(Il Mattino - 5 ottobre 2011)
Da quale esigenza nasce, Marcello, il suo film-omaggio a questo maestro del cinema internazionale?
“Dall’esigenza intima di fare un film sul cinema che più mi piace, quello russo; e poi dalla voglia di divulgare i lavori di un cineasta straordinario. Così, ho provato a raccontare la memoria delle sue opere, ma anche quella del rapporto tra l’uomo e il cinema, con la sua vita, il suo pensiero, le sue emozioni: c’è tanta vita, infatti, nel cinema di Pelesjan”.
Come definirebbe il suo film?
“Né una biografia né un saggio, ma il semplice resoconto di un’impresa, cioè quella di essere riuscito nell’atto di filmare, per la prima volta dopo trent’anni, uno tra i maestri del cinema mondiale. Artavazd Pelesjan, infatti, è rimasto sconosciuto in Occidente fino al 1983, quando il celebre critico francese Serge Daney riuscì ad avvicinarlo e a diffonderne i film in Europa”.
Quali sono le caratteristiche del cinema di Pelesjan?
“Proprio Daney ne diede una definizione bellissima: “Lo scopo di Pelesjan è quello di captare la cardiografia emozionale e sociale del proprio tempo”. Il suo cinema, infatti, ha un’intensità rara e, al tempo stesso, si propone come campo di sperimentazione accurata di quello che lui ha teorizzato come “montaggio a distanza”, derivante dalla lezione di Ejzenstejn e Vertov ma che, al tempo stesso, congiura contro i loro principi teorici”.
Lei alterna riprese realizzate a Mosca con Pelesjan a immagini tratte dai suoi film e a spezzoni d’archivio. Come ha costruito l’alternanza tra queste due linee di racconto?
“Ho provato anch’io a rifarmi ai principi del “montaggio a distanza”, da intendersi come iperbole sperimentale e messa in opera piena e intensa di un montaggio interiore. In particolare, ho tentato di mettere insieme una visione lirica del suo mondo seguendo due direttrici: la narrazione costruita a partire dall’incontro a Mosca, con Pelesjan (qui, in una scena del documentario) che resta in silenzio per l’intero film; e il reperimento dei frammenti delle sue opere e di materiali inediti che lo ritraggono in momenti eccezionali della sua vita, quasi come se fossero cellule filmiche vibranti, capaci di restituire il senso stesso delle sue opere. E ho trovato frammenti straordinari: tra questi, mi piace segnalare alcune sequenze dell’esame di diploma al Vgik, il prestigioso Istituto Panrusso di Cinematografia di Mosca, di fronte a una commissione che schierava, tra gli altri, registi del calibro di Shukshin e Medvedkin”.
Il viaggio in Russia le è stato utile anche in vista di un suo prossimo film?
“In effetti sì, perché sto pensando di dedicarmi, l’anno prossimo, a un film di finzione, storico e in costume. Per raccontare il contemporaneo, infatti, non ho bisogno della finzione, perché il documentario va più in profondità”.
Il programma odierno di Venezia a Napoli propone anche alle 17.30 al Pan l’appuntamento conclusivo dell’interessante retrospettiva Orizzonti - Cinema italiano di ricerca 1960-1978, curata da Enrico Magrelli (Il potere di Augusto Tretti); e alle 20.30 al Filangieri il film a episodi Scossa di Ugo Gregoretti, Carlo Lizzani, Francesco Maselli e Nino Russo.
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