giovedì 1 ottobre 2009

OLTRE IL MURO: IL CINEMA DELLA DDR

Di Diego Del Pozzo

(Il Mattino - 1 ottobre 2009)

Uno sguardo oltre la ex "cortina di ferro", per riscoprire una cinematografia come quella della Repubblica Democratica Tedesca, di grande interesse dal punto di vista storico-sociale ma anche linguistico: è ciò che propongono i vertici del Goethe-Institut di Napoli, attraverso un ciclo di film pensato per celebrare i vent'anni dalla caduta del muro di Berlino, minaccioso simbolo della divisione tra Est e Ovest e di quella che è passata alla storia come "guerra fredda". Senza confini: il film nella DDR è il titolo scelto per l'interessante rassegna, organizzata dal Goethe presso il multicinema Modernissimo a partire da oggi. I sette film in cartellone saranno proposti con cadenza settimanale, ogni giovedì fino al 12 novembre, rigorosamente in lingua originale con sottotitoli italiani (biglietto d'ingresso a 3.50 euro, gratis per i possessori della Goethe-Card).
La produzione cinematografica della Repubblica Democratica Tedesca è particolarmente interessante per i cinefili, innanzitutto perché realizzata quasi totalmente nei mitici stabilimenti cinematografici di Babelsberg (la Cinecittà teutonica) che, prima di essere rinominati nel secondo dopoguerra con la sigla DEFA dalle forze di occupazione sovietica, erano conosciuti e ammirati in tutto il mondo con l'acronimo UFA (Universum Film AG) e fecero da culla, nell'epoca d'oro degli anni Venti, all'Espressionismo filmico nonché da casa a maestri del cinema mondiale come Fritz Lang, Friedrich Wilhelm Murnau, Joseph Von Sternberg e tanti altri.
Da un altro punto di vista, quello della ricostruzione storico-sociale, il cinema tedesco-orientale è interessante per il rapporto strettissimo col potere politico, che ne riconobbe subito l'enorme potenziale propagandistico e la capacità di influenzare le masse: così, una buona parte delle produzioni DEFA del dopoguerra si caratterizza per i soggetti inneggianti alla classe operaia e al modello sovietico. Tuttavia, in questi film, appaiono di estremo interesse soprattutto i tanti modi scelti dai registi per far passare, in maniera più o meno esplicita, le loro critiche al sistema politico della DDR, mettendone in evidenza errori e manipolazioni e mostrando la difficile vita quotidiana dei cittadini. Da qui i problemi con la censura statale, riguardanti alcuni film inclusi anche nel cartellone di Senza confini: per esempio, Tracce di pietra (in programma l'8 ottobre, alle 18), diretto da Frank Beyer nel 1966 ma proiettato in pubblico soltanto nel 1989, dopo la caduta del muro, per come rappresentava la "primavera" degli anni Sessanta; oppure, Io sono il coniglio (1965) di Kurt Maetzig, distribuito per la prima volta dopo il 1989, perché ritenuto "un dichiarato attacco antisocialistico, pessimistico e revisionistico contro lo Stato" (15 ottobre, alle 18.30).
I quattro appuntamenti conclusivi della rassegna napoletana daranno spazio, invece, agli autori che, tra fine anni Settanta e inizio Ottanta, iniziarono una riflessione forte sulle derive di quel sistema politico-amministrativo: l'Helmut Dziuba di Sabine Kleist, sette anni (1982), l'Hermann Zschoche di Sette lentiggini (1978), il Lothar Warnek del durissimo L'agitazione (1981) e il maestro Konrad Wolf - il più importante cineasta della DDR - di Solo Sunny (1980: in alto, una scena del film), la cui protagonista Renate Krossner fu premiata con l'Orso d'Argento al festival di Berlino. L'appuntamento inaugurale di oggi alle 18.30, però, sarà dedicato all'appassionato Gli assassini sono tra noi (a sinistra, la locandina originale), che Wolfgang Staudte girò nel 1946 in una Berlino ancora distrutta dai bombardamenti: il film, autentico "esame di coscienza" collettivo rispetto al recente passato nazista, ottenne un grande successo internazionale e riportò le attenzioni di pubblico e critica sulla cinematografia tedesca.