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martedì 21 luglio 2009
THE BOSS: ONE NIGHT IN ROME / 3
Di Vincenzo Esposito
Ci sono due tipi di concerti: quelli di Springsteen & The E Street Band e quelli degli altri. Esistono due metodi per descrivere i concerti del Boss: uno lucido e rigoroso, che mettiamo in pratica quando analizziamo le performance alle quali non abbiamo preso parte, ma delle quali conserviamo testimonianze, registrazioni audio e video; l'altro caldo e viscerale, che inevitabilmente si impone nelle discussioni inerenti i gigs che abbiamo esperito (che per molti italiani, di una certa età, vanno da quello di Milano del 21 giugno 1985 a quello di Roma del 19 luglio 2009).
Chi era all'Olimpico, domenica scorsa, ha percepito subito la sensazione di assistere ad uno dei migliori concerti degli ultimi anni quando, spente le luci, è partito il tema principale di C'era una volta il West, e "la più grande rock 'n' roll band del mondo" è salita sul palco con l'incedere epico degli eroi che conquistarono la Frontiera. Lo sguardo di Bruce fissava la linea dell'infinito, ma come sempre scrutava le anime di ognuno noi, come se sapesse tutto: le nostre passioni, illusioni, delusioni, sconfitte; come se fosse lì non solo per parlarci delle sue storie, ma anche delle nostre, e ricordarci che, in fondo, c'è qualcosa di mitico anche nel grigiore che talvolta colora i nostri giorni. E allora quale migliore attacco di Badlands, summa sublime della musica di Springsteen: "Ti svegli di notte con il terrore vero di passare la vita ad aspettare un momento che semplicemente non arriva". Come fai a non cantare a squarciagola questo verso che, in una sola serata, scaccia via le paure e ti fa risparmiare dieci anni di analisi junghiana?Out in the Street,Outlaw Pete(perfino questo bizzarro pasticcio rende bene dal vivo!) eNo Surrenderti arrivano nella pancia senza soluzione di continuità. Quest'ultima canzone, in particolare, ti rovista nelle budella e ti regala il coraggio del quale hai bisogno per credere che non hai sbagliato proprio tutto nella vita. Certamente non hai sbagliato a scegliere Springsteen come "guida spirituale" negli anni dell'adolescenza (per chi scrive, gli anni Ottanta): quando intorno a te, dopo la fine delle ideologie (e per alcuni anche delle idee), imperavano l'edonismo reaganiano e il "menefreghismo" craxiano; ma tu rimanevi integro perché avevi capito, grazie a Springsteen, che si impara da una canzone di tre minuti più di quanto si apprende a scuola.
La E Street Band è proprio in gran spolvero: a tratti sembra di rivivere le emozioni musicali di 25 anni fa. Seeds, uno degli outtakes più incisivi di Bruce, viene eseguito con la grinta di una garage band di ventenni, e assieme alle seguentiJohnny 99eAtlantic City(entrambe in versione rock) va a comporre un trittico sociologico che fa luce, con violenza elettrica, sulle cause storiche della crisi economica di oggi. Poi arrivano le richieste del pubblico: il Boss "si bagna" nella folla (fonte inesauribile della sua energia), raccoglie cartelli con i titoli delle sue canzoni. Che bella idea! Semplice e geniale: solo a lui poteva venire in mente di trasformarsi in una sorta di jukebox vivente. Sale la febbre, vorresti che le suonasse tutte; purtroppo ne deve scegliere solo alcune. Preme il tasto e parteHungry Heart: la cantano tutti, anche se gli italiani non hanno mai imparato a memoria la prima strofa, e ripetono solo un verso del chorus, "everybody’s got a hungry heart". Ma che importa, va bene anche così, il messaggio è chiaro: abbiamo un cuore affamato di musica, emozioni, e sogni che magari svaniscono in fretta e poi diventano incubi (ma in quel momento sono reali e ti danno ossigeno). Il jukebox continua a sfornare canzoni, l'Olimpico si trasforma in un bagnasciuga anni Sessanta, e noi, improvvisati "beach boys", ce le godiamo:Pink Cadillac,I'm on Fire,Surprise Surprise(quest'ultima, forse, se la poteva risparmiare, ma gliela chiede una coppia di "promessi sposi", e Bruce, si sa, non sa dire di no alla sua grande "famiglia allargata").
