(Il Mattino - 9 settembre 2009)
“E’ stata un’esperienza interessante, che ho vissuto anche come una sfida. Mi sono trovato di fronte a una storia preesistente e alle imposizioni sulla lunghezza, datemi dalla produzione. Così, in soli trenta secondi ho cercato di inserire l’essenza stessa di una narrazione incentrata sulla quotidianità e sulle emozioni. Ovviamente, ho suggerito modifiche e ho fatto in modo che vi fosse qualcosa di personale, che potesse rimandare al mio stile. Poi, in fase di post-produzione vi saranno molti interventi, a partire dai fuochi d’artificio sul lungomare napoletano, che saranno inseriti in digitale”.
Lei ha girato a Castel dell’Ovo e sul lungomare. Cosa le ha comunicato la città, in questi due giorni?
“Certamente mi ha colpito con la bellezza di questi luoghi. A Napoli, d’altra parte, sono stato tante altre volte in passato”.
E come ha trovato la città, rispetto alle sue visite precedenti?
“Sempre piena di vita. Vi ho trovato tanto fermento e poca oleografia. Ma, naturalmente, non posso esprimere giudizi più approfonditi sul contesto sociale, essendo stato in città soltanto per due giorni. Io, infatti, odio la superficialità e non posso certo basarmi su quanto sento in televisione, per giudicare da fuori una città complessa come questa”.
Si riferisce ai tanti servizi giornalistici di questi mesi sull’emergenza rifiuti e gli scempi ambientali?
“Mi riferisco, in generale, al fatto che tutto ciò che ci arriva dalla televisione e dai mass media è, appunto, mediato. Per conoscere un luogo bisognerebbe viverci per settimane, forse mesi. A maggior ragione per una città come Napoli”.C’è qualche episodio che l’ha colpita, in questo suo breve soggiorno partenopeo?
"L’altro giorno, mentre un tassista ci accompagnava dalla Ferrovia all’albergo, si è sfogato per tutto il tragitto, raccontandomi i problemi della città. Addirittura, a un certo punto, ha iniziato a rimpiangere persino i Borbone”.
Una città tanto complessa, però, potrebbe essere un set ideale per un film di un regista come lei, che sa raccontare così bene le emozioni e i sentimenti umani.
“Se qualcuno dovesse propormelo, in futuro potrei anche accettare. Ma per realizzare un film non ci si può basare su articoli giornalistici o televisivi: ci vogliono una storia e personaggi di spessore. E, in ogni caso, prima di girare un film su Napoli, dovrei viverci per almeno sei mesi, per entrarci a fondo e conoscerla meglio”.
Una storia italiana è considerato, sia da Bellocchio che dai vertici del Monte Paschi, come “un vero e proprio film, più che un semplice spot pubblicitario”. Il corto è accompagnato anche da una strategia di comunicazione su Internet, incentrata sul sito www.unastoriaitaliana.it e mirata a far emergere la forte identità di un marchio presente nella storia italiana dal 1472. Il progetto firmato da Marco Bellocchio sarà articolato in tre soggetti differenti, ciascuno lungo trenta secondi, più uno di sessanta secondi. Anche la direzione della fotografia è “d’autore”, in quanto siglata dal fotografo e cineasta siciliano Daniele Ciprì, mentre i soggetti sono stati ideati dall’agenzia CatoniAssociati.