettatore, quindi, un vero e proprio biglietto virtuale. In questo modo, alla fine ho fatturato un milione e 200mila euro per una semplice partita di Intertoto contro una piccola squadra greca. E’ così che si innova, senza appiattirsi sull’esistente, ma guardando al futuro”.

venerdì 17 luglio 2009

ISCHIA GLOBAL TRA HOLLYWOOD E VISCONTI

Di Diego Del Pozzo

(Il Mattino - 17 luglio 2009)

Tra annunci di nuovi film e anticipazioni di attesi progetti culturali e produttivi, l'Ischia Global Film & Music Fest fa riscoprire all'Isola verde il suo ruolo di "fucina creativa" del cinema internazionale, proprio come ai tempi di Angelo Rizzoli e Luchino Visconti, protagonista dell'omaggio di giornata alla manifestazione diretta da Pascal Vicedomini.
Prima dell'incontro dedicato al grande maestro di Senso e Il gattopardo, però, l'atmosfera dell'Ischia Global si surriscalda grazie all'annuncio del fascinoso attore Terrence Howard (qui sotto, nella foto), al festival per accompagnare, col regista Dito Montiel, l'intenso Fighting che tanto successo ha riscosso nella consueta proiezione notturna nella baia del Regina Isabella: "Ho appena finito di recitare nel nuovo film scritto e prodotto da George Lucas. S'intitola Red Tails e sarà diretto dal regista afroamericano Anthony Hemingway. Il film si rifà a un progetto che Lucas ha in cantiere da una trentina di anni e che all'inizio voleva anche dirigere personalmente. L'idea è originale: una sorta di Top Gun con attori prevalentemente afroamericani, ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale. Io interpreto il personaggio principale, il colonnello A.J. Bullard, una specie di Martin Luther King dell'Aeronautica statunitense. E con me recitano anche Cuba Gooding jr., Tristan Wilds e Jesse Williams". Red Tails sarà uno dei titoli di punta dell'estate 2010, ma non è la sola grossa produzione nella quale è coinvolto Terrence Howard, che infatti si sta contendendo il ruolo di Marvin Gaye con Will Smith nell'atteso biopic che lo specialista di "music movies" Cameron Crowe dedicherà al grande artista: "Attualmente, Cameron sta terminando la sceneggiatura e, quindi, non ci sono ancora contratti firmati. Però, io ho già partecipato a diverse riunioni preliminari e, ovviamente, sono davvero interessato a ottenere questo ruolo, per il quale lotterò con passione con Will". E se nell'immediato futuro dell'impegnatissimo Terrence c'è anche un Macbeth cinematografico del quale sarà pure produttore, il presente si chiama Fighting. "L'esperienza con Dito Montiel mi ha reso un attore meno arrogante", spiega l'interprete già apprezzato in Crash di Paul Haggis e nel kolossal Iron Man. "Quando ho visto il primo film di questo regista – aggiunge – ho subito deciso che avrei lavorato con lui: il suo cinema, infatti, mi ricorda quello urbano del Coppola e dello Scorsese degli anni Settanta, con grande attenzione all'umanità dei personaggi e alle loro storie". E in effetti, tra Terrence Howard e Dito Montiel l'intesa è totale, come conferma anche il regista: "Quando ho scritto Fighting, ho pensato innanzitutto al personaggio di Harvey interpretato da Terrence: tutto ruota intorno a lui, come se l'intero film fosse una passeggiata in sua compagnia".
Altro annuncio di giornata, è quello riguardante il rilancio della Fondazione La Colombaia che, a Forio d'Ischia, gestisce la storica villa appartenuta a Luchino Visconti, dove il grande regista è anche sepolto. Il rilancio sarà ratificato il 3 settembre, alla Mostra di Venezia, con la firma di un accordo di programma tra la stessa Fondazione e l'Alleanza Mondiale del Cinema presieduta da Joao Correa e che ha come massimo referente italiano il regista Citto Maselli. "Con 600mila euro di fondi europei – spiega Maselli – rilanceremo l'attività della Fondazione e, grazie a un innovativo progetto architettonico di Massimiliano Fuksas, la trasformeremo in un luogo di formazione per i giovani cineasti di tutto il mondo, i quali potranno venire alla Colombaia e incontrare i maestri del cinema". Durante l'incontro, Luchino Visconti è ricordato da chi l'ha conosciuto molto da vicino, come Marina Cicogna, che approfitta anche per rilanciare le attività benefiche del Premio Isabella Rizzoli (10mila euro per salvare la vita di un bimbo africano). Ma anche da un sincero appassionato del cinema viscontiano come il regista Joel Schumacher, premiato in serata, al Negombo, assieme allo stesso Maselli, a Marco Risi, Arturo Brachetti, Maria Grazia Cucinotta, Ficarra e Picone, Cristiano De André e Raoul Bova.
Intanto, il programma dell'Ischia Global s'arricchisce con l'anteprima mondiale a sorpresa di Brothers di Jim Sheridan, col regista che domani accompagnerà il film al festival, dove riceverà un premio speciale assieme a un'altra prestigiosa "aggiunta" dell'ultim'ora: la bellissima Nastassja Kinski.