Si ritorna a fare sul serio:Prove It All Nightè tiratissima, e il lungo assolo di chitarra riapre le vecchie cicatrici cheDarkness...procurò a molti di noi la prima volta che vi mettemmo sopra la puntina del giradischi.Waitin’ on a Sunny Dayspiana il sentiero luminoso che conduce dritto aThe Promised Land, anche se l'insidia (American Skin- 41 Shots) è acquattata dietro l'angolo. I fan di Springsteen lo sanno bene: l'American Dream è un caleidoscopio che proietta immagini di gioie e dolori, vita e morte! Il finale si avvicina, parteBorn to Run. C'è qualche pazzo in tribuna che pensa di potersene stare seduto immobile, mentre sul palco Springsteen & The E Street Band suonano la sua vita (sì, proprio la vita del folle che se ne sta seduto pensando, forse, di non essere "nato per correre"). Alla fine si alzano e cantano anche i morti!
L'Encore set arriva senza neanche una pausa, Bruce ha proprio tanta voglia di suonare e "fare rumore":My City of Ruins, dedicata ai terremotati dell'Abruzzo (ve l'ho detto, il Boss sa tutto di noi!); l'armonica annunciaThunder Road, la più "cinematografica" delle canzoni di Springsteen;American Land, con Mamma Adele Zirilli Springsteen che balla col figlio (che serata incredibile!);Bobby Jeanci ricorda che "we liked the same music, we liked the same bands, we liked the same clothes" (e ci mancherebbe!);Dancing in the Dark, con una ragazza del pubblico che balla con Bruce, come ai vecchi tempi; eTwist and Shout, in una versione lunghissima, che non finisce mai… ma proprio mai.
La ricorderemo per sempre, questa serata di tre ore: la racconteremo ai nostri figli e agli amici che non c'erano, come abbiamo fatto con i concerti di Milano, Roma, Torino... Tramandando le gesta eroiche, amplificando il mito.
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(da Wikipedia - L'enciclopedia libera)
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A cura di Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito Collana visionirock Quaderni di Cinemasud per Mephite edizioni 240 pagine, 12 euro
Il rapporto tra Bruce Springsteen e il cinema è affascinante e complesso. E non può essere ridotto alla presenza del rocker del New Jersey nei film, in veste di attore o autore di brani da colonna sonora, come accade per Elvis, Beatles, Rolling Stones, Dylan o Bowie. Il caso di Springsteen è diverso, persino unico, per la profonda influenza che il patrimonio culturale del cinema americano ha esercitato sulla sua scrittura estremamente “visiva”; ma anche per come egli stesso ha ispirato tanti film e cineasti con “pezzi di immaginario” derivanti dalla sua produzione. Si è di fronte, dunque, a un rapporto fortemente empatico e assolutamente paritario, fatto di un “prendere” dal cinema ma anche di un generoso “dare” all’immaginario popolare americano. Il libro curato da Del Pozzo ed Esposito ne ripercorre le tappe e, con ulteriori approfondimenti (Tricomi e Maiello) e un’ampia analisi iconologica (Morra), ne restituisce la ricchezza e l’assoluta originalità.
