(Il Mattino - 16 ottobre 2011)
Molte sue predilezioni cinéphile, Sorrentino, sono confluite anche nel nuovo film?
“In realtà, io sono meno cinefilo di quanto si possa pensare guardando i miei lavori. E, anche nel caso di This Must be the Place, più che ispirarmi a film o autori specifici ho provato a rifarmi a un certo immaginario americano che mi affascina da sempre. Ovviamente, conosco quei film, americani o europei, che sono stati accostati al mio. Ho amato molto, per esempio, Una storia vera di David Lynch, che considero un grandissimo cineasta. Ma, proprio per questo, mi sono imposto di non provare nemmeno a imitare o citare quelli che ritengo bravi, anche perché ho tentato di trovare uno sguardo e un approccio personali”.
Di quali film parlerà stasera al Napoli Film Festival?
“Racconterò, innanzitutto, la mia passione trasversale per il cinema, ma anche per la musica. Ho scelto alcune sequenze di film che amo, come Toro scatenato di Scorsese, Non è un paese per vecchi dei fratelli Coen, 8 ½ di Fellini e Voglia di tenerezza di Brooks. Ma questi sono soltanto alcuni tra i tanti possibili, poiché avrei potuto sceglierne 500 invece che soltanto quattro o cinque. Anche nei confronti della musica sono onnivoro e trasversale: mi piace ascoltare di tutto, alla ricerca di nuove scoperte e possibili sorprese. Nella colonna sonora di This Must be the Place ho fatto confluire il totale amore verso un idolo della mia adolescenza, David Byrne, che con i suoi Talking Heads mi ha sempre affascinato per la capacità di abbinare elementi popolari e sperimentali in una vena innovativa ma facilmente fruibile. Per me è stato un vero onore poter lavorare con lui a un progetto comune”.
Non crede che il mix tra “alto” e “basso” e tra popolare e sperimentale sia una caratteristica anche del suo cinema?
“A me piace coniugare registri differenti, dal punto di vista stilistico e dei contenuti. Non voglio rivolgermi a una nicchia di pubblico, ma provo a essere popolare, naturalmente a modo mio, cioè senza utilizzare codici facili e mantenendomi coerente con me stesso. In tal senso, sono molto felice per gli ottimi risultati del primo giorno di programmazione”.
La presenza di un divo come Sean Penn, l’ambientazione statunitense e il contesto produttivo internazionale potrebbero essere sufficienti per puntare a una candidatura agli Oscar?
“Io ho fatto il film che volevo e il resto non m’interessa. Però, da questo punto di vista un distributore statunitense come Harvey Weinstein garantisce impegno e attenzione, anche perché ha mostrato una comprensione profonda del film e del mio sguardo sugli Stati Uniti”.
Da Napoli al successo internazionale: com’è, oggi che vive e lavora altrove, il rapporto con la sua città?
“La mia è soltanto un’assenza fisica, perché continuo a essere molto attento alle cose partenopee. E, soprattutto, continuo a sentirmi intimamente napoletano. D’altra parte, i ricordi e gli affetti sono tanti, essendo io cresciuto in città, avendovi iniziato a fare cinema e, fondamentalmente, avendola vissuta in profondità per 37 anni. Stavolta ci torno con ancora più gioia perché, a causa della lavorazione del film, manco da un bel po’ di tempo”.
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