giovedì 16 luglio 2009

ANGELA BASSETT ALL'ISCHIA GLOBAL

Di Diego Del Pozzo


E' la giornata delle dive all'Ischia Global Film & Music Fest, grazie alla contemporanea presenza di due tra le interpreti più brave e fascinose dell'odierno panorama hollywoodiano: Angela Bassett e Rosario Dawson.
Le due star arricchiscono ulteriormente il già affollato parterre internazionale della manifestazione di Pascal Vicedomini, bravo a farle interagire con altri big statunitensi come lo sceneggiatore Steven Zaillian e il regista Marc Forster. Proprio lui girerà Disconnected, "un thriller – anticipa – sui rischi insiti nelle nuove tecnologie e nell'uso incontrollato dei social network". In quanto a Zaillian, a Ischia annuncia un progetto di grande interesse: "Sto finendo di scrivere il nuovo film di Martin Scorsese, una storia di gangster come quelle che l'hanno reso famoso". Angela Bassett (qui sopra, nella foto), premiata in serata assieme a Forster prima della proiezione di Fighting diretto da Dito Montiel, accompagna a Ischia l'atteso biopic Notorious (da domani nelle sale italiane in 100 copie), che il regista George Tillmann jr. ha dedicato alla vita breve ma intensa del gangsta rapper Christopher Wallace, alias The Notorious B.I.G., ucciso in una sparatoria nel 1997. "All'epoca – racconta Angela – vivevo a meno di due miglia dal luogo dell'omicidio e ne fui molto scossa, anche perché conoscevo e apprezzavo la musica di Notorious. Mi intristirono le immagini della mamma e le sue espressioni di dolore, poiché anche io ho due figli".
Le infinite vie del cinema hanno voluto che, a distanza di anni, proprio Angela Bassett sia stata scelta per interpretare Voletta Wallace, anche co-produttrice del film sul figlio assieme al produttore musicale – e suo scopritore – Sean Combs, noto all'epoca come Puff Daddy e ora come P. Diddy. "La cosa che più mi ha colpito durante la lavorazione – prosegue la Bassett – è stata la presenza costante di Voletta sul set: abbiamo trascorso tanto tempo insieme e, così, è nata un'intimità naturale tra noi, decisiva per farmi entrare totalmente nel suo personaggio. Da questo punto di vista, ho notato una differenza enorme rispetto a quando recitai nel biopic su Tina Turner, che non ha mai voluto essere coinvolta nel progetto".
Mamma e manager co-produttori, però, rendono Notorious un tantino agiografico, in particolar modo nella netta presa di posizione che è alla base della ricostruzione della "guerra" anni Novanta tra rappers ed etichette discografiche della Costa Est (la newyorkese Bad Boy di Combs e Wallace) e della Costa Ovest (la losangelina Death Row di Suge Knight e Tupac Shakur, altra vittima illustre del periodo).
Notorious e Tina non sono, comunque, le prime esperienze di Angela Bassett in biografie filmiche di star della musica, poiché nel 1992 ha interpretato persino la mamma di Michael Jackson nella miniserie televisiva The Jacksons: An American Dream di Karen Arthur. "E poco dopo – ricorda l'attrice – incontrai Michael a un party proprio assieme alla madre. Mi avvicinò e mi disse che vedendomi in tv si era sentito di nuovo un bimbo di dodici anni, come nel film. La sua morte mi ha davvero scioccato, perché la sua musica è stata la colonna sonora della mia vita". In questi mesi, la Bassett ha conosciuto anche il prestigioso set televisivo di E.R. – Medici in prima linea, durante la stagione finale della serie: "Ho fatto un’esperienza bellissima, soprattutto perché mi ha reso ancora più "elastica" mentalmente, avendo dovuto lavorare con una quindicina di sceneggiatori diversi, a seconda dell'episodio". Ora l'attrice è pronta all'esordio nella regia: "Ho acquistato i diritti di un libro, intitolato United States; e ho già scritto la sceneggiatura. Adesso sto cercando una produzione e poi dirigerò il mio primo film".
Anche la carriera di Rosario Dawson, altra protagonista di giornata all'Ischia Global, è a un punto di svolta, grazie pure ai tanti impegni umanitari che la vedono coinvolta. "Oggi scelgo i film con grande cura – spiega – e mi assicuro che abbiano una storia in grado di lasciare qualcosa allo spettatore e, magari, anche un messaggio importante, soprattutto se si tratta di lavori rivolti ai più giovani. Come il nuovo film di Chris Columbus, Percy Jackson and the Olympians, nel quale interpreto la dea Persefone accanto a Uma Thurman e Pierce Brosnan. In estate, poi, girerò a Boston un altro film per famiglie, The Zoo Keeper, con Sylvester Stallone". Un ultimo pensiero, l'affascinante attrice lanciata da Larry Clark in Kids e poi da Spike Lee ne La 25a ora, non può che rivolgerlo all'Italia: "Mi piacerebbe essere diretta di nuovo da Gabriele Muccino, col quale mi sono trovata benissimo in Sette anime. Magari, potrei partecipare a un suo film italiano, in modo da lavorare per un po' in questo meraviglioso Paese".