"Quanto ha influito il cinema sulla poetica del grande cantautore e musicista? E in che misura Springsteen ha inciso sull'immaginario visivo della fine del Novecento? Il cinema secondo Springsteen analizza, in maniera del tutto inedita e appassionata, il legame tra l'autore di Born to Run e la settima arte. [...] Il testo, corredato da alcune foto in bianco e nero, ricostruisce l'universo concettuale del Boss legato a doppio filo col grande schermo". (Ilaria Urbani, La Repubblica, 21 luglio 2012)
"L’arrivo in Italia di Springsteen ha scatenato anche le case editrici. Detto dei testi commentati di Labianca, almeno altri due titoli vanno ricordati: All The Way Home di Daniele Benvenuti [...] e Il cinema secondo Springsteen di Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito, che indaga i diversi intrecci tra la sua musica e l’arte cinematografica". (Piero Negri, La Stampa, 7 giugno 2012)
"Il testo svela in una prospettiva inedita il rapporto tra l’icona della “working class” americana e l’universo di celluloide. La chiave di lettura dei due curatori partenopei, mai sviscerata neanche nella robusta produzione patria dedicata al rocker, è infatti quella di una relazione profondamente empatica, osmotica, tra il cinema (non solo) a stelle e strisce e i racconti del cantore dei “losers”, che come pochi ha saputo e sa narrare in musica e parole l’oscurità, l’emarginazione, la disoccupazione, i corsi e ricorsi delle crisi economiche, la guerra, il sogno americano (o quel che resta)". (Teresa Mancini, LeiWeb.it, 7 giugno 2012)
"C'è grande attesa per il tour di Wrecking Ball di Bruce e della E Street Band, un ritorno salutato anche da un libro sul suo rapporto con il cinema, un amore intenso e proficuo, ricco di scambi, col cantautore pronto a ispirare i suoi testi ai capolavori del grande schermo e il cinema in prima linea per accaparrarsi le canzoni del Boss. Un fenomeno studiato da Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito, che ne hanno tratto una mostra, conclusasi di recente al Palazzo delle Arti di Napoli, e, appunto, un volume: Il cinema secondo Springsteen, edito da Mephite (nella neonata collana visionirock). L'opera ha il merito di non soffermarsi solo sui contributi da Oscar regalati a numerose colonne sonore, [...] ma di raccontare come il mondo delle immagini abbia invaso, fino dagli albori della carriera, la musica del rocker americano". (Dunya Carcasole, L'Arena - Il Giornale di Vicenza - Bresciaoggi, 7 giugno 2012)
"Testo interessante anche Il cinema secondo Springsteen (euro 12, pp. 240) che Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito hanno curato per Mephite edizioni: vi si indaga il rapporto di mutua reciprocità tra il rocker del New Jersey e l'immaginario cinematografico a stelle e strisce. Perché il vecchio Bruce ha lavorato per il cinema (vi dice niente Streets of Philadelphia?), deve molto al cinema (il suo Tom Joad è lo stesso del Furore di John Ford) e ha influenzato molto cinema (vedi, tra le altre cose, The Wrestler con Mickey Rourke). Inoltre resta una meravigliosa faccia da cinema. Come un po' tutti gli americani con sangue italiano nelle vene". (Francesco Prisco, Ilsole24ore.com, 6 giugno 2012)
"Sono spesso i ribelli senza causa del cinema americano degli anni Cinquanta e Sessanta a ispirare il rock di Bruce Springsteen. Senza dimenticare che il forte impatto di film come Philadelphia o The Wrestler è dovuto anche alle colonne sonore che includono canzoni di Springsteen, che per Philadelphia ha anche vinto un Oscar. Forse, però, se proprio si vuol cercare un punto di riferimento nel rapporto tra il cinema e il rocker del New Jersey, occorre fare un passo indietro fino a Furore di John Ford, anno 1940, per capire come Tom Joad, l'anti-eroe di John Steinbeck alla ricerca di una "terra fertile" e ripagato con paghe da fame (a cui presta il volto Henry Fonda), abbia fortemente influenzato Springsteen, che ha basato proprio su questo film il suo album The Ghost of Tom Joad. Fervidi cultori del rapporto tra immaginario cinematografico e musicale, Del Pozzo ed Esposito non potevano che approfondire il tema curando il volume che dà il titolo alla nuova rassegna, Il cinema secondo Springsteen, da oggi in libreria nella collana visionirock del marchio Quaderni di Cinemasud (edizioni Mephite)". (Nino Marchesano, La Repubblica, 31 maggio 2012)
