(Il Mattino - 27 agosto 2011)
A questo periodo decisivo e a colui che, utilizzando in maniera modernissima il linguaggio delle immagini in movimento, s’impose come uno tra i suoi esegeti più illuminati e preveggenti è dedicato l’interessante volume di Francesco Crispino edito da Liguori e intitolato Alle origini di Gomorra. Salvatore Piscicelli tra Nuovo cinema e Neotelevisione (158 pagine, 19.90 euro). Va subito spiegato come il riferimento nel titolo al libro di Roberto Saviano e, soprattutto, al successivo film di Matteo Garrone sia motivato dall’approccio privilegiato da Crispino, che individua - a ragion veduta - nel regista e sceneggiatore originario di Pomigliano d’Arco l’anticipatore di quei ritratti di insediamenti urbani e periferie estese e degradate poi popolarizzati, quasi trent’anni dopo, dal fenomeno Gomorra. In particolare, Crispino - che ha insegnato Storia del cinema negli Atenei di Firenze, Roma Tre e Cassino, curato un volume su Pasolini e diretto alcuni cortometraggi e documentari - si sofferma su pellicole seminali come l’esordio piscicelliano del 1979 Immacolata e Concetta, il secondo film Le occasioni di Rosa del 1981 e la coeva serie di documentari televisivi Bestiario metropolitano, realizzata per Raitre (istituita appena nel 1975, in seguito alla riforma della tv pubblica) e trasmessa in sei puntate di mezz’ora l’una sulle frequenze regionali campane.
E una tra le tracce seguite dall’autore nell’accostarsi alla prima produzione di Piscicelli riguarda appunto lo storico “passaggio di testimone” tra cinema e televisione, del quale un artista intermediale raffinato e consapevole come il regista campano, capace - scrive Crispino - “di mescolare varie discipline e far dialogare diversi mezzi di comunicazione”, diventa emblema e punto di riferimento per coloro che verranno dopo. La traccia più significativa seguita dall’autore di Alle origini di Gomorra, però, è quella introdotta da ciò che scrive Franco Monteleone nella densa prefazione, a proposito del retroterra socio-etnografico del cinema di Piscicelli e del violento stravolgimento del tessuto sociale della provincia napoletana nella quale il cineasta si forma. “Com’è noto, si verifica allora in quei luoghi - scrive Monteleone - un repentino cambiamento della loro tradizionale fisionomia agricola. Il nuovo insediamento industriale dell’Alfasud, che manca ovviamente di una radicata cultura operaia, si affianca allo stabilimento dell’Italsider di Bagnoli, rimodellando l’intero bacino produttivo regionale, proprio nel momento in cui la vecchia e solida cultura operaia dell’altoforno meridionale stava scomparendo per effetto della crisi siderurgica. Da sedimento di miti, riti e di memorie ancestrali, quell’area finisce per trasformarsi in un perverso crogiuolo di neosviluppo, che assume tutti i caratteri della cosiddetta postmodernità, fondati sulle logiche di una tumultuosa quanto sregolata crescita economica”.
Questo itinerario è descritto quasi in diretta da Salvatore Piscicelli, prima nei documentari antropologici pomiglianesi con Marcello Colasurdo e nel tragico e spaesante melò rurale Immacolata e Concetta, quindi grazie all’avvicinamento alla città di Bestiario metropolitano e all’algida e disperata Scampia di Le occasioni di Rosa. Quattro anni dopo, nel 1985, arriveranno le storie vesuwave di Blues metropolitano e il cinema piscicelliano avrà compiuto il suo percorso urbano fin dentro il rutilante e polifonico ventre della “nuova” Partenope sospesa tra terremoto e fine millennio.
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