ARGENTO RIFARA' "PROFONDO ROSSO" IN 3D

Di Diego Del Pozzo


"Nei mesi scorsi sono stato negli Stati Uniti per studiare meglio le nuove tecnologie 3D, in vista di un remake tridimensionale di Profondo rosso: si tratta di una bella sfida, che m’incuriosisce molto". Arriva direttamente da Dario Argento – durante l'Ischia Global Film & Music Fest – la conferma, seppur implicita, del via al progetto del primo film italiano da realizzarsi con le nuove tecniche 3D. "Ci sono aspetti produttivi da definire meglio – aggiunge Argento – ma la cosa m’interessa. Si tratterebbe di rigirare il film, con un nuovo cast da integrare con parte del vecchio".
A convincere Argento è stato anche il successo ottenuto dal film nella recente proiezione al Traffic Festival di Torino, con 15mila spettatori entusiasti per la versione musicata live da Claudio Simonetti and Daemonia.

mercoledì 15 luglio 2009

CHRISTOPH WALTZ, BASTARDO SENZA GLORIA

Di Diego Del Pozzo


Entra nel vivo, all'insegna del grande cinema hollywoodiano, il settimo Ischia Global Film & Music Fest. A far salire ulteriormente la temperatura cinefila, infatti, provvede il parterre schierato dal direttore Pascal Vicedomini nel corso della seconda giornata, dopo l'apertura riservata alla grande musica di Sting, Zucchero e Andrea Bocelli, con tanto di graditissime jam notturne a bordo piscina (anche stanotte, schitarrate fino alle quattro di mattina, con Fornaciari and friends).
Parterre di gran lusso, si diceva, con lo sceneggiatore Steven Zaillian, Bille August (che ha annunciato il suo prossimo film, The Diary, le cui riprese inizieranno in inverno in Canada) e un Danny Glover in versione no global.
Ma il più atteso della giornata è Christoph Waltz (qui sopra nella foto, nel ruolo che gli ha dato la fama), certamente l'attore del momento, austriaco di nascita ma di formazione Actor's Studio, lanciato nel firmamento delle star dalla straordinaria performance regalata in Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino, film che gli ha fruttato anche il recente premio di miglior interprete al festival di Cannes per il ruolo dello spregevole colonnello nazista Hans Landa. "L'improvviso successo – racconta Christoph – non mi ha scioccato più di tanto, ma divertito e soddisfatto. Anche perché mi ha confermato che quando si lavora con serietà i frutti, prima o poi, arrivano. D'altra parte, il fatto di non avere più 25 anni e di fare questo mestiere da quasi tre decenni mi aiuta a gestire la popolarità".