"Ma nelle pagine di Del Pozzo e Esposito, naturalmente, c’è molto di più, da film sconosciuti a tutti quelli che sono stati "sonorizzati" dalla voce di Bruce o dalle sue canzoni, dalla sua capacità di farsi illuminare dall’immaginario cinematografico americano alla disponibilità a rendere il favore, ispirandolo a sua volta. Autore di canzoni-sceneggiatura, padre di personaggi-workin’ class hero che potrebbero uscire da un lavoro di Bogdanovich, di Scorsese, di Coppola, Bruce è nato per correre come i "beautiful losers" di tanti film, non sempre capolavori. E, in attesa dell’ennesimo tributo di adrenalina e sudore che gli pagheranno i tanti fans campani che non si faranno sfuggire l’occasione di rivederlo con le sue nuove canzoni (e, purtroppo, senza Clarence "Big Man" Clemons), il giochino da cinerockettari è un mare di suoni e visioni in cui è dolce naufragare". (Federico Vacalebre, Il Mattino, 30 maggio 2012)
ROCK AROUND THE SCREEN
Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito (a cura di) Rock Around the Screen. Storie di cinema e musica pop Liguori Editore 294 pagine, 24.50 euro
A metà anni Cinquanta, l'avvento del rock 'n' roll segna una svolta epocale nei rapporti tra cinema e musica, con le due "arti giovani" che, da allora, s'intrecciano indissolubilmente e s'influenzano a vicenda. Diverse storie artistiche e produttive, culturali e industriali danno conto di questo affascinante "abbraccio": dai teen-rock movies con e senza Elvis ai grandi raduni che quarant'anni fa decretarono la perdita d'innocenza della "Woodstock Generation", da generi specifici come le rock-operas e i rockumentaries ai film di Dylan, Beatles e Pink Floyd, dalle mutazioni del corpo-rock a quelle della citazione video-filmica, fino alle parole di "cineasti rock" come Julien Temple e Carlo Verdone. Esperti di cinema e musica raccontano in modo originale temi che hanno segnato in profondità lo sviluppo della cultura giovanile del secondo Novecento.
"Musica e immagini che si intrecciano lungo il filo dello sviluppo tecnologico oppure il racconto della società di massa, da ricercare nelle pieghe dell'industria discografica e nel cinema come rappresentazione in presa diretta, ma anche meta-racconto di nuovi miti costruiti su un soggetto sociale nuovo, i giovani [...]. Questo è Rock Around the Screen. Storie di cinema e musica popa cura di Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito..." (Adriana Pollice, il manifesto, 20 maggio 2010)
"Un'opera brillante e dettagliata, che ha il merito di fissare con buona sintesi alcuni punti fermi e di valorizzare il legame tra note e immagine, così cruciale nella cultura pop" (Donato Zoppo, Jam, Maggio 2010)
"Undici saggi, colti e non pallosi, su cinema e rock. Un altro libro sul tema? Già, ma vale la spesa. Per la scioltezza di linguaggio, la ricchezza dei riferimenti [...]. Una manciata competente di studiosi, cinefili, giornalisti, ispirati da un taglio trasversale, ricostruisce contesti e scenari, senza fermarsi alle curiosità da fan né parlare solo agli iniziati" (Raffaella Giancristofaro, Rolling Stone, Aprile 2010)
"Di monografie sul rapporto tra rock 'n' roll e cinema ne sono già state scritte, ma Rock Around the Screen di Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito risulta oggi la più completa e attuale. [...] Un libro rigoroso e da non perdere" (Mauro Gervasini, Film Tv, 4 aprile 2010)
"Un libro completo, affascinante ed imperdibile per tutti i grandi appassionati di cinema e della vera musica rock" (Lorenzo Iadicicco, Roma, 7 marzo 2010)
"Un'appassionante raccolta di saggi e interviste che indaga la svolta epocale compiutasi, anche sul grande schermo, con l'avvento del rock 'n' roll" (Teresa Mancini, City, 1 marzo 2010)
"Che rapporto esiste tra rock e cinema? È possibile parlare di uno specifico filmico del rock? Domande che si pongono spesso i cultori di entrambe le arti. E a cui tentano di rispondere gli autori di Rock Around the Screen" (Nino Marchesano, La Repubblica, 10 febbraio 2010)
"Carlo Verdone, uno che di musica se ne intende, dice la sua sul mondo del rock nel libro Rock Around the Screen. Storie di cinema e musica pop (di Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito, edizioni Liguori) in uscita oggi. Da vecchio appassionato è in grado di fare confronti - sarà l'età, ma noi siamo dalla sua..." (Antonio Lodetti, Il Giornale, 2 febbraio 2010)
"Un excursus ampio e stimolante [...]. Del Pozzo e Esposito mettono ordine in una materia magmatica evitando il pericolo della nostalgia, canaglia soprattutto quando si parla di rock" (Federico Vacalebre, Il Mattino, 1 febbraio 2010)