(Il Mattino - 1 ottobre 2011)
Lei, Bellocchio, nel presentare a Venezia il film che si vedrà stasera a Napoli, parlò di “immagini liberate”. Cosa intendeva con questa felice definizione?
“Mi riferivo alla necessità, che all’epoca della realizzazione non assecondai pienamente per timore di mostrarmi politicamente ambiguo, di liberare le immagini e la drammaturgia stessa del film, alleggerendolo da quella pesantezza ideologica che un po’ lo schiacciava e soffocava sotto il peso di tante parole che giudicavano, spiegavano, citavano. Ecco, queste sono cadute e nella nuova versione, più breve della precedente, tutto mi sembra cinematograficamente più efficace”.
Ma, così, non si corre il rischio di tradire lo spirito originale del film?
“Non credo. Liberare le immagini, infatti, è servito per privilegiare quanto di lieve, caldo, paradossale, surreale, crudele, sarcastico c’è nel film. Ma, detto ciò, Nel nome del padre non è cambiato nei contenuti o nei significati rispetto alla versione precedente, non è stato addolcito in alcun modo, non è meno violento e si caratterizza ancora per il profondo pessimismo nei confronti della società italiana. Forse, però, adesso fa pensare un po’ meno a Bertolt Brecht e un po’ di più a Jean Vigo”.
A proposito di libertà, riuscirà mai a realizzare quel film sull’Italia di oggi che pare nessuno le voglia produrre?
“Per ora il progetto è fermo. Ma non è che mi stia disperando più di tanto. Anche perché determinati temi potranno essere affrontati anche all’interno del mio prossimo film, Bella addormentata, nel quale parlerò di come il nostro Paese ha vissuto la vicenda di Eluana Englaro. Lo sfondo, infatti, sarà quello degli ultimi sei giorni di vita di Eluana, dal 3 al 9 febbraio 2009. Ci sarà la politica, con le sue ingerenze e i suoi litigi, ma emergeranno anche gli italiani comuni più o meno scossi da quel dramma e da ciò che significò. Comunque, sono certo che il taglio grottesco-politico del film che ho in mente sull’Italia prima o poi riemergerà, perché quando un’idea è buona non ti abbandona mai, ma continua a ossessionarti fino a riprodursi, magari in un contesto differente”.
Lei è l’ospite d’onore di questa prima edizione di Venezia a Napoli. Ha mai pensato di ambientare un suo film all’ombra del Vesuvio?
“Ci ho pensato varie volte, ma Napoli è una città talmente complessa e straordinaria che non può essere presa sotto gamba. Bisognerebbe viverci per diversi mesi, immergersi nel suo ventre, respirarne gli odori. E, naturalmente, avere una storia e dei personaggi adatti a un simile contesto. A tale proposito, qualche giorno fa ho finito di leggere quel bellissimo libro che è Mistero napoletano di Ermanno Rea. E, devo dire, ho pensato che mi piacerebbe moltissimo trarne un film da girare a Napoli. Però, si tratterebbe di un’impresa difficilmente realizzabile, anche perché ci sarebbero enormi difficoltà scenografiche e produttive da superare, dovendo ricostruire luoghi precisi di una città degli anni Cinquanta che oggi non esiste più. Magari, tenendo presente anche quel meraviglioso precedente che è Morte di un matematico napoletano di Mario Martone, meglio di me potrebbe provarci con successo qualche regista partenopeo…”.
Prima dell’appuntamento serale al Modernissimo, gli eventi a ingresso gratuito di Venezia a Napoli: il cinema esteso s’inaugurano alle 18 al Pan di via dei Mille, dove il direttore della Mostra di Venezia Marco Muller, l’assessore comunale alla Cultura Antonella Di Nocera e il curatore Enrico Magrelli aprono la retrospettiva Orizzonti - Cinema italiano di ricerca 1960-1978.
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