I ricordi del movimentato set tarantiniano sono ancora nitidi. "Era tutto speciale, con Quentin che riusciva a relazionarsi con ciascuno di noi in modo differente. A me, per esempio, ha lasciato briglia sciolta, anche perché mi vedeva già estremamente concentrato sul ruolo che dovevo interpretare. D'altra parte, io sono così: quando ho un lavoro da fare, mi ci dedico in modo assoluto. Per questo, sono rimasto un po' in disparte rispetto ai tanti scherzi che si facevano sul set. La cosa più piacevole è stata la presenza abbastanza continua della musica, grazie al "mitico" hard disk di Tarantino con le sue 400mila canzoni. E Quentin era davvero straordinario nello scegliere sempre il brano più adatto come sottofondo per ogni situazione: così allentava notevolmente la tensione di una lavorazione che è stata lunga e complicata".
Altrettanto viva, nella memoria di Christoph, è l'immagine del primo incontro con Tarantino. "E' stato in occasione del casting, con lui proprio di fronte a me, dietro una scrivania: mi ha dato un copione e abbiamo iniziato a recitare insieme, per trovarci ben presto a scherzare quasi come bambini. Già allora, dando una sbirciatina, ebbi modo di capire quanto dettagliata fosse la sceneggiatura scritta da Quentin. Perciò, io dico spesso di avergli fornito soltanto la "materia prima umana" con la quale dar forma alle sue visioni: il film e i suoi personaggi, infatti, appartengono in tutto e per tutto a lui". Però, è innegabile il contributo attoriale personalissimo fornito da Waltz. "Io ho cercato di lavorare direttamente sul copione scritto da Quentin, anche perché odio l'improvvisazione. Scherzando, potrei dire che ho contribuito studiando bene la sceneggiatura e arrivando puntuale sul set. In realtà, credo di essermi posto le domande giuste su quanto scritto da Quentin e di essere entrato bene in sintonia con lui".
Certo è che il personaggio del mellifluo colonnello nazista Hans Landa è di quelli che cambiano una carriera. "Infatti, credo che non sia possibile prepararsi appositamente per un simile ruolo: io vi sono entrato utilizzando tutte le esperienze dei miei precedenti trent'anni di carriera, anche teatrale. Per me, questo personaggio è paragonabile davvero a Riccardo III. Il successo ottenuto a Cannes è stato, comunque, superiore anche alle mie più rosee aspettative e già lì ho ricevuto parecchie altre offerte che attualmente sto valutando. Perciò, vedremo cosa accadrà in futuro".
Intanto, anche la serata di ieri è andata avanti all'insegna del grande cinema hollywoodiano, grazie all'anteprima di Notorious, l'atteso biopic di George Tillman jr. sul celebre rapper Christopher Wallace, The Notorious B.I.G., ucciso qualche anno fa; e grazie, soprattutto, alla presenza di due dive affascinanti e molto brave come Angela Bassett e Rosario Dawson, premiate dal governatore campano Antonio Bassolino assieme allo stesso Waltz e a Gina Gershon, Dario Argento, Jacqueline Bisset, Jimmy Iovine, Giuseppe Piccioni.

martedì 14 luglio 2009

DARIO ARGENTO PREMIATO A ISCHIA

Di Diego Del Pozzo

(Il Mattino - Speciale, 11 luglio 2009)

Il più internazionale dei registi italiani, Dario Argento, non poteva che ricevere un Ischia Legend Award "per lo straordinario talento artistico che ha conquistato il mondo". Ancora oggi, infatti, il cinema dell'autore di Profondo rosso e Suspiria è studiato e ammirato a ogni latitudine e continua a influenzare generazioni di cineasti, che amano citarne particolari inquadrature o intere sequenze, soluzioni visive originali e colonne sonore, persino "tagli" di montaggio e dettagli scenografici. Anche così, dunque, si giustifica il premio speciale che il regista riceverà stasera nell'ambito dell'Ischia Global Film & Music Fest. La premiazione si svolgerà nel corso di una serata di gala al Mezzatorre di Forio, ai piedi della villa La Colombaia che appartenne a Luchino Visconti. E alla cerimonia interverrà Elsa Pataky, la giovane attrice che Argento ha diretto nel suo film più recente, Giallo, interpretato pure da Emmanuelle Seigner e dall'attore Premio Oscar (per Il pianista di Polanski) Adrien Brody (nella foto sopra, assieme al regista sul set), anche co-produttore di una pellicola pronta già da diversi mesi ma ancora senza distribuzione.
Giallo racconta la storia di una hostess statunitense (Seigner) che, assieme a un investigatore italiano (Brody), segue le tracce della sorella scomparsa (Pataky), possibile vittima di un terribile serial killer. Per Dario Argento, il film rappresenta un ritorno alle atmosfere violente e morbose di un genere, il "giallo all'italiana", che proprio lui ha contribuito a codificare all'inizio degli anni Settanta con pellicole oggi "di culto" come L'uccello dalle piume di cristallo (1970) e Il gatto a nove code (1971). Dunque, un nuovo ripensamento (auto)critico dei suoi esordi, proprio com'è stato il precedente La terza madre (2007), col quale il regista s'è ricollegato, invece, ai primi capitoli puramente horror della carriera, cioè Suspiria (1977) e Inferno (1980), chiudendo quella che è diventata una vera e propria trilogia.
Anche a Ischia, è probabile che Dario Argento dichiarerà pubblicamente, come ha fatto spesso, il suo profondo amore per il cinema, una passione che, assieme a quella per la letteratura, lo accompagna fin da ragazzino: "Stare in solitudine a leggere e vedere film. In fondo, il cinefilo è un solitario che dialoga con le immagini proiettate sullo schermo". Questa e altre riflessioni inedite si trovano nel bel libro-intervista di Fabio Maiello Dario Argento. Confessioni di un maestro dell'horror (Edizioni Alacràn, 352 pagine, 14.80 euro), nel quale il regista rievoca anche altri episodi poco noti della propria adolescenza: "Quando ero ragazzo non trovavo la vita così bella. Non mi piaceva e pensavo fosse cattiva con me. Ero spesso emarginato. Non rispettavo i dettami maschili della mia epoca e per questo cercavo rifugio nel cinema". Proprio quel cinema che, da adulto, ne ha fatto uno dei registi più ammirati (e citati) al mondo.

domenica 12 luglio 2009

PARTONO OGGI I FESTIVAL DI ISCHIA E GIFFONI

Di Diego Del Pozzo

Si sono inaugurati oggi pomeriggio i due festival cinematografici più glamour dell'estate campana: l'Ischia Global Film & Music Fest (fino a domenica 19) e lo storico Giffoni Experience (fino a sabato 25). Per questa settimana le due manifestazioni procederanno in parallelo, tra grandi ospiti internazionali, anteprime, eventi mondani, serate benefiche ma anche tanta musica.
Apertura "col botto" per entrambi i festival, con quello ischitano che punta sul tris d’assi Sting-Zucchero-Bocelli, mentre il Giffoni (ex Festival, oggi Experience) di Claudio Gubitosi risponde con la prestigiosa doppia anteprima italiana di Harry Potter e il principe mezzosangue, l'atteso nuovo capitolo della cine-saga del giovane mago più amato di sempre. I due festival proseguiranno, poi, all'insegna di una grandeur che li rende casi unici nel panorama festivaliero campano. Così, se l'Ischia Global punta sugli "oltre cento ospiti da tutto il mondo", Giffoni Experience risponde con i 2.800 giurati da 39 nazioni e i 145 film in programma.
Basti un semplice elenco di nomi per comprendere la "linea" dei due festival:
1) Giffoni: ospiti stranieri - Eva Mendes (qui sopra, nella foto - A Giffoni il 17 luglio), Baz Luhrmann (il 18), Kasia Smutniak (19), Naomi Watts e Liev Schreiber (20), Christina Ricci (22), Winona Ryder (25); ospiti italiani - Enzo d'Alò (martedì 15), Raoul Bova (il 17), Federico Moccia (18), Luigi Lo Cascio e Davide Ferrario (19), Claudio Bisio (20), Francesca Neri (21), Laura Morante (23), Sergio Castellitto (24), Claudio Santamaria e Giovanna Mezzogiorno (sabato 25). L'attrice de L'ultimo bacio sarà a Giffoni come madrina del Premio Vittorio Mezzogiorno, che da quest'anno si sposta all'interno del festival;
2) Ischia: Rosario Dawson (nella foto qui sopra), Paul Haggis, Francesca Archibugi, Christian e Brando De Sica, Nicolas Vaporidis, Steven Zaillian, Christoph Waltz, Angela Bassett, Peter Fonda, Dario Argento, Danny Glover, Jacqueline Bisset, Gina Gershon, Jean-Jacques Annaud, Joel Schumacher, John Turturro, Andrei Konchalovsky, Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, Milla Jovovich, Harvey Weinstein, Pupi Avati, Bud Spencer, Lindsay Lohan. Nella sezione musicale, spiccano i jazzisti Eric Lewis e Stefano Di Battista, ma ci saranno anche Cristiano De André, Enzo Avitabile, Tony Esposito e Tullio De Piscopo.

sabato 11 luglio 2009

COMICS USA TRA "GEMME" E TANTE "MINKIATE"

Di Raffaele De Fazio

Come ormai saprete, Capitan America è, ovviamente, risorto in Reborn: così, il più famoso dei segreti di Pulcinella è finalmente realtà. Ora manca soltanto, nelle file della Distinta Concorrenza, Bruce Wayne, ancora missing in action dopo Final Crisis, anche se sia Bucky che Nightwing se la stanno cavando piuttosto bene come sostituti dei rispettivi mentori.
Sembra, però, che i rumors della rete indichino come soluzione finale della saga relativa a Cap la possibilità che il buon Steve Rogers abbia soltanto simulato la sua morte. Ebbene, se così fosse, allora vorrebbe dire che la guida storica degli eroi Marvel avrebbe assistito indifferente alle Marvel minkiate degli ultimi due anni quali l'invasione degli Skrull, la distruzione portata da Hulk e la presa del potere da parte di uno dei villain storici quali Norman Osborn, con i suoi Dark Avengers, magari monitorando tutto dal suo buen ritiro alle isole Hawaii. Quindi, quello evocato da Thor sul numero 11 della sua serie sarebbe soltanto frutto di funghi allucinogeni asgardiani, o probabilmente "Testa Alata" voleva solo prendere le distanze da scelte editoriali che sembrano prese da ragazzi di 14 anni, i quali ritengono che l'età dell'oro Marvel fossero gli anni Settanta.
Quasi a voler confermare la qualità della gestione Marvel di Quesada degli ultimi 5 anni, poi, ecco arrivare, direttamente dai bidoni della spazzatura della Casa delle Idee Stupide, la versione One More Day della saga del clone. Dopo aver provocato attacchi di dissenteria nel Marvel fan degli anni Novanta, dunque, ritorna la saga più bistrattata del Marvel Universe in una miniserie di sei numeri a cura di Howard Mackie e Tom DeFalco.
Va un po' meglio, questo mese, guardando il panorama delle case editrici indipendenti, dove voglio segnalare due produzioni che si aggiudicano, rispettivamente, la "Gemma del mese" e il premio "Minkiata dell'anno". Alla prima voce corrisponde, edito da W.W.Norton, la nuova produzione del "Dio del fumetto underground americano", Robert Crumb, che ci presenta l'adattamento biblico del libro della Genesi (imperdibile l'avviso in copertina che segnala il "riservato ad un pubblico adulto"), primo capitolo di una versione che si riserva di adattare tutti i passi, anche i più scabrosi, del Vecchio Testamento, stupri, incesti e omicidi compresi. Premio Minkiata 2009, invece, all'Amaze Ink/Slave Labor per Pinocchio Vampire Slayer: si preannunciano terremoti con epicentro la tomba di Collodi. E pensare che hanno abbattuto degli alberi per pubblicarlo!

giovedì 9 luglio 2009

PREMIATO IL DVD "DOC" DI VITTORIO DE SETA

Di Diego Del Pozzo

Con qualche giorno di ritardo, voglio comunque segnalare una notizia estremamente piacevole per tutti i veri appassionati del cinema di qualità. Venerdì scorso, 3 luglio, nell'ambito del festival Il cinema ritrovato di Bologna, il dvd Il mondo perduto che raccoglie i cortometraggi, ormai introvabili, del grande maestro del cinema italiano Vittorio De Seta ha vinto il "Premio internazionale Il Cinema Ritrovato – Dvd Awards" nella categoria "Miglior riscoperta di un film dimenticato". Il dvd Il mondo perduto, edito da Feltrinelli, raccoglie i dieci preziosi lavori di De Seta realizzati tra il 1954 e il 1959, una serie di cortometraggi che si collocano stilisticamente tra Ejzenstein e Flaherty, nonché ai vertici qualitativi dell'intera storia del cinema italiano. Ecco la motivazione del premio: "Per aver messo a disposizione del grande pubblico, per la prima volta, i dieci documentari che Vittorio De Seta ha girato negli anni Cinquanta, capolavori assoluti di maestria cinematografica, sguardo antropologico e lezione di morale".

mercoledì 8 luglio 2009

UN FILM DAL ROMANZO DI DAVID PEACE

Di Diego Del Pozzo

(Il Mattino - 8 luglio 2009)

Il maledetto United di David Peace è anche un film, uscito nelle sale inglesi il 24 marzo e previsto per il 25 settembre in quelle italiane. Lo ha diretto Tom Hooper - che ha sostituito il designato Stephen Frears - e scritto Peter Morgan, sceneggiatore di fiducia dello stesso Frears. Nel ruolo del mitico allenatore Brian Clough c'è Michael Sheen (qui sotto, nella foto), perfetto nel rendere la geniale e rude personalità di un manager capace di vincere il titolo nazionale col piccolo Derby County proprio ai danni di quell'odiato Leeds United che si troverà a guidare per i "maledetti" 44 giorni narrati nel romanzo. Nel 1979 e 1980, poi, Clough firmò la vera impresa della sua carriera: due Coppe dei Campioni vinte alla guida di una "provinciale" come il Nottingham Forest. Con Sheen, nel film recitano anche Jim Broadbent, Timothy Spall e Joseph Dempsie. E sempre il calcio "Made in U.K." è al centro anche di Looking for Eric, il film di Ken Loach presentato allo scorso festival di Cannes e che sarà nelle sale italiane verso la fine dell'anno. E' la storia di un giovane tifoso che, in un momento di difficoltà della sua vita, incontra "magicamente" il suo idolo Eric Cantona, ex attaccante del Manchester United.

Nota: Questo mio pezzetto è uscito stamattina sul quotidiano Il Mattino, a corredo di un ampio articolo del professor Stefano Manferlotti sul romanzo di David Peace e altri libri di argomento calcistico. In attesa della mia recensione de Il maledetto United, già più volte annunciata e non ancora scritta, ho pensato, comunque, di riproporlo da solo anche sul mio